La figura di Caterina Sforza si innalza sullo sfondo delle vicende rinascimentali che attraversarono l’Italia e l’Europa. Figlia del duca milanese Galeazzo, data in sposa ancora bambina al conte Girolamo Riario, si trovò in Romagna a capo di uno Stato piccolo per superficie ma strategico negli equilibri di potere della penisola.
Il suo operato, secondo i racconti e la tradizione orale, oscilla tuttora fra storia e leggenda. Caterina apparve signora capace di strategie spietate, virago dagli appetiti erotici insaziabili, vedova di tre mariti, esperta di studi alchemici. Certo è che seppe mantenere a lungo il proprio dominio entro un sagace equilibrio fra le potenze maggiori del tempo, cedendo, con l’onore delle armi, solo all’esercito del Valentino, condottiero intenzionato ad acquisire un vasto potere nel cuore dell’Italia.

Pagine: 288.
Editore: Diarkos.
Formato: Cartaceo.
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Nel dialogo di epoca rinascimentale De pari aut impari Evae atque Adae peccato (“Sul peccato pari o impari di Adamo ed Eva”), tra l’umanista Isotta Nogarola e il podestà di Verona Lodovico Foscarini, il primo argomento della Nogarola, nella difesa del genere femminile dall’accusa di aver commesso il peccato originale, era in realtà un’ammissione di subordinazione morale e intellettuale della donna in quanto tale, che è “propter fragilitatem” (imperfetta) rispetto all’uomo e anzi creata per la di lui “voluptatem“.
Ho iniziato con questo riferimento extratestuale per inquadrare l’importanza della parabola umana e politica di Caterina Sforza (1463-1509), signora di Imola e contessa di Forlì, il cui personaggio acquisisce, per l’appunto, interesse alla luce di queste considerazioni. Caterina fu, senza mai vergognarsene e con punte di arroganza inusitata per una donna dell’epoca, una persona di potere, potere che ella decise di esercitare; un potere a cui, per nascita, non era destinata. Un potere che ella mantenne tra congiure ricorrenti e odii inestinguibili (poche epoche sono state più conflittuali dell’Italia signorile e rinascimentale).

L’autore ricostruisce la vicenda di Caterina Sforza a tutto tondo. Il focus principale è, ovviamente, politico. Caterina era una delle figlie del duca di Milano Galeazzo Sforza e della sua amanto Lucrezia Landriani (e fu legittimata soltanto in un secondo momento). Il duca suo padre la destinò, giovanissima, ad un matrimonio politico: quello con Girolamo Riario (1443-1488), nipote del papa Sisto IV (in carica 1471-1484), in un momento in cui Venezia, Milano e la Santa Sede erano alleate in funzione anti-fiorentina. A Riario venne data la signoria di alcune città romagnole, fra cui Imola prima e Forlì in un secondo momento.
L’autore ci racconta dunque le numerose e complicate vicissitudini della vita della nostra, segnata da non pochi eventi tragici: la morte del papa prima e del marito pochi anni dopo, a seguito di una congiura della famiglia Orsi. Fu proprio in questa occasione che Caterina venne definitivamente alla ribalta: ella ingannò i congiurati, convincendoli a lasciarla entrare nella rocca di Ravaldino, centrale nelle difese del territorio, da cui poi ella minacciò i congiurati, resistendo alle loro intimidazioni e, alla minaccia di uccidere i figli (come ricorda Machiavelli nei Discorsi):
per mostrare che de’ suoi figliuoli non si curava, mostrò loro le membra genitali, dicendo che aveva ancora il modo a rifarne. Così costoro, scarsi di consiglio e tardi avvedutisi del loro errore, con uno perpetuo esilio patirono pena della poca prudenza loro.

Accanto alla Caterina politica, l’autore ci racconta anche la Caterina privata (del resto i due aspetti sono strettamente intrecciati); anche qui la nostra non fu affatto una donna comune, né aderì agli stereotipi dell’epoca. Dopo la morte del marito ella ebbe numerose relazioni, due delle quali furono sancite da nozze più o meno segrete (nel caso di Giacome Feo e poi di Giovanni de’ Medici). Le tensioni politiche irruppero anche qui: Giacomo (1471-1495) fu vittima di un’ennesima congiura, dopo la quale Caterina fu protagonista di una repressione ferocissima.
L’autore non nasconde lo scarso feeling tra le popolazioni di Imola e Forlì e la loro signora; relazioni esacerbate dall’invasione dei Francesi di Carlo VIII che, nell’ottobre del 1494, assediarono e saccheggiarono il borgo fortificato di Mordano, nei pressi di Imola. Disamore verso la propria signora che si confermò anche nell’epilogo della nostra, quando gli esercito di Cesare Borgia entrarono ad Imola e Forlì senza grosse resistenze; Caterina resistette impavidamente per molti giorni nella rocca di Ravaldino, suscitando ammirazione presso molti contemporanei; infine, la potenza delle artiglierie la costrinse alla resa. Tali vicende non abbatterono Caterina che, dopo la prigionia a Roma, visse un esilio dorato in Toscana, fino alla morte pochi anni dopo.
Il testo non è appesantito da note o discussioni storiografiche, senza per questo risultare povero. Tutti i necessari riferimenti sono infatti già presenti nel testo stesso; per chi volesse, la bibliografia in coda è sufficientemente nutrita per approfondire l’epoca e i personaggi coinvolti.

Il capitolo finale, che ho trovato molto interessante nella sua varietà, ci proietta in una dimensione ben diversa da quella delle pagine precedenti: l’autore infatti analizza il “ricettario” (per usare una parola riduttiva), giunto fino a noi dopo varie vicissitudini, in cui la stessa Caterina Sforza raccolse i risultati dei propri “esperimenti” di carattere naturalistico, cosmetico, sanitario, che affondano nella tradizione erboristica locale: si passa così da un liquido capace di “far crescere li capelli longhi insino at terra” ad una ricetta per un composto che cura le persone lunatiche e/o depresse, senza dimenticare problemi di natura sessuale, rivolti sia agli uomini e alle donne.
In definitiva, un libro consigliatissimo per tutti gli appassionati del periodo rinascimentale.