Articolo di Carlo Cavazzuti
“Che gente curiosa, strana, que’ gagliardi vecchi! Fieri, intolleranti d’ogni freno; capaci di ogni nobile azione, come di qualsiasi brigantesca birbanteria, riboccavano di coraggio; e meraviglioso era in loro il disprezzo per l’esistenza! Che tempi erano quelli!” Jacopo Gelli, prefazione de I duelli mortali del secolo XIX (1899)

Il duello ordalico
Come ogni ordalia, il “duello di Dio” era considerato, all’interno degli ordinamenti giudiziari germanici, una forma di giudizio divino (iudicium Dei) che veniva concessa dal giudice alle parti contendenti, sia in ambito civile sia in ambito criminale. La concezione che stava alla base di tale istituto era quella, “barbarica”, che vedeva i campi del diritto, della morale e della religione come un tutt’uno inscindibile; inoltre, al culto di Dio si accompagnavano quelli, altrettanto caratteristici, della forza fisica e delle armi. Le ricostruzioni più complete dei duelli giudiziari riguardano quelli combattuti durante il Basso Medioevo, sia presso le corti feudali sia presso i comuni. Castelli e città erano stabilmente attrezzati con appositi campi chiusi dalle caratteristiche e dalle forme definite, all’interno dei quali si schieravano i due campioni. Le armi erano determinate dai giudici e lo scontro poteva protrarsi per più giorni; la morte non era l’esito necessario, e anzi ricorreva piuttosto raramente: di norma, la sconfitta era sancita dal toccar terra con il capo, dalla fuoriuscita dal campo di battaglia o dalla resa di uno dei due campioni. I primi riferimenti al duello come strumento di risoluzione delle contese tra i Germani risalgono agli storici romani che, da Velleio Patercolo a Tacito, sottolineano l’incompatibilità di tale prassi con la concezione romana dello Stato (res publica). Il combattimento giudiziario era presente presso numerosi popoli germanici e nelle leggi dei relativi regni romano-barbarici (Goti, Dani, Anglosassoni, Sueoni, Longobardi, Franchi, Sassoni, ecc.), per essere infine ancora attestato nei comuni medievali.



Il duello di Dio presso i Goti
Il combattimento giudiziario era regolarmente praticato presso i diversi rami della grande famiglia gotica, salvo poi declinare in seguito alla stabilizzazione dei regni romano-barbarici dominati da Goti. Così, una volta insediato il suo Regno ostrogoto tra Italia e Illiria, Teodorico invitò i Goti rimasti in Pannonia ad abbandonare il ricorso al duello per dirimere le loro contese, suggerendo loro di prediligere invece le normali vie giudiziarie.
Il duello di Dio presso i popoli germanici settentrionali
Saxo Grammaticus, nella sua Gesta Danorum, testimonia l’ampia diffusione del duello di Dio presso i Dani: secondo re Frotone III qualsiasi controversia doveva essere decisa attraverso il combattimento, del quale prescrisse minuziosamente le regole. Le antiche cronache anglosassoni e vichinghe rimarcano non solo la diffusione del combattimento giudiziario, ma anche la particolare enfasi sull’abilità come duellanti dei sovrani delle varie stirpi germaniche settentrionali.
Il duello di Dio presso i Longobardi e l’avvento del duello giudiziario
La prima testimonianza di un duello giudiziario in Italia è quella riportata dallo storico franco Fredegario: nel 624 Pittone, campione della regina Gundeperga, uccise Adalulfo, che aveva accusato la sovrana di adulterio e di aver ordito una congiura insieme al duca Tasone, in un duello di Dio voluto dai legati franchi intervenuti a favore di Gundeperga, che a causa dell’accusa era stata rinchiusa nel castello di Lomello dal marito Arioaldo. L’esito del duello comportò la completa riabilitazione della regina, che poté tornare a fianco del re.
Il duello di Dio fu in seguito dettagliatamente normato dall’Editto di Rotari, fin dai primi articoli. Rotari riconosceva il duello, condotto in prima persona o attraverso un campione, quale prova giudiziaria definitiva di istanza superiore al giuramento (art. 9). L’art. 198 precisa la possibilità di ricorrere al combattimento, sempre come seconda e definitiva istanza rispetto al giuramento, nel caso specifico della calunnia nei confronti di una ragazza soggetta a mundio, qualora questa fosse accusata di essere prostituta o strega. Altri articoli indicano il campo di applicazione del duello nei casi di una moglie accusata di tramare per la morte del proprio marito (art. 202) o di adulterio (art. 213), mentre l’art. 368 prescrive il divieto per i duellanti di portare su di sé erbe malefiche.
Il ricorso a tale pratica fu in seguito fortemente limitato; in particolare, fu la legislazione di Liutprando a tentare di limitare i duelli, esplicitamente appellandosi alla fallacia del preteso “giudizio di Dio: «incerti sumus de iudicio dei». Il fatto che lo stesso sovrano abbia potuto soltanto sconsigliare anziché vietare il duello di Dio attesta tuttavia quanto la pratica fosse radicata presso i Longobardi.
Il declino del duello di Dio in Italia
Con l’evolversi del Regno longobardo il duello di Dio era stato dunque progressivamente limitato a favore delle prove testimoniali e documentali; la caduta del regno (774), tuttavia, e la sostituzione della classe dominante longobarda con quella franca, ancora più ancorata alle tradizioni germaniche, ridiede ampia diffusione alla pratica. I Carolingi prima (VIII-IX secolo) e gli Ottoni poi (in particolare Ottone I, X secolo) sostennero apertamente il combattimento giudiziario, cui si fece quindi ampiamente ricorso fino alla crisi definitiva dell’istituto dell’ordalia, nel XIII secolo.
Se la legge salica del VI secolo proibì l’uso del processo per combattimento, la restrizione fu presto lettera morta, se è vero che nel IX secolo Carlo Magno affermava che nei processi:
“melius visum est ut in campo cum fustibus pariter contendant, quam periurium perpetrent in absconso”
(sembra meglio che si affrontino armati sul campo, piuttosto che spergiurare continuamente di nascosto).
La Chiesa cattolica, d’altro canto, cercava di resistere alla diffusione del processo per combattimento, non solo stigmatizzandolo, ma penalizzandone i partecipanti: al III Concilio di Valenza, tenuto nell’855 sotto Leone IV, venivano così indicati come assassino (peraltro con l’aggravante della perfidia, che ne avrebbe determinato la cacciata dall’assemblea dei fedeli fino all’espiazione di una giusta pena) e suicida (dunque non meritevole di sepoltura con salmi o preghiere) rispettivamente il vincitore e il vinto di un duello giudiziario che si fosse rivelato mortale. Il clero chiedeva che il combattimento giudiziario venisse sostituito dal giuramento nelle chiese, onde spaventare gli spergiuri con la minaccia delle pene eterne, ma i signori, dediti alle abitudini guerriere, ritenevano più nobile sostenere i propri diritti con la spada.
La lotta della Chiesa contro le pratiche di giudizio per combattimento ebbe comunque la peggio quando Ottone II, salito al trono giovanissimo e nel pieno degli scontri per questioni ereditarie sollevate dalle signorie d’Italia, stabilì che le contestazioni venissero risolte con il combattimento, e che allo stesso modo si risolvessero i nodi ereditari sui feudi.
Nel 1168 Luigi il Giovane concordò con la Chiesa una carta che stabiliva come a Orléans e dintorni non era possibile ottenere soddisfazione dei debiti inferiori ai 5 soldi col combattimento; questa regola fu completata con la riforma dei diretti domini di Luigi IX nel 1260, che tra le altre cose sostituì la prova per testimoni alla prova per combattimento.
Il Liber Augustalis di Federico II circoscrisse drasticamente l’applicazione del duello di Dio, limitandolo ai casi in cui si dibattesse, in assenza di altre prove, di omicidi commessi con veleno, o di tradimento e di lesa maestà. Analoghi provvedimenti furono adottati da Luigi IX di Francia e da Alfonso X di Castiglia, anche se parallelamente l’istituto conobbe ampia diffusione presso i primi liberi comuni.
Sempre a partire dal XII secolo era andata anche crescendo l’opposizione della Chiesa cattolica, con i decreti di Niccolò I, Gregorio IX e Alessandro III: il duello, anziché “di Dio”, iniziò a essere considerato giudiziario ad ogni effetto, giacché supponeva la pretesa di imporre a Dio di manifestarsi attraverso un miracolo dietro richiesta umana.
Il solo che si ponga il problema del perché del duello, è Dante; e la sua è un’appassionata difesa, che per amor di tesi chiama a raccolta testi sacri e profani, esempi biblici e storici, a testimonianza dell’intervento divino, di quell’intervento che sovverte la sproporzione delle forze e permette al piccolo Davide d’abbattere il gigante Golia: per lui, «iustitia in duello succumbere nequit» e «de iure acquiritur quod per duellum acquiritur» (Monarchia, II, 9, 6). La difesa di Dante, aspramente polemica contro gli «iuristi presumptuosi» (II, 10, 9), arrivava tardi. Il duello giudiziario era entrato proprio al tempo di Dante in una crisi da cui non si sarebbe più sollevato. Le forze congiunte della Chiesa e del diritto romano ne avevano imposto la condanna; e di questa aveva agevolato l’esecuzione il rinnovamento sociale operato dalla fioritura della civiltà cittadina e dai comuni.




Il duello giudiziario
Il duello giudiziario fu, è stato sino in tempi relativamente recenti ed è tutt’ora in alcune parti del Mondo, un metodo molto utilizzato per dirimere una contesa tra due persone. Nonostante le condanne di diversi sovrani europei e papi che li misero fuori legge, il duello giudiziario è sempre stato presente nella cultura europea sino alla prima età del 1900. Nelle varie epoche e nelle varie locazioni cambia il modo di duellare, ma il principio alla base è pur sempre il medesimo: due persone si affrontano a mani nude, oppure più o meno armate sino a un risultato netto per chi sia il migliore. Possiamo identificare due tipi di duello: quello ordalico in cui si lascia alla divinità, a cui si appellano i contendenti prima del duello, di far sì che solo colui afferma il giusto trionfi sull’altro; e il duello giudiziario proprio che prevede lo scontro fisico come un normale procedimento legale per dirimere un contenzioso.
Non è del tutto corretto pensare ai duelli medioevali come qualcosa di rude e poco regolamentato. In realtà molto spesso erano vere e proprie cerimonie alla presenza di un pubblico numeroso, sia di villani che di nobili, lì non solo a godersi uno spettacolo sanguinoso, ma anche come testimoni per uno o per l’altro contendente.
Altrettanto fallace è l’idea che solo i nobili potessero sfidarsi a duello. In diversi testi analoghi a Gladiatoria, e in esso stesso, troviamo esempi lampanti di duelli tra borghesi e addirittura tra uomini e donne. Esempi sono i trattati del maestro tedesco Hans Talhoffer.
Le modalità del duello medioevale nei vari territori ed epoche sono ancora oggetto di studio da parte degli storici per ottenere un’immagine meno frammentaria di un fenomeno estremamente diffuso. Abbiamo certezza delle modalità secondo cui poteva essere richiesto un duello e su come esso venisse eseguito solo per alcune aree geografiche e solo per ben precisi contesti storici. Un esempio di questa sequenza, almeno dal punto di vista del puro duello la potrebbe dare la serie di trattati del Gladiatoria, ma particolarmente interessanti sono anche quelle giunteci dai maestri Paulus Kal, Peter von Danzig e dell’anonimo trattato intitolato Goliath. Questi testi presentano un duello in cui i contendenti iniziano a cavallo con scontri di lancia, sino a giungere alla lotta a mani nude a terra, nei più estremi dei casi. Altri testi, tra cui quelli italiani presentano anche un’altra arma molto comune nei duelli: l’azza. Di solito composta da un grande e pesante martello con al lato opposto della testa battente una punta a becco di corvo e in cima uno spuntone, il tutto inastato su oltre un metro e mezzo di legno duro e resistente.
Si può dire che appare chiara una possibile sequenza delle armi utilizzate nel duello giudiziario di fine medioevo, in territorio tedesco e italiano, sia tra nobili e cavalieri, sia tra borghesi. È solamente una delle possibili metodologie che nello stesso periodo coesistevano in una regione geografica così ampia com’è l’Europa, nonché così pregna di diverse culture come lo poteva essere nel XV secolo.
Cause e preparazione al duello giudiziario
Uno dei testi da cui otteniamo più informazioni in merito a come si svolgesse un duello giudiziario nella Germania medioevale è sempre un fechtbuch tedesco: il codice Thott redatto dal maestro Hans Talhoffer intorno all’anno 1459. Esso presenta una sorta di piccolo capitolo, che si ripresenta con poche variazioni anche in molti testi dello stesso maestro, dedicato alle modalità con cui si volgeva il duello.
Innanzi tutto ci presenta le sette “offese” per cui era possibile richiedere un duello: assassinio, alto tradimento, eresia, infedeltà a un signore (mancato servizio quando richiesto o abbandono del signore per vivere sotto altro vassallo), infedeltà, spergiuro o truffa e stupro. Come si può notare, a differenza dell’immaginario comune, non sono molte le “offese” che avrebbero fatto scaturire uno scontro armato.
Dopodiché ci viene illustrata la preparazione preliminare al duello in cui i due contendenti per procedere non dovranno essere al di sotto dei cinque gradi di parentela, dovranno avere almeno sette persone che possano confermare l’accusa e infine l’accusato dovrà essere in grado fisicamente di sostenere il duello ossia non essere né zoppo né cieco, in tal caso potrà rifiutarsi di partecipare.
Se queste condizioni preliminari erano soddisfatte, l’accusatore si presentava davanti a un tribunale di tre giudici, enunciava il nome completo dell’accusato e rendeva una testimonianza completa dei fatti. A questo punto l’accusato era chiamato davanti alla stessa giuria a contestare la sfida presentando prove di innocenza o scusanti.
Solo se il tribunale non fosse riuscito a risolvere la situazione si sarebbe proceduto al duello, che avrebbe avuto luogo dopo sei settimane e quattro giorni, in cui i contendenti avrebbero avuto occasione di prepararsi burocraticamente (molto spesso un duello finisce con la dipartita di uno dei contendenti, quindi un testamento era pressoché d’obbligo), fisicamente e moralmente all’evento.
A entrambi i contendenti, durante questo tempo, era suggerito e consentito rivolgersi a maestri schermidori per prepararsi al combattimento. Proprio per questo l’esistenza dei trattati giunti fino a noi.
Ci viene anche indicato nel testo che il maestro dovrà essere una persona che sappia effettivamente trasmettere bene e con effetto l’arte, che sia pio, sobrio, non si appropri indebitamente delle finanze dei propri studenti, ma che soprattutto gli insegni tutta l’arte e non solo parte di essa.
A questo punto lo studente che si apprestava al duello veniva seguito dal suo maestro sotto diversi aspetti, non solo quello schermistico. Talhoffer ci presenta oltre agli esercizi schermistici, anche la dieta e l’organizzazione giornaliera che proponeva ai suoi allievi: alzarsi presto ogni giorno, interessarsi alla massa (andare di corpo), tornare a casa e mangiare una fetta di Johannisbrot (un pane tipico della Germania medioevale preparato con farina di carrube e miele), praticare la scherma per due ore con vigore, non mangiare molti grassi a pranzo, praticare la scherma per altre due ore al pomeriggio e alla sera, prima di andare a dormire, mangiare un pezzo di pane nero imbevuto nell’acqua fredda, che gli avrebbe fatto fare grandi respiri e allargare il torace.
In quest’ottica il fechtbuh, molto probabilmente, serviva all’allievo per poter eseguire i propri esercizi ovunque anche in assenza del proprio maestro, o nel caso fosse sopravvissuto al duello, a mantenere ripassata l’arte schermistica.
Svolgimento del duello
Dopo aver trascorso il tempo prescritto i due contendenti, accompagnati dal proprio maestro ed eventuale entourage, si recavano nella lizza, ossia il recinto o “Greis”, in cui si sarebbe svolto il duello. Entrambi avevano a disposizione un tendale per ripararsi e una sedia, in più, se ne avevano diritto, le proprie insegne di famiglia su una bandiera. Per ultima cosa, dietro di loro, la propria bara. A questo punto, il nobile che presiedeva il duello, assieme ai testimoni, controllava se i contendenti fossero realmente le persone che dovevano presentarsi (non ovunque e non per qualsiasi accusa era consentito avere un campione), controllava la correttezza e l’integrità delle armi infine richiedeva a entrambi di giurare, alla presenza di un membro del clero, che la propria causa fosse giusta e che non avrebbero utilizzato trucchi, magie o armi non ricevute dal proprio maestro di scherma.
Quando tutti questi preliminari erano condotti a termine venivano rimosse le suppellettili e il maestro di campo chiamava, nominandoli per tre volte ciascuno, i contendenti, invitandoli a prendere posto per il duello.
Una volta iniziato il combattimento esso non aveva termine sin tanto che uno dei due contendenti non lasciava la lizza in segno di abbandono, professava la sua colpevolezza o veniva ucciso. Se si tentava la fuga prima del duello o durante esso si dava evidente segno di colpevolezza e di seguito, se acciuffati, si era sommariamente uccisi dalle guardie.
Quello appena descritto è solo una delle possibilità di duello giudiziario, o “Kampffechten” come definivano i maestri tedeschi, in cui avremmo potuto imbatterci.
Esistevano anche i “Riti franchi” in cui i contendenti, da quel che si può identificare dall’abbigliamento riportato sui testi, che è sempre estremamente simile, quasi fosse una sorta di divisa, erano probabilmente borghesi. Essi si sfidavano con mazze o spade accompagnate da grossi scudi, oppure con gli scudi solamente.
Infine, anche se le prove storiche sono assai misere, avvenivano duelli tra contendenti di sesso diverso, dove il maschio, armato solamente di mazza, era in piedi in una buca dalla quale fuoriusciva solo con il busto e le spalle mentre la femmina, in piedi sul terreno, combatteva con un grosso sasso avvolto nel proprio velo come se fosse una mazza incatenata. Di questo ultimo tipo di duello le prove sono certe, ma rispetto agli altri solo una manciata di testi riportano il fatto e solamente in territorio germanico.

Il duello per punto d’onore
Il passaggio dal duello come mezzo di risoluzione delle controversie al mezzo di difesa dell’onore si ebbe nel XV secolo, in cui si stabilì l’usanza, tutta aristocratica, di chiedere al re l’autorizzazione a combattere in campo chiuso a fronte di un’offesa ricevuta. Il re, che assisteva al combattimento, poteva interromperlo in qualunque momento, gettando lo scettro tra i combattenti. La superstizione ancorata alla presenza del giudizio di Dio, tale quindi da assicurare la vittoria al giusto e la punizione all’ingiusto, non venne abbandonata, ma il combattimento assunse certamente più un carattere di guerra privata, per motivi più personali che di persecuzione legale.
Nel 1547, Enrico II di Francia autorizzò un duello tra gentiluomini della sua corte, ma, essendo rimasto ucciso un suo caro amico, proibì qualunque altro duello fosse stato richiesto sui suoi domini. Non dovendosi più aspettare alcuna autorizzazione regale, dunque, i nobili di tutta la Francia si sentirono in dovere di lavare ogni loro minimo capriccio col sangue, e senza alcuna regolamentazione.
Un canone del 1563 promulgato durante il Concilio di Trento insorse contro questa pratica, minacciando di scomunica tutti coloro che partecipassero a qualunque forma di duello: i duellanti, i padrini, i giuristi che vegliassero sullo scontro, gli spettatori, l’imperatore, i re, i duchi, i principi, i marchesi, i conti e qualsiasi altro signore avesse offerto un terreno su cui avesse permesso la singolar tenzone. E, come settecento anni prima, vietò la sepoltura ecclesiastica per chi fosse morto nello scontro.
Nel vicereame di Napoli occupato dagli Spagnoli già nel 1540 fu promulgato l’ordine di confisca e punizione amministrativa per chiunque avesse preso parte a un duello, a qualunque titolo: duellanti e padrini, medici, giudici, personale ecclesiastico, persino i semplici spettatori.
Nonostante tutto la pratica del duello rimase attiva in tutta Europa. Si sviluppò, anzi, un mondo clandestino, con regole proprie, usanze, a volte bizzarre che prevedevano duelli con armi assurde tanto che non mancarono, a tal proposito, pittoreschi tentativi di volgere le condizioni del duello in proprio favore. Racconta Brantôme, nel suo Discours sur les Duels, di uno sfidato di bassa statura che impose allo sfidante, ben più alto di lui, di combattere con un collare irto di chiodi affilati. Lo sventurato non poteva chinare la testa senza ferirsi e fu ammazzato facilmente dal suo minuto avversario.
Il conte Giulio Antonio Acquaviva d’Aragona di Conversano e il duca Francesco Carafa di Noja (l’odierna Noicàttaro) decisero, pertanto detto, di combattere in Baviera nella città di Norimberga il loro duello del 5 novembre 1673.




Nella Repubblica di Venezia era previsto un bando per sette o dieci anni, il confino in un’isola della Dalmazia, o, a partire dal 1732, la privazione della nobiltà patrizia, la confisca di ogni bene o il bando perpetuo. Per coloro che, colpiti da quest’ultima pena, avessero fatto ritorno sul territorio della Repubblica, era prevista la decapitazione sulla pubblica piazza. Non avendo, però, patrocinio sull’acqua: “…per sua natura essa scorre e non vi si pote metter legge alcuna se non sui legni che la solcano.”, i duelli avvenivano su chiatte o addirittura affiancando due gondole e legandole assieme, ma tutte costruite con legno non veneziano e da artigiani non veneziani per sviare la legge.
Sull’onda di una ferocia squisitamente barocca, la pratica del duello, sul principio del XVII° secolo, assunse i connotati di una piaga sociale. In Francia, il Cardinale Richelieu tentò una prima reazione istituzionale contro il duello, ma si scontrò con l’indulgenza di Luigi XIII, un sovrano decisamente poco disposto a schierarsi contro la sua nobiltà. Le insistenze del Cardinale sortiranno l’effetto di mandare al patibolo ben pochi duellanti, tra cui François de Montomorency-Bouteville, un impenitente attaccabrighe che decise di sfidare l’editto reale intentando un provocatorio duello alla spada e pugnale nella Place Royale di Parigi.
Famosa sarà la frase di Richelieu all’indirizzo del Re:
Sire, il est question de couper la gorge aux duels, ou bien de couper la gorge aux lois de Votre Majesté.” (“Sire, la questione è se tagliare la gola ai duelli, o alla legge di Sua Maestà.”)
Ne fu testimone il Cardinale Richelieu, nelle sue Memorie:
“I duelli erano divenuti sì comuni, che le strade servivano di campo di combattimento e come se il giorno non fosse abbastanza lungo per eccitare la loro furia, i duellanti si battevano alla luce delle stelle o delle fiaccole che tenevano luogo di sole funesto.”
Compiuta l’unità d’Italia, nel 1875 venne approvata una legge contro il duello che rimase in vigore, con pochi mutamenti, per più di cinquant’anni.
I regolamenti dell’esercito italiano di quei tempi erano molto ambigui riguardo all’accettazione delle disposizioni governative contro il duello. Si sosteneva infatti che chiunque fosse coinvolto in esso andasse espulso dall’esercito perché contravveniva a una legge dello stato e al regolamento militare; però chi, sfidato a duello, si fosse rifiutato di parteciparvi o avesse dimostrato fellonia, andava comunque espulso dall’esercito per villania e vigliaccheria. In maniera meno esplicita anche la marina prevedeva il medesimo trattamento. Nell’esercito italiano, sul modello di quello napoleonico, non era ammissibile un duello tra ufficiali di grado differente, ed era considerato disonorevole abbandonare il proprio reparto per partecipare a un duello in un’altra guarnigione, questi due aspetti contribuivano a rarefare le occasioni di duello.
Nell’Italia di fine secolo XIX fece molto scalpore la morte, a 56 anni, del deputato dell’estrema sinistra Felice Cavallotti dopo essere stato ferito gravemente in duello dal giornalista conservatore Ferruccio Macola. Il Codice Penale del Regno d’Italia, promulgato con Regio decreto legge n. 1398 del 19 ottobre 1930, puniva i duellanti e i portatori di sfida con la reclusione fino a sei mesi e una contravvenzione, se non cagiona danni o lesioni all’avversario. In dottrina è stato sostenuto, in proposito, che “nella società di oggi la gran parte delle persone è ben lieta che sia stato bandito”. In realtà, pene così poco severe erano un forte indicatore dello scarso allarme sociale che suscita il duello in quegli anni.
Solo una sentenza recentissima della Corte Suprema si è occupata del duello, pubblicando che:
«Non può essere equiparato a un duello una colluttazione senza armi, svincolata da qualsiasi regola, condotta senza esclusione di colpi e in modo selvaggio e bestiale. Infatti, i reati cosiddetti di duello presuppongono l’osservanza delle consuetudini cavalleresche e, pertanto, perché uno scontro tra due persone possa considerarsi duello, deve svolgersi a condizioni prestabilite, secondo le regole cavalleresche, mediante l’uso di armi determinate (spada, sciabola o pistola), alla presenza di più persone (padrini o secondi), per una riparazione d’onore.»
(Cassazione Penale, V sezione, 24 aprile 1987.)
I reati “cavallereschi” (duello, sfida a duello, ecc.) sono stati depenalizzati nel 1999. L’intento modernizzatore del legislatore del 1999 “traspare dall’abrogazione delle fattispecie di duello, del tutto desuete e, soprattutto, retaggio di una visione che anteponeva la tutela dell’ordine cavalleresco a quella, “svenduta” con pene irrisorie, del bene vita”.
Preparazione del duello
Per quanto in ogni parte d’Europa fossero vigenti delle regole diverse, a volta anche trascritte su dei veri e propri volumi: i Codici Cavallereschi, si nota una certa omogeneità delle regole previste sia per lanciare una sfida che per il suo svolgimento.
La consuetudine del duello giudiziario d’onore contemplava schemi complessi nella quantificazione dell’offesa, nonché nella stessa definizione del ruolo dell’offeso e dell’offensore. L’offesa era inoltre qualificata procedendo da prospettive valoriali talvolta molto diverse dalle nostre: ingiurie che ledevano l’integrità fisica o d’animo della persona (insulti o percosse) erano sicuramente motivo sufficiente per chiedere soddisfazione tramite le armi, ma lo era anche la semplice accusa di aver mentito, o di aver mancato alla parola data.
Non deve stupire la gravità attribuita all’accusa di mentire: sin dall’etica cavalleresca medievale, l’Onore coincide con la Verità e dunque l’accusa di essere un bugiardo è una implicita contestazione del proprio onore.
Vi erano regole abbastanza restrittive su chi potesse sfidare chi e in che condizioni, per esempio un maestro di scherma non avrebbe mai potuto sfidare all’arma bianca chicchessia per gli ovvi motivi di vantaggio. Allo stesso modo c’erano dei canoni che portavano ad associare una determinata offesa con un determinato tipo di duello.
Passaggi successivi alla definizione dell’offesa erano la pubblicazione dei cartelli di sfida. Lo sfidante preparava un verbale contenente i fatti che avevano fatto scaturire la controversia e lo mostrava ai suoi padrini e ne preparava una versione ridotta, denominata cartello di sfida, da far recapitare allo sfidato.
Da questo momento è precluso allo sfidante incontrare l’avversario e viceversa. Ogni contendente sceglieva i suoi padrini che, assieme a quelli dell’avversario, si sarebbero accordati per una possibile risoluzione amichevole o sulle modalità dello scontro. Solitamente la scelta dell’arma era lasciata allo sfidato mentre la scelta del campo allo sfidante; medico e arbitro era scelti in modo imparziale.



Il duello
Se non si fosse trovata la possibilità di accordo si sarebbe finiti a incrociare le armi. Qui le modalità del duello variano molto, da quello alla spada, a quelli alla dinamite, a piedi, a cavallo, su una mongolfiera addirittura. Oltre che le norme dei vari codici cavallereschi, in questo caso, si dava priorità alla fantasia dei duellanti e dei loro secondi. Per rimanere in un ambito più “normale” di duello all’arma bianca possiamo identificare quello al primo sangue, al secondo (la prima ferita che sia potenzialmente invalidante o che comprometta l’esito dello scontro) e a oltranza o all’ultimo sangue, per quanto in ogni codice cavalleresco questo sia considerato del tutto avulso alla cavalleria d’onore.
Per i duelli alla pistola abbiamo quelli a piè fermo, avanzando, con colpi multipli, a singolo colpo, a colpi alternati. Di nuovo la libertà di esecuzione era massima.
In ogni modo tutto avveniva davanti a testimoni, alla presenza di un avvocato, un notaio o comunque qualcuno che sia predisposto a verbalizzare gli accadimenti dello scontro. Tale verbale sarebbe stato poi consegnato, firmato dalle parti, ai due contendenti e all’arbitro.
Anche nello svolgimento dello scontro le regole erano sì indirizzate dai codici scritti, ma altrettanto spesso inventate all’impronta dei secondi che cercavano, in ogni modo, di favorire il proprio assistito. Non sono mancate le volte in cui non se ne fece nulla proprio perché non si trovò un accordo tra le parti su come duellare.
Il duello nella tradizione orientale
Islam
Il duello “a singolar tenzone” fa parte della tradizione islamica, che ha conservato le tradizioni del periodo della Jāhiliyya, in cui il coraggio del singolo era esaltato al pari del valere della tribù di appartenenza.
Il duello tra “campioni” degli opposti schieramenti armati rimase a lungo un espediente ufficializzato per evitare un eccessivo spargimento di sangue sui campi di battaglia.
Nel periodo di vita del profeta Maometto, Ibn Ishaq riporta un gran numero di scontri tra singoli esponenti avversari e, ancora all’epoca delle guerre del periodo del califfato dei Rashidun, furono attive formazioni d’élite (i Mubārizūn, ossia “Duellanti”) incaricati di risolvere col duello la possibile soluzione delle imminenti battaglie. Un classico esempio è la “singolar tenzone” che, nel gennaio del 637, oppose il comandante sasanide Shahriyār a un “campione” musulmano che, avendo la meglio sull’avversario, indusse i Persiani ad abbandonare il programmato scontro sotto Ctesifonte.
Una proposta di duello abbastanza recente fu lanciata da al-Ẓawāhirī a Bush con addirittura ad arbitrare l’assalto di sciabola Hannan. Bush non accettò e optò per un duello tra nazioni a suon di missili, come tutti sappiamo.
Giappone
Nel periodo Edo, in Giappone, esisteva una tradizione duellistica 決闘 (kettō?) tra esponenti della classe dei samurai. Il 14 aprile 1612 il famoso spadaccino Miyamoto Musashi sconfisse il suo rivale Sasaki Kojirō nell’isola di Funajima. Si dice che Musashi abbia combattuto oltre 60 duelli senza essere mai sconfitto, anche se si tratta di una stima prudenziale che probabilmente non tiene conto delle morti per sua mano avvenute nelle battaglie maggiori.
Un duello famoso e più recente, se pur mai combattuto fu tra Sadakichi Kato e il comandante della piazzaforte di Tsintao Alfred Meyer-Waldeck durante l’assedio della città nel 1914. Il tedesco rifiutò la monomachia convinto di poter resistere all’assedio, ma la mattina del 6 novembre 1914 i germanici si arresero.
I duelli con armi minori
Qui bisogna passare dalla gente dabbene alla malavita.
Chi fosse stato di buona nascita, educazione e fama, non si sarebbe mai abbassato a duellare in un modo così rustico.
In tutto il mondo, ma specialmente intorno al Mediterraneo, il duello rusticano era ed è diffusissimo. Importanti resoconti ci arrivano dalla Spagna, dalla parte meridionale della Francia, dalla Grecia, dall’attuale Croazia e Albania e da tutta la penisola italiana.
Le modalità di duello sono diffusissime, alcune molto più rigide di quelle dettate dai codici cavallereschi anche perché, in molte associazioni criminali, un senso distorto dell’onore è molto presente e importante.
L’arma principale con cui avvengono questi duelli è il coltello. Ci si scontra armati solo di quello, con la giacca avvolta al braccio sinistro, con i due bracci sinistri legati assieme, con anche colpi proibiti.
Particolari sono i casi, tutti nell’Italia meridionale, di duelli con il rasoio o con il pettine d’osso affilato, riservati solo ai nemici più illustri perché oggetti personali mentre con il coltello “ci castri il capretto”.
Solo nella nostra Italia esistono numerosissimi esempi di duello rusticano codificato:
paranza, pizzica, taranta, sfarziglia, zumpata, puncicata, corvo, vendetta, orecia, saraga, tirata, sfreddo, raspa, abbottata, saccagn e molti altri meno conosciuti.
In molte regioni del bacino mediterraneo si sono sviluppati coltelli da duello del tutto particolari e scuole di scherma corta ancora attive e presenti sul territorio, ma molto spesso “riservate” alla famiglia.