“La guerra del Vietnam” di Errico De Gaetano

Storia militare del conflitto più controverso del XX secolo

La guerra del Vietnam, dalla guerra di popolo contro i francesi al conflitto su vasta scala contro gli Stati Uniti, è un conflitto di particolare rilevanza, avendo fuso assieme le dimensioni militari, politica e mediatica in quella sintesi di sforzi che oggi rappresenta la normalità. Similmente, è stato il primo grande confronto dominato dal ricorso alla guerriglia e alla “guerra di popolo”, che ha visto prevalere, contro ogni previsione, la forza di volontà, la pazienza strategica e lo spirito di adattamento contro forze militari di gran lunga più moderne e meglio equipaggiate, riscattando la centralità del fattore umano rispetto a quelli materiali e tecnologici.

Data di uscita: 8 giugno 20722.
Pagine: 816.
Editore: Diarkos.
Formato: cartaceo.


La guerra del Vietnam è un tema che mi sta a cuore: sul blog ho difatti scritto della famosa Storia della guerra del Vietnam, opera del giornalista Stanley Karnow che si concentrava sull’aspetto politico e decisionale del conflitto e che aveva un focus sui protagonisti (soprattutto di parte occidentale e sud-vietnamita) in gioco; ho anche approfondito in un lungo articolo divulgativo la fondamentale battaglia di Dien Bien Phu (1954), che pose fine alla prima fase, quella “francese”, di questo lungo conflitto.

Ho dunque ricevuto con grande piacere la proposta dell’editore Diarkos di leggere questa nuova opera di Errico De Gaetano, generale in congedo ed esperto di storia militare, proprio per il lato da cui viene affrontata la tematica: ovvero, quello degli eventi bellici che hanno caratterizzato le tre fasi in cui si può suddividere il trentennio di conflitti (1945-1975) vissuti dal Vietnam.

La disamina degli eventi, inoltre, è incentrata sulle operazioni militari e in tal senso i numerosissimi combattimenti sono descritti con dovizia di dettaglio, compatibilmente con la profondità consentita dalle fonti disponibili e dalle intrinseche esigenze di sintesi di un’opera che abbraccia un periodo così ampio. Nondimeno, stante la citata rilevanza degli aspetti non militari, il lettore incontrerà frequenti digressioni volte a illustrare le dina miche politiche e mediatiche e come esse abbiano condizionato la pianificazione e la condotta della guerra.

Vengono così ripercorse le numerose fasi (periodizzazione di comodo e, come tutte, arbitraria ma, in questo caso, azzeccata) del conflitto: la guerra d’Indocina tra il fronte del Vietminh e la Francia (1945-1954); lo stallo armato tra i due Vietnam, Nord e Sud, nel periodo 1954-1964; la guerra del Vietnam propriamente detta (1965-1972), suddivisa a sua volte nella fase dell’impegno americano (1965-1968), nell’anno dell’offensiva del Tet (1968-1969) e nel periodo della “vietnamizzazione” (1969-1972); infine, gli ultimi anni dopo il ritiro americano (1972-1975). Le operazioni vengono descritte con dovizia di dettagli, in particolare nello schieramento delle forze partecipanti, nel racconto dei combattimenti e nel numero di partecipanti, perdite e financo, spesso, il volume di fuoco (importante, nella strategia Usa) usato dai contendenti.

Quando in apertura di un libro vedo così tanti simboli grafici per le operazioni militari, le mie aspettative si alzano…

Ogni capitolo è arricchito da eccellenti paragrafi di disanima, alla luce degli obiettivi strategici e dei risultati tattici, delle operazioni descritte. Gli attaccanti hanno raggiunto ciò che si erano prefissato? Il comportamento delle truppe e le dottrine adottate sono stati adeguati? Quale riflesso una certa battaglia ha avuto sul morale dei partecipanti o sul precario fronte interno americano? Queste analisi permettono di elevare il libro dalla semplice “cronaca militare” e penetrare a fondo nei fatti che accaddero. Ecco, a titolo d’esempio, l’acuta analisi che chiude il capitolo dell’offensiva del Tet, una delle svolte della guerra.

Sotto il profilo militare e politico-strategico il Tet fu una devastante sconfitta del Nord e del Fronte nazionale, che avrebbe potuto persino portare al collasso della pur forte volontà di prevalere di Hanoi attraverso la crescente demoralizzazione delle truppe e la scarsità di forze e mezzi di combattimento. Parimenti il Sud aveva dimostrato di saper operare autonomamente e di aver intrapreso la via giusta per vincere la guerra, anche sul terreno umano. Dopo il Tet, paradossalmente, gli americani si trovavano in una situazione di vantaggio poiché il nemico aveva deciso di combattere la guerra preferita da Washington, impiegando in massa e perdendo gran parte delle proprie sfuggenti forze principali. Sfortunatamente, nella capitale statunitense, non esisteva alcuna volontà di cogliere tali successi per vincere la guerra una volta per tutte.

Un grande pregio del libro è costituito dall’apparato, imponente e preciso, di mappe e cartine senza il quale seguire le operazioni sarebbe stato, stante l’esoticità per noi dei luoghi, pressoché impossibile. Mappe e cartine che, oltre ad abbondare quantitativamente, sono anche di qualità elevata: per esempio, sono spesso riportate le unità coinvolte a livello di battaglione; i movimenti di terra ed elitrasportati sono rappresentati con segni grafici diversi.

Dunque, quale tesi sostiene l’autore? Secondo la sua ricostruzione, sostenuta da un imponente apparato bibliografico e sitografico anche molto recente, la guerra del Vietnam, pur presentando caratteristiche non dissimili dalle molte altre guerre centrate attorno a fenomeni di “insorgenza”, acquisì importanza per due motivi:

  1. rappresentò la prima vera sconfitta degli Stati Uniti;
  2. per il ruolo che l’apparato mediatico ebbe sul fronte interno americano.

Se il secondo aspetto è analizzato soltanto a tratti e non in dettaglio – dettaglio non necessario, comunque, perché, oltre ad esulare dal focus del libro, la parola “Vietnam” e il suo significato è ben radicata ancora oggi nell’immaginario occidentale – il primo è invece il cuore del libro, che l’autore sviscera su ogni livello di ambito militare: strategico, operazionale e tattico.

Gli Usa, pur avendo le risorse economiche e i mezzi tecnici per vincere la guerra, furono sempre vittima di una visione strategica incompleta, incoerente o semplicemente errata; essi non furono mai pronti a gettare ogni risorsa – umana, tecnica o militare – nel conflitto, ma perseguirono sempre il “sogno” di un intervento limitato nel tempo e nello spazio; limitazione che non può essere giustificata con la paura di un intervento sovietico o cinese (com’era accaduto in Corea), ma che affonda in ragioni più psicologicamente sottili e inafferrabili. In tale carenza strategica rientrano i mancati e/o tardivi bombardamenti ad alta intensità del Vietnam del Nord (com’era accaduto per la Germania nel 1945) e del sentiero di Ho Chi Minh (la rete logistica che passando per Laos e Cambogia riforniva i Viet Cong e i nordvietnamiti presenti nel Sud); gli Usa, inoltre, perseguirono strategie radicalmente differenti nel corso dei vari anni: ad un fortissimo impegno nel primo periodo (1965-1968, gli anni della famosa “escalation”), basato sull’intento di ripulire il Sud dalle infiltrazioni nordvietnamite nel Sud, seguirono gli anni della “vietnamizzazione” del conflitto e del ritiro delle truppe americane, basati invece su quella che si rivelò una illusione: cioè le possibilità del Sud di resistere “da solo”.

Gli Usa ebbero invece spesso successo sul piano tattico, a riprova della netta superiorità tecnologica e di capacità combattive, aiutati anche da un volume di fuoco di diversi ordini di grandezza superiore a quello nemico; anzi, forse proprio tale superiorità “appiattì” il pensiero militare americano. Con l’aiuto di dati molti precisi, l’autore illustra infatti la sostanziale sconfitta dei nordvietnamiti dopo l’offensiva del Tet, la “pulizia” delle campagne e delle province sudvietnamite dalle infiltrazioni e la progressiva crescita d’autonomia delle forze del Sud. Non viene tuttavia taciuto che anche a livello tattico gli Usa furono autori di gravi errori. Ad esempio, la famosa dottrina del body count, cioè valutare ogni battaglia e scontro con il dato numerico dei nemici uccisi, dottrina deleteria sia sul piano pratico, perché allontanava dai veri obbiettivi strategici, oltre a favorire pratiche disumane (contare e/o uccidere civili come soldati).

Come contraltare alla insipienza strategica americana si erge la granitica coerenza con cui il Vietminh prima e il Vietnam del Nord poi perseguirono obiettivi strategici chiari e definiti. Ho Chi Minh e gli altri leader nordvietnamiti ebbero anzitutto, da sempre, un obbiettivo chiaro e definito: l’indipendenza del proprio paese da ogni dominatore straniero. Tale obiettivo fu sempre perseguito con fermezza e fede quasi fanatica dal fronte del Vietminh come dal popolo, come testimoniano le elevate perdite cui andarono incontro i vietnamiti nel corso del conflitto. Altro grande merito del Vietnam del Nord fu la capacità logistica, determinante nella campagna di Dien Bien Phu e in tutta la seconda fase del conflitto; altrettanto notevole fu la continua evoluzione dell’esercito popolare vietnamita che, nato come forza guerrigliera male o per nulla armata, nel corso di trent’anni divenne una forza altamente addestrata, ben armata e capace di operazioni di armi combinate a livello di corpo d’armata stupendo, ad ogni step, l’intelligence nemica. Nonostante tutto, giova ribadire che anche i vietnamiti commisero errori tattici ed andarono incontro a cocenti fallimenti nell’esplicitare la chiara strategia (questa sì, mai rinnegata) esposta sopra

In definitiva, consiglio questo imponente (oltre 700 pagine, escludendo le note) La guerra del Vietnam di Errico De Gaetano a tutti gli appassionati della storia nella sua declinazione militare di eventi bellici, analizzati con perspicacia dall’autore.


Gli altri saggi di cui ho parlato sul blog
13 marzo – 7 maggio 1954: Dien Bien Phu, la fine del colonialismo francese
Storia della guerra del Vietnam – Stanley Karnow

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