di Stefano Basilico
L’epopea della Divisione Navale d’Oriente della Marina Imperiale Tedesca nei Mari del Sud: da Tsingtao alle Falklands (estate-autunno 1914).
Nel dicembre di 106 anni fa, nelle acque delle Isole Falklands/Malvinas, giungeva alla sua drammatica conclusione la epopea della Squadra Navale dell’Estremo Oriente della Marina Imperiale Tedesca (Kaiserliche Marine), guidata dal contrammiraglio Maximilian Graf von Spee. Perché di epopea si tratta: e forse, insieme a quegli incrociatori (ma idealmente anche con le unità britanniche affondate poco più di un mese prima in Oceano Pacifico nelle acque di Coronel, al largo della costa cilena) si perdeva ugualmente anche una parte di quel mondo di cui erano espressione…
Ma andiamo con ordine. La saga aveva avuto inizio in Cina, nell’estate del 1914, a Tsingtao: città che all’epoca era il capoluogo di una fiorente colonia tedesca e il cui porto era la base delle unità del Ostasiatische Kreuzergeschwader. Il nerbo, e la punta di lancia della squadra, erano i due incrociatori corazzati intitolati a Gehrard von Scharnhorst e August Neidhardt Gneisenau, i due alti ufficiali che ebbero un ruolo cruciale nella riforma e moderna organizzazione dell’esercito prussiano, poi tedesco[1]. I due Panzerkreuzern gemelli, entrambi varati nel 1906 – dislocamento 11.600 tonnellate, armamento principale 8 cannoni da 210 e 6 da 150 mm, oltre 22 nodi di velocità – erano due autentici fuoriclasse: i loro equipaggi (764 uomini per unità) erano esperti e perfettamente addestrati; i loro cannonieri avevano vinto per due volte – negli anni immediatamente precedenti al 1914 – la Coppa del Kaiser riservata alle navi più abili nel tiro, prevalendo sulle unità della Flotta d’Alto Mare (Hochseeflotte) dislocata in acque metropolitane.
Maximilian von Spee
Il grado di coesione e preparazione degli equipaggi, che si riscontrava ugualmente elevatissimo anche negli altri incrociatori leggeri Emden, Dresden, Nürnberg e Leipzig, era sicuramente da ascrivere a Von Spee, che condusse il comando con grandissima attenzione e cura quasi certosina dei minimi dettagli, ben conscio della delicatezza del compito che gli era stato affidato già a far tempo dal 1912. Nato nel 1861, si era arruolato nella Kaiserliche Marine nel 1878; nel periodo 1887-1888 aveva comandato i porti del Camerun (all’epoca colonia tedesca in Africa). Nominato capitano di vascello nel 1905, ricoprì varie posizioni superiori nel campo dello sviluppo degli armamenti, fu quindi nominato capo di stato maggiore del comando del Mare del Nord nel 1908. Avendo accumulato grande esperienza in missioni d’oltremare ed essendosi anche distinto nelle operazioni per sedare la Rivolta dei Boxers (1899-1901), fu poi promosso contrammiraglio nel gennaio 1910 e con successivo affido del comando della Squadra Navale dell’Estremo Oriente, come detto nel 1912. In precedenza, all’età di 28 anni, si era sposato con la baronessa Margarethe Osten Sacken: un matrimonio felice, in più la gioia – accompagnata a soddisfazione professionale – di condividere con i suoi figli Otto e Heinrich (ugualmente imbarcati come ufficiali su due degli incrociatori della Squadra) la vita e le missioni in mare.

Dopo che il 28 giugno del 1914 gli spari di Sarajevo avevano scatenato l’ennesima fase di acutissima tensione tra le cancellerie europee (che già avevano affrontato in successione – tra gli altri – le crisi di Fashoda e di Tangeri, l’incidente di Agadir, le guerre balcaniche ed il conflitto italo-turco), ed il crescendo di minacce ed ultimatum del successivo luglio 1914, Von Spee decise di non tenere in porto le sue navi per evitare di farsi imbottigliare: l’esempio di ciò che era capitato alla flotta russa di base a Port Arthur, nella guerra del 1904-1905, era ancora ben vivo nella memoria di tutti[2]. Dai compiti di pattugliamento affidati all’Emden di Von Müller alle missioni a largo raggio per Nürnberg e Dresden (dalle isole Hawaii al Golfo del Messico). Il 2 agosto, all’immediata viglia dello scoppio delle ostilità e mentre le truppe tedesche schierate sul fronte occidentale si apprestavano ad eseguire il “Piano Schlieffen” e quelle schierate sul confine della Prussia Orientale erano in attesa di contrastare l’avanzata dei Russi nella zona dei Laghi Masuri, i tempi erano ormai maturi perché le navi da guerra tedesche, accompagnate da una serie di bastimenti onerari e da trasporto carichi di rifornimenti, lasciassero definitivamente le coste della Cina per mettersi in navigazione, dirette a Levante.
La corsa nel Pacifico
Dopo una lunga corsa attraverso l’Oceano, con un itinerario che a tratti sembra a fare invidia a quello di una Agenzia turistica, ma che risultò segnato dalla costante preoccupazione di assicurare la catena dei rifornimenti, nonché da alcune azioni navali, il 14 ottobre 1914 la Divisione Navale d’Oriente – dopo aver dato fondo alle ancore nelle acque dell’Isola di Pasqua – veniva raggiunta dal Leipzig e dal Dresden.

Mancava però l’Emden, che in data 14 agosto dopo la sosta alle isole Pagan, aveva chiesto ed ottenuto di potersi staccare dalla Squadra per dedicarsi alla “guerra da corsa” in solitario: oltre ad una nutrita serie di affondamenti di navi da trasporto avversarie, Von Müller avrebbe condotto la sua nave ad audaci e vittoriose incursioni a Madras e a Pulo Penang, prima di essere affondato in data 9 novembre dall’incrociatore australiano Sidney alle Isole Cocos-Keeling, appena dopo aver sbarcato una compagnia di fanteria di marina con il compito di danneggiare la potente stazione telegrafica locale.
I marinai dell’Emden, malgrado l’affondamento della loro unità, guidati dal Tenente di Vascello Hellmuth Von Mücke riusciranno a fare ritorno in Europa dopo un viaggio interminabile, e pieno di peripezie, solo nella domenica di Pentecoste del 1915, per mettersi a disposizione dell’Ammiraglio Wilhelm Souchon che comandava la divisione degli incrociatori Goeben e Breslau nelle acque dei Dardanelli. Ma questa è un’altra storia…
All’ancora all’Isola di Pasqua risultavano quindi presenti gli incrociatori corazzati Scharnhorst (nave ammiraglia) e Gneisenau, con gli incrociatori leggeri Dresden, Nürnberg e Leipzig. Proprio queste ultime due unità, che erano giunte all’appuntamento provenendo rispettivamente da Honolulu e dalle coste del Perù, avevano portato ulteriori notizie sull’andamento della guerra nello scenario europeo: a occidente, il Piano Schlieffen (basato sulla dottrina strategica dell’aggiramento e della replica della vittoria di Annibale a Canne, il 2 agosto del 216 a.C.) sembrava avere successo; in più la Battaglia delle Frontiere era stata vinta, e la Francia sembrava sul punto di crollare come nel 1870; sul fronte est, Hindenburg aveva annientato le armate di Samsonov e Rennenkampf, prima a Tannenberg e poi nella Seconda Battaglia dei Laghi Masuri, respingendo gli invasori dal suolo della Prussia Orientale.


la Battaglia di Tannenberg (26-30 agosto 1914), prima e seconda fase (sotto).
Il morale degli equipaggi era alto, nonostante le notizie ricevute nelle varie tappe eseguite durante il viaggio dalla Cina, in specifico sul destino di Tsingtao (la “loro” città, che era stata per lustri la base della Squadra, e nella quale avevano lasciato un pezzo della loro vita, ricordi e affetti) avessero destato grandi preoccupazioni, confermando le pessimistiche previsioni della vigilia: dopo che venne respinto l’ultimatum del Giappone il 15 agosto, la dichiarazione di guerra nipponica arrivò ufficialmente il giorno 23 agosto; la sproporzione delle forze, dopo la partenza della Squadra, era enorme e lasciava poco spazio alla fantasia: erano rimasti a difendere la città 3600 uomini, con l’appoggio di 4 cannoniere e di un antiquato incrociatore austro-ungarico, mentre i Giapponesi potevano schierare 25000 uomini e la loro flotta. Per una curiosa coincidenza, l’assedio vero e proprio (con cannoneggiamento della piazzaforte per terra e per mare) sarebbe iniziato esattamente il giorno 1° novembre, nella stessa data in cui gli incrociatori di Von Spee si sarebbero scontrati con le navi di Cradock nelle acque dell’Isola di Santa Maria, al largo di Coronel. La preoccupazione c’era, e grande: ma forse si sarebbe fatto in tempo a tornare in soccorso degli assediati; oppure, la guerra sarebbe stata forse vinta prima, e allora tutte le colonie d’oltremare sarebbero tornate al Secondo Impero Tedesco: chissà…[3]

Ma torniamo al viaggio attraverso il Pacifico: segnato come detto da alcune costanti preoccupazioni. In primo luogo, la necessità di provvedere alle necessità dei rifornimenti (carbone, viveri e acqua); per dare un’idea, lo Scharnhorst poteva stivare nei depositi 2000 tonnellate di carbone, per nutrire i ventiseimila cavalli delle sue macchine a triplice espansione: a velocità “economica” bruciava circa cento tonnellate al giorno mentre ad alta velocità ne avrebbe consumate quasi 500, a dieci nodi poteva percorrere più di cinquemila miglia mentre a venti nodi si sarebbe trovato con i carbonili vuoti dopo poco più di 4 giorni di navigazione. Il secondo punto, ugualmente cruciale, consisteva nell’esigenza di mantenere le unità della squadra in condizioni di efficienza meccanica e militare: dall’esecuzione di manovre tattiche alle esercitazioni di tiro, dalla revisione e pulizia delle macchine alle operazioni di carenatura per eliminare i “denti di cane” (incrostazioni che accumulandosi progressivamente sulla superficie esterna degli scafi avevano il potere di diminuire la velocità delle navi), il tutto con la difficoltà di individuare un approdo sicuro idoneo al compimento di tali operazioni.
Perché a dominare il tutto era un terzo punto: fermo restando che la missione della Divisione Navale d’Oriente era in primo luogo la “guerra da corsa” allo scopo di paralizzare i commerci e interrompere le vitali catene di rifornimenti delle nazioni nemiche, c’era la piena consapevolezza di essere l’oggetto di attiva ricerca da parte delle flotte da battaglia di quattro nazioni: Russia, Giappone, Inghilterra e Francia. In più, prendendo in considerazione l’ipotesi – pur ancora remota – che al termine della crociera si ponesse l’alternativa di un tentativo di rientro in acque metropolitane, magari in sinergia con un’uscita della Hochseeflotte ad impegnare la Grand Fleet inglese, non vi era dubbio che ci si sarebbe dovuti aprire la strada a colpi di cannone, ed alla massima velocità possibile…


La prima tappa era stata l’atollo di Truk, nelle Caroline Orientali (che nel 1944 sarebbe stata teatro di una delle principali battaglie aeronavali della Seconda Guerra Mondiale), poi la Divisione Navale era arrivata a Ponapé; qui, in quest’isola che era tra le terre che il Secondo Reich aveva acquisito dalla Spagna successivamente alla guerra ispano-americana del 1898, numerosi degli uomini imbarcati sugli incrociatori avevano avuto il loro battesimo del fuoco: nel 1910, per sedare una sanguinosa rivolta indigena. La successiva tappa fu Pagan, dove le navi partite dalla Cina si riunirono anche con l’Emden: qui Von Spee convocò a bordo dello Scharnhorst una riunione generale dei comandanti, allo scopo di concertare la futura strategia e pianificare il viaggio della Squadra. Il Contrammiraglio espresse l’opinione che facendo perdere le loro tracce attraverso l’Oceano Pacifico, per dirigersi verso il Sud America, la Divisione Navale avrebbe costretto il nemico ad impegnare numerose unità, sia per la loro ricerca che per la protezione delle rotte commerciali; tutti concordarono, meno Von Müller che come già anticipato chiese di potersi distaccare con il suo Emden: alleggerendo di una unità il grosso della Squadra, avrebbe reso meno oneroso il compito dei rifornimenti e nel contempo avrebbe aumentato l’incertezza nel campo avversario. Von Spee diede il suo assenso e il 15 agosto, durante il tragitto verso le Isole Marshall, l’Emden (accompagnato dalla nave carboniera Markomannia) si staccò dal gruppo per fare rotta verso l’Oceano Indiano e le acque della Malesia: verso Madras, e Pulo-Penang.
In un viaggio che si configurava come tutto sommato monotono, ma caratterizzato da attività faticosissime ed incessanti per gli equipaggi, Von Spee decise per l’effettuazione di un’incursione a Tahiti, nella Polinesia Francese: il 22 settembre la squadra tedesca era davanti a Papeete; dopo che i pezzi da 210 dei Panzerkreuzern ebbero ridotto al silenzio le batterie costiere, lo Scharnhorst entrò nel porto, dove affondò la cannoniera Zelée. Il 26 settembre, nell’isola di Nuku Hiva (nel gruppo delle Marchesi), la Divisione Navale poté fermarsi per alcuni giorni: fu quindi possibile fare manutenzione alle macchine e riportare le unità in piena efficienza (dopo molte settimane di navigazione), far scendere a terra gli equipaggi, completare le scorte di provviste e riempire i carbonili dalle navi onerarie.
Ripartiti il 2 ottobre, con rotta sud verso il Tropico del Capricorno (che avrebbero attraversato il 9 ottobre), Scharnhorst, Gneisenau e Nürnberg poterono intercettare i segnali radio del Dresden e del Leipzig, che fedeli alle istruzioni ricevute confermavano la rotta verso l’Isola di Pasqua. Dopo essersi riunita il 14 ottobre, la Divisione Navale d’Oriente riprese la navigazione verso le coste del Cile: vennero captati segnali radio che attestavano della presenza degli incrociatori britannici Monmouth e Glasgow al largo di Valparaiso; poi venne accertata la presenza del Good Hope, incrociatore corazzato della classe “Drake” da 14000 tonnellate, nave ammiraglia della squadra inglese.
La storia stava per gettare i dadi; dopo essersi lasciate alle spalle i giganteschi Moai dell’Isola di Pasqua, ed avere compiuto un’ultima tappa nell’Isola Más Afuera (nel gruppo delle Isole Juan Fernandez), le navi di Von Spee proseguirono ancora verso levante, in direzione della ormai vicina costa cilena, per andare a misurarsi con le unità della Royal Navy. L’ora dello scontro era ormai prossima: la battaglia avverrà nelle acque dell’Isola di Santa Maria, di fronte al golfo di Coronel (1 novembre 1914).
La battaglia di Coronel
Abbiamo già conosciuto Maximilian Graf Von Spee: un ulteriore importante contributo per l’approfondimento della sua personalità si può trarre dalle sue lettere, indirizzate alla amatissima moglie; quasi un intimo diario condiviso: la profondità del suo sentimento per Margarethe; il conforto di una sentita e radicata fede religiosa, la sua lucidità nella consapevolezza disillusa del destino che attende la sua Squadra, a gioco lungo; l’etica che permea il suo carattere sobrio e austero, la correttezza del tratto comportamentale; il suo onore di uomo, e di soldato, deciso a compiere il suo dovere fino in fondo.
Veniamo ora al suo avversario: Sir Christopher “Kit” Cradock era un vero lupo di mare, di lungo corso in acque coloniali, coraggioso fino alla temerarietà e ugualmente fedele al suo giuramento, alla bandiera e all’Impero; degno rappresentante di una stirpe di uomini che aveva forgiato il dominio inglese su mari ed oceani, fino a fare del XIX secolo “il Secolo Inglese”: Howard, Jervis, Hood, Rodney, Collingwood, Drake, Monck, Hughes, Nelson; da capo San Vincenzo a Trincomalee, da Gravelines ad Aboukir, dalle Isole Saints a Capo Trafalgar: “Rule Britannia! Britannia rules the waves”…[4]

Coraggioso e deciso, ma non meno lucido e disincantato; pare di vederlo, seduto nel suo ufficio da dove può vedere i moli di Port Stanley, mentre scorre dispacci gualciti a furia di tenerli in mano: gli avevano aggregato la vegliarda “pre-dreadnought” Canopus (varata nel 1897 e forte di 4 pezzi 305 in torri binate, ma con le macchine talmente in cattivo stato da non permetterle di andare ad una velocità superiore ai 12 nodi), mentre gli avevano negato il potente e moderno incrociatore corazzato Defence (14000 tonnellate, varato nel 1907, artiglieria principale 4 pezzi da 233 in torri binate) che sarebbe rimasto a protezione delle rotte commerciali nella zona dell’estuario del Rio de La Plata.
Poi solleva lo sguardo: dalle finestre, può vedere le altissime sovrastrutture della sua nave ammiraglia, l’incrociatore corazzato Good Hope (14000 tonnellate, varato nel 1901, 2 cannoni da 233 mm e 10 da 152 mm); più lento ed antiquato rispetto ai Panzerkreuzern di Von Spee, e con l’aggravante dei pezzi secondari che – posizionati in casamatta sui fianchi dello scafo e in prossimità della linea di galleggiamento – potevano risultare praticamente inservibili in caso di mare grosso; questo era un problema comune anche alla seconda delle sue unità principali, l’incrociatore corazzato Monmouth (9950 tonnellate, varato ugualmente nel 1901, forte di 14 pezzi da 152 mm). Riflette, perplesso davanti agli ordini, almeno in parte confusi e contraddittori che gli erano arrivati dall’Ammiragliato: a Londra erano al tempo stesso allarmati per la presenza delle temutissime navi tedesche e delusi per il non essere riusciti ad intercettarle prima che arrivassero nelle acque dell’America Latina (cosa che in riva al Tamigi era stata vissuta come un vero e proprio “schiaffo”). Gli avevano messo fretta, doveva uscire ed andare a caccia del nemico: intercettarlo e – possibilmente – annientarlo.
Il Monmouth, insieme all’incrociatore leggero Glasgow (di più recente costruzione e sostanzialmente omologo degli incrociatori leggeri tedeschi), incrociava già nelle acque del Pacifico, davanti a Punta Arenas; a completare la Squadra, il tozzo ed inadeguato Otranto (incrociatore mercantile armato con 8 pezzi da 152 mm); niente Canopus, allora: quelli aveva, e doveva farseli bastare, andando a raggiungerli con il suo Good Hope, e come detto “andare a caccia del nemico”. Consapevole del fatto che il suo destino era segnato, prima di uscire in navigazione consegnò le sue medaglie e decorazioni al Governatore delle Falklands, perché le facesse pervenire alla sua famiglia.
In navigazione, continuava a pensare ai suoi avversari. Già, il “nemico”… Cradock conosceva personalmente Von Spee, ed erano diventati amici: complice il lungo periodo di pace della Belle Epoque, gli scontri tra le marine inglese e tedesca erano fondamentalmente consistiti in regate e gare di canottaggio tra gli equipaggi, che finivano immancabilmente con generosi brindisi alla salute dei rispettivi sovrani; e, in occasione di “visite di cortesia” presso un porto straniero, immancabile era l’organizzazione di ricevimenti e cocktail a bordo delle navi, anche con la partecipazione di eleganti signore, nonché di rappresentanti della alta società locale. In più, era ancora ben vivo in tutti il ricordo delle battaglie combattute fianco a fianco, in Cina contro i Boxers, agli ordini del conte tedesco Waldersee…


Ma la parola stava per toccare ai cannoni: quella di Coronel fu un classico esempio di “battaglia d’incontro”. Nel pomeriggio del giorno di Ognissanti, con un mare che si sarebbe ingrossato fino a “Forza 9”, mentre le navi tedesche si dirigevano verso Coronel per cercare di sorprendere il Glasgow, che avevano saputo essere entrato in rada a prelevare dei dispacci, alle ore 16.20 le due Squadre si avvistarono reciprocamente; le unità si disposero prontamente in linea di fila, secondo il tradizionale schieramento da battaglia: le navi della Kaiserliche Marine verso terra, quelle della Royal Navy verso il largo. Cradock tentò di “stringere” subito verso le unità avversarie per ingaggiare rapidamente il combattimento, mentre Von Spee – sfruttando la superiorità delle sue macchine – avrebbe nelle successive due ore manovrato sistematicamente per mantenersi fuori tiro. Ordini precisi: l’attesa dell’azione, scandita dalle incessanti misurazioni dei telemetristi, come una litania.

Tale tattica, solo apparentemente dilatoria, aveva una ragione ben precisa: nella fase del tramonto, il sole – abbassandosi progressivamente sul mare – abbagliava i cannonieri tedeschi; alle 18.30, il sole scomparve sotto la linea dell’orizzonte: a quel punto, le sagome delle navi inglesi spiccavano nitidissime – come figure nere ritagliate su un fondale luminoso – sul cielo da rosso a violetto, mentre gli incrociatori tedeschi erano ormai scarsamente visibili sullo sfondo scuro della costa cilena. Alle 18.34, Von Spee diede ordine di “serrare” e disporsi a fare fuoco; ai cannonieri dello Scharnhorst bastarono tre salve per fare onore alla loro leggendaria fama: dopo la “forcella”, alla terza bordata dei “210”, il pezzo prodiero del Good Hope si disintegrò in una fiammata arancione. L’ammiraglia tedesca proseguì poi nell’opera di annientamento della nave avversaria, che affonderà poco prima delle 20.00, senza superstiti. Nel frattempo, il Gneisenau analogamente smantellava il Monmouth, riducendolo ad un relitto fiammeggiante; tuttavia questa unità tardò ad affondare: erano già passate le 21.00 quando un siluro del Nürnberg gli diede il colpo di grazia, dopo che la risposta inglese all’intimazione di resa era stata dirigere la luce di un proiettore ad illuminare la bandiera di combattimento, che ancora sventolava. Il Glasgow e l’Otranto, nel frattempo, riuscivano a sottrarsi alla mattanza, facendo perdere le loro tracce nell’imperversare della burrasca. Le due principali navi inglesi, colpite anche rapidamente nei vitali sistemi di trasmissione ed impossibilitate a qualsiasi manovra, avevano potuto mettere a segno solo sei colpi in tutto, di medio calibro, senza causare alcun danno o perdite.
I tedeschi rimangono padroni del campo; è ormai mezzanotte, quando Von Spee raduna la sua Squadra e procede verso settentrione. All’alba del 2 novembre, mentre i raggi di un sole nitido illuminano un mare ancora agitato, lo Scharnhorst passa di controbordo alle unità del Ostasiatische Kreuzergeschwader: segnali a bandierine salgono sulle drizze a comunicare il ringraziamento agli equipaggi per il brillante comportamento ed i migliori auguri dell’Ammiraglio, che saluta militarmente in plancia. Poi, il comando: rotta su Valparaiso.
Nel mentre, è inevitabile che una battaglia come quella di Coronel avesse risvolti (e strascichi) militari, umani, sociali e politici: per entrambe le due nazioni avversarie.
Le conseguenze di Coronel
A Londra, le notizie provenienti dall’emisfero australe avevano scatenato una vera tempesta politica: interrogazioni, e dibattiti di grande asprezza, sia alla Camera dei Lord che a quella dei Comuni; i timori – fino a sconfinare quasi in una psicosi – ingigantiti dallo sbigottimento e dalla “disabitudine alla sconfitta” sul mare, suscitati dal potenziale bellico della squadra tedesca, che era rimasta padrona del campo nei mari dell’America Latina. Come se gli incrociatori della Kaiserliche Marine potessero comparire d’improvviso alla foce del Tamigi: mentre nell’ansietà del momento ci si dimenticava, paradossalmente, della ben più poderosa Hochseeflotte all’ancora a Kiel, Jade e Wilhelmshaven; o del sommergibile U9 che il 22 settembre precedente, nel giro di poche ore aveva affondato nelle acque del Mare del Nord – silurandoli in rapida successione – gli incrociatori corazzati britannici Cressy, Hogue e Aboukir… Il terremoto della dolorosa sconfitta di Coronel toccò i nervi scoperti dell’Ammiragliato, che reagì con l’invio urgente di una poderosa squadra dai porti metropolitani, pur a costo di depauperare temporaneamente la Grand Fleet dei due incrociatori da battaglia Inflexible e Invincible (unità moderne e potenti, entrate in servizio nel 1908, dislocamento 17700 tonnellate, artiglieria principale 8 pezzi da 305 millimetri in torri binate).
Per i Tedeschi, come ovvio, l’esito della Battaglia di Coronel provocò invece un momento di grande euforia, che permise a tutti i membri degli equipaggi di mettere da parte – anche se solo per un attimo – le preoccupazioni, fatiche e vicissitudini dei mesi precedenti, da dopo la partenza dalle coste della Cina. Un momento di gioia quasi liberatoria: poter attraccare con tranquillità a Valparaiso, dopo mesi a carbonare in alto mare; o poter passeggiare per le vie della città, curiosare per negozi ed entrare nei locali, essendo festeggiati e coperti di attenzioni dagli abitanti della città. Dalle lettere di alcuni, anche l’orgoglio della consapevolezza di preservare la pace per la Patria, combattendo ed impegnando il nemico in acque lontane.
Per Von Spee, era chiarissima la necessità di sfruttare politicamente la vittoria del giorno di Ognissanti, presentandosi con la Squadra al gran completo – ed in perfette condizioni – davanti al porto cileno: ed entrarvi trionfalmente, pur rispettandone la neutralità. Rispettoso delle convenzioni dell’epoca, che permettevano l’ingresso di un massimo di tre unità da guerra contemporaneamente e per un periodo massimo di 24 ore, nella mattinata del 3 novembre entrò in rada con i due Panzerkreuzern gemelli e con il Nürnberg; nel frattempo Dresden e Leipzig avrebbero sostato al largo, a protezione delle navi onerarie, per entrarvi in un secondo tempo. Per inciso, la scelta del Nürnberg rispondeva probabilmente ad una “debolezza umana” da parte dell’ammiraglio tedesco, che in un momento come quello voleva avere accanto i suoi figli (in servizio come ufficiali, per l’appunto uno sul Gneisenau e l’altro sul Nürnberg). Quanto al resto, limitò al massimo ricevimenti ed eventi mondani, preoccupandosi invece che le sue navi potessero essere adeguatamente rifornite e – per quanto possibile – manutenute; serrati, proprio in quest’ottica, i contatti con il console generale Cumprecht e con l’ambasciatore Von Eckert.

A fargli rifuggire le occasioni “mondane” erano anche da un lato il suo carattere sobrio, d’altro canto la percezione che il futuro non era certamente roseo, per lui e per la sua squadra: di tali considerazioni, ancora una volta, è pieno riscontro in un’ultima lettera inviata a Margarethe. Inoltre, nella conversazione tenuta con un anziano medico tedesco di marina, ormai in pensione e residente proprio a Valparaiso; dalle sue parole, emerge la consapevolezza: di essere “senza patria”, nel senso di lontano da qualsiasi porto amico; della difficoltà – ai limiti dell’impossibilità – di tentare un ritorno in acque metropolitane: avrebbe dovuto aprirsi la strada contro le unità della Royal Navy, oltre tutto con un munizionamento limitato e nella impossibilità di ripristinarne la dotazione. Conosceva bene gli Inglesi, ne aveva grande rispetto come avversari e sapeva che non avrebbero lasciata invendicata la morte del suo amico Cradock e dei suoi marinai; ma si sarebbe battuto fino all’ultimo, cercando di procurare più danni possibile al nemico.

Rifuggì festeggiamenti ed inviti ad eventi mondani, ma non poté evitare un pranzo presso il locale Circolo Tedesco, al quale partecipò con il suo Stato Maggiore ed una rappresentanza degli ufficiali della Squadra: clima non molto allegro e un po’ “forzato”, anche se inizialmente corretto; finché uno dei “patrioti” locali, chiamando gli astanti all’ennesimo brindisi, si lasciò andare ad un commento inappropriato ed irrispettoso nei confronti degli uomini della Marina britannica: a quel punto, mentre calava improvviso un imbarazzato silenzio, Von Spee si alzò con gli occhi gelidi e ridotti a sottili fessure, e dopo aver brindato alla memoria di Cradock e dei suoi marinai, caduti da eroi mentre si battevano per la loro Patria lontana, lasciò disgustato la sala insieme a tutti i suoi ufficiali. Sulle banchine, mentre si accingevano a tornare a bordo, ancora vennero omaggiati con dei regali, tra cui dei cestini colmi di fragole, una delle prelibatezze del luogo. Una elegante signora porse infine all’ammiraglio un mazzo di fiori: nel baciarle galantemente la mano, le sorrise con tristezza, dicendole: “grazie, Signora: faranno una magnifica figura sulla mia tomba”. Nell’emozione del momento, aveva forse scordato quanto recita una famosa canzone della Marina Tedesca: “sulle tombe dei marinai non fioriscono le rose…”. Poi, dopo che il Dresden e il Leipzig ebbero potuto a loro volta entrare in rada e completare il rifornimento, la Divisione Navale d’Oriente si diresse al largo per fare successivamente rotta a sud.

Da un oceano all’altro
Senza incontrare alcuna unità nemica, il 21 novembre gli incrociatori tedeschi giungevano nel Golfo de Peñas, dando fondo alle ancore nella Baia di San Quentin: tutto intorno all’ancoraggio, uno scenario selvaggio, immerso nel silenzio; montagne coperte di abeti e betulle, con le cime coperte di ghiaccio e neve. La sosta durò per cinque giorni: i messaggi di congratulazioni e delle decorazioni inviate dal Kaiser Guglielmo II per la vittoria di Coronel avevano contribuito ad attenuare l’amarezza per la notizia della resa di Tsingtao agli assedianti giapponesi (in data 16 novembre), nonché dell’annientamento del loro “fratello”, l’incrociatore leggero Emden, affondato il 9 novembre dall’incrociatore australiano Sidney nelle acque delle Isole Cocos-Keeling.
Il morale degli equipaggi si manteneva alto, mentre la Squadra proseguiva ancora verso sud: il 28 novembre, dopo avere costeggiato l’Arcipelago della Regina Adelaide, le unità tedesche avvistarono l’Isola della Desolazione, che segna l’ingresso occidentale dello Stretto di Magellano. A quel punto, le condizioni del mare si erano fatte pessime: sia le navi onerarie che gli incrociatori leggeri (anche stracarichi di tutto il carbone possibile, e con l’acqua che faticava a defluire dagli ombrinali) procedevano a fatica, con rollio ad ampio raggio, mentre meno problematica era la navigazione dei più pesanti Panzerkreuzern.

Dopo aver doppiato Capo Horn in data 2 dicembre, e dopo che il Leipzig ebbe intercettato un veliero carico di 3000 preziose tonnellate di carbone, prontamente requisite, la Divisione tedesca faceva sosta all’Isola Picton (all’uscita orientale del Canale di Beagle): sarebbe stata l’ultima; l’Ammiraglio, che era un appassionato naturalista, ebbe modo di sbarcare ancora, come già aveva fatto a San Quentin, per vedere dal vivo quelle terre ancora piuttosto selvagge. Poi convocò un consiglio di guerra con i suoi comandanti ed ufficiali (come aveva fatto a Pagan, in estate), per decidere in merito alla successiva strategia della campagna: sul Gneisenau, stavolta.
Abbiamo già parlato della consapevole e disincantata lucidità di Von Spee: la decisione di effettuare un’incursione alle Isole Falklands, probabilmente in cuor suo l’aveva già presa; anche se bisogna sempre rifuggire dalla tentazione di facili valutazioni “ex post”, è chiaro che la valenza strategica di quello che si configurava come un autentico “colpo di mano” era limitata: e tale fu il parere espresso anche da alcuni ufficiali (in particolare dal Capitano di Vascello Von Maerker, comandante del Gneisenau). Ma in Von Spee era probabilmente prevalso anche un aspetto “romantico”: oltre alla distruzione del potente apparato trasmettitore ubicato a Port Stanley e alla razzia dei depositi di carbone, il “rapimento” del console inglese avrebbe soprattutto rappresentato una clamorosa risposta alle incursioni delle Marine dell’Intesa nelle isole e colonie tedesche d’oltremare.

della Kaiserliche Marine (1871-1918)
Le argomentazioni relative alla importanza di far perdere le proprie tracce nella distesa d’acqua dell’Atlantico Meridionale per poi risalire verso nord ed andare ad insidiare le rotte commerciali nell’area dalla costa del Brasile all’estuario del Rio de La Plata (da cui partivano vitali rifornimenti per l’Inghilterra) erano sicuramente valide, e coerenti con il principio della prosecuzione della “guerra da corsa” che era la missione principale della Squadra, ma nulla vietava di dedicarvisi successivamente. Quanto all’obbiettivo di tentare poi un – problematico – rientro in acque metropolitane, era del tutto prematuro pensarci: rimaneva ovviamente il problema del munizionamento; in più, ad essere sinceri, era rimasta una diffusa perplessità per il fatto che la Hochseeflotte non si fosse mossa dai porti neanche dopo Coronel; neanche per “cavalcare” l’effetto psicologico della vittoria dei loro camerati nell’emisfero australe, viene da dire.

Ma ancora una volta, la storia stava per gettare i dadi; nella notte del 7 dicembre, le navi tedesche si avvicinarono all’arcipelago delle Falklands: all’alba del giorno 8, il Gneisenau e il Nürnberg si sarebbero presentati davanti all’imbocco della rada di Port Stanley, brandeggiando i loro cannoni.
Dadi truccati, però, ancora una volta: a sancire un destino “cinico e baro”; perché truccati, lo erano stati per Cradock nel pomeriggio del 1° novembre, nelle acque di Coronel…
C’erano infatti due cose che Von Spee non poteva sapere:
- già dalla mattinata precedente una poderosa squadra della Royal Navy aveva dato fondo alle ancore nella rada di Port Stanley, per dare immediato inizio alle operazioni carbonamento, mentre l’ammiraglio tedesco era nella convinzione che le principali unità inglesi avessero da tempo lasciato l’arcipelago per dirigersi in acque sudafricane, nell’ambito delle operazioni contro i Boeri;
- i servizi di Intelligence britannici, tramite la preziosa opera di decrittazione dei messaggi da parte del personale in servizio nella Stanza 40 della “Naval Intelligence Division”, presso la sede londinese dell’Ammiragliato, avevano seguito – quasi passo dopo passo – il cammino degli incrociatori del Kreuzergeschwader già durante l’attraversamento del Pacifico, e poi in acque latino-americane.
Questo secondo elemento da un lato anticipa di un quarto di secolo il ruolo cruciale che i servizi di Intelligence inglesi svolgeranno nella guerra sui mari del secondo conflitto mondiale: per la Regia Marina Italiana, con le drammatiche conseguenze sul flusso dei rifornimenti verso la Quarta Sponda e la “rotta della morte” dei convogli per il Nord Africa, nonché – ancor prima – nella preparazione dell’incursione aeronavale su Taranto (11 novembre 1940) e soprattutto nel susseguirsi degli avvenimenti che furono all’origine del massacro della notte di Capo Matapan (28-29 marzo 1941).
Tuttavia, proprio alla luce di questi elementi di conoscenza, appare a maggior ragione inspiegabile l’incerto ed erratico comportamento dell’Ammiragliato britannico – in certi momenti ai limiti del blocco decisionale – nell’affrontare e gestire la situazione di quell’estate-autunno del 1914; paradigma di tutto, come ovvio, l’aver aggregato alla Squadra di Cradock la pre-dreadnought Canopus negando nel contempo il moderno incrociatore Defence, ed ordinando all’ammiraglio compiti di ricerca ed ingaggio con il nemico che erano già a priori incompatibili con le forze affidatigli.
Tale contraddittorietà era in primo luogo il prodotto di vere e proprie lotte di potere e “faide interne” in seno all’Ammiragliato, dove per esempio il richiamo d’urgenza di Lord Fisher di Kilverstone ad assumere la carica di Primo Lord del Mare, dopo le dimissioni presentate in data 29 ottobre 1914 dal Principe Louis di Battenberg, era stato decisamente mal digerito negli alti gradi della Marina. Il principe Battenberg scontava sicuramente le critiche – anche eccessive – piovutegli addosso dopo un inizio delle operazioni belliche che non era stato in linea con le aspettative: la Battaglia di Helgoland, l’affondamento degli incrociatori corazzati Cressy, Hogue e Aboukir da parte del sommergibile U9 e la perdita della modernissima corazzata Audacious – affondata da una mina – in acque metropolitane, mentre in mari lontani il Karlsruhe, il Könisberg e l’Emden stavano cogliendo importanti successi; guardato con sospetto anche per il suo essere di origine tedesca ed essere imparentato con tedeschi, rappresentava il capro espiatorio ideale.


Tutto molto assurdo, in quanto Battenberg aveva correttamente ed efficacemente servito nella Royal Navy già a far tempo dal 1868 e, sia per detto per inciso, suo figlio Lord Mountbatten (ucciso in un attentato dell’IRA il 27 agosto 1979) fu l’ultimo Viceré dell’India, oltre ad essere lo zio di Elisabetta II, attuale Regina d’Inghilterra.
Ma tant’è. Un ritorno, quello di Fisher: perché fino al 1910 aveva ricoperto la carica di Capo di Stato Maggiore della Marina, e proprio a lui si doveva la paternità della scelta della costruzione di una nuova classe di unità, i Battlecruisers; un ritorno, non scevro di polemiche, ad affiancare il giovane Winston Churchill che ricopriva la carica di Primo Lord dell’Ammiragliato. E proprio alle sue “creature” pensò Fisher per fronteggiare la situazione, sottraendole d’autorità alla Grand Fleet: gli incrociatori da battaglia Invincible e Inflexible (unità entrate in servizio nel 1908, dislocamento 17700 tonnellate, artiglieria principale 8 pezzi da 305 millimetri in torri binate, velocità oltre 25 nodi) avrebbero guidato la squadra che sarebbe stata inviata alle Falklands per affrontare il Kreuzergeschwader, mentre il Princess Royal sarebbe stato dirottato in acque caraibiche nell’eventualità che Von Spee avesse deciso di attraversare il Canale di Panama (che era stato inaugurato il precedente 14 agosto 1914) per entrare in Oceano Atlantico.
Nella politica della “scopa nuova”, di cui era sostenitore, Fisher affidò il comando della Squadra a Sir Frederick Charles Doveton Sturdee, a cui attribuiva una corresponsabilità nelle indecisioni della gestione del Principe Battenberg: come ad offrirgli una possibilità di “redimersi”; una Squadra poderosa, che non lasciava dubbi della volontà inglese di lavare nel sangue la dolorosa sconfitta di Coronel, a oltre un secolo di distanza dall’ultima volta in cui la Royal Navy aveva perso uno scontro: oltre ai due Battlecruisers, vi facevano parte gli incrociatori corazzati Carnarvon (11000 tonnellate, varato nel 1902, 4 pezzi da 190 mm, 22 nodi) e Cornwall e Kent (della classe “Monmouth”), nonché gli incrociatori leggeri Bristol e Glasgow (quest’ultimo, superstite di Coronel).

La Squadra salpò dall’Inghilterra il giorno 11 novembre (anticipando per ragioni pura scaramanzia marinara, la iniziale data prevista per il 13: che cadeva di venerdì…), il giorno 26 era ad Abrolhos Rocks, in acque brasiliane; dopo una riunione dei comandanti, si decise di ripartire subito il giorno successivo (una volta completati i rifornimenti), invece che effettuare una sosta di tre giorni, come programmato: decisive, a tale riguardo, furono le insistenze del comandante del Glasgow, che aveva assistito impotente al disastro consumatosi nelle acque di Coronel.
La battaglia delle Falklands
Una volta arrivata la Squadra, la situazione a Port Stanley era abbastanza caotica, per la verità: le operazioni di carbonamento erano iniziate in modo poco ordinato, il Bristol aveva segnalato di avere noie alle macchine; mentre le altre unità gettarono le ancore, il servizio di vigilanza venne affidato al Kent e più al largo all’incrociatore ausiliario Macedonia; in rada, deliberatamente incagliata nel fango ma pronta ad essere utilizzata come batteria galleggiante con i suoi 4 pezzi da 305 mm, c’era la Canopus.
Alle 5 del mattino del giorno 8 dicembre, il Gneisenau e il Nürnberg si staccarono dal resto della Divisione e diressero con decisione verso l’arcipelago: alle ore 7.30 vennero avvistati dalla signora Folton, locale fedele suddita di Sua Maestà britannica alla quale era stato affidato un servizio di sorveglianza dalla sua casetta, che offriva una splendida vista sulle rotte di avvicinamento a Port Stanley ed era collegata per telefono al semaforo navale più vicino.

L’allarme fu immediatamente lanciato: i profili delle due unità non erano familiari, e dopo la Squadra giunta il giorno prima (ed accolta con autentica esultanza), non erano attesi ulteriori arrivi. La tempestività di quell’avviso si rivelò decisiva: l’Ammiragliato ebbe modo in seguito di esprimere la sua riconoscenza alla signora Folton, regalandole un vassoio d’argento.
Ma torniamo sugli incrociatori tedeschi: poco dopo le 8 Von Maerker, comandante del Gneisenau, individuò tramite il binocolo le antenne della radio sulla collina vicina a Hooker Point, mentre il porto rimaneva ancora fuori dalla vista, occultato dal Sapper Hill e dal promontorio che si protendeva dal Pembroke Point; sull’albero di trinchetto, il tenente di vascello Busche – direttore del tiro – era pronto a dare indicazioni per il brandeggio dei pezzi da 210 mm. Dopo aver avvistato il fumo proveniente dal Macedonia, che rientrava velocemente in porto in quanto del tutto inadeguato ad uno scontro, Busche riferì della presenza di altre più grandi e numerose volute di fumo che gravavano sulla rada: che gli inglesi avessero dato fuoco ai depositi di carbone, per non farli cadere in mano nemica? Poi però vide gli alberi di diverse navi, tra cui infine anche alberi a tripode, inequivocabile segno della presenza di unità pesanti: corazzate moderne del tipo dreadnoughts, o incrociatori da battaglia (battlecruisers), veloci e pesantemente armati. Mentre il Gneisenau avanzava comunque per affrontare il Kent che era uscito dal porto per misurarsi con le unità avversarie, la Canopus – il cui tiro era diretto da un osservatorio – esplose la sua prima bordata: il fuoco dei 305 mm indusse il Panzerkreuzer ad accostare in fuori, seguito dal Nürnberg, mentre dallo Scharnhorst l’ammiraglio Von Spee ordinava ai due incrociatori di sganciarsi; poco dopo, sulle sagole dell’ammiraglia veniva issato un segnale a bandiere: “Riunione”.
La Battaglia delle Falklands, di fatto, si decide in questo momento: e con essa, anche il destino della Divisione Navale d’Oriente; molto si è discusso su questa scelta operata da Von Spee e, pur come sempre rifuggendo da facili valutazioni “ex post”, sembra possibile affermare che tale decisione fu un grave errore. Diverse potevano essere le realistiche – e con ogni probabilità più efficaci – alternative, visto che il grosso della squadra inglese era ancora in porto, intento a carbonare e con le macchine non in pressione:
- sarebbe stato molto più logico che il Gneisenau continuasse a “serrare” sul Kent, sfruttando la sua maggiore potenza balistica e velocità, per cercare di bloccarlo in prossimità dell’imboccatura del porto; inoltre, avvicinandosi a Port Stanley, gli incrociatori tedeschi sarebbero stati fuori portata dalle salve della Canopus, che poteva tirare solo a parabola;
- dopo il Kent, anche le altre navi britanniche avrebbe potuto essere cannoneggiate una alla volta, mentre tentavano di uscire e limitate tanto nei movimenti quanto nel brandeggio dell’artiglieria;[5]
- “extrema ratio”, per ostruire l’ingresso del porto si sarebbe potuto ordinare ad uno degli incrociatori leggeri di attuare una sorta di attacco suicida, bloccando così nella rada l’intera Squadra britannica.
Al contrario tentare di fuggire facendo perdere le proprie tracce nell’Oceano Atlantico, oltretutto nelle condizioni climatiche di straordinaria visibilità di quel giorno, era del tutto irrealistico; se quella di Coronel fu una “battaglia d’incontro”, questa fu una “battaglia d’inseguimento” sul cui esito finale (a fronte del fatto che il peso totale della bordata dei due Battlecruisers era di oltre 4500 kg mentre quello dei due Panzerkreuzern era inferiore a 1600 kg) non potevano sussistere dubbi. Tuttavia, le cose non furono né rapide né semplici: dopo che le navi inglesi furono uscite dal porto (alle 10, quindi oltre 2 ore dopo il primo segnale di avvistamento della signora Folton) si attuò un lungo inseguimento; la battaglia vera e propria iniziò solo alle ore 13, con le prime salve dei 305 dell’Inflexible portati alla massima elevazione. Von Spee, che attese nel rispondere per la distanza (e che aveva nel frattempo inviato un messaggio a Von Maerker, comandante del Gneisenau, per ammettere che aveva avuto ragione nel tentare di opporsi all’incursione sulle Falklands) alle 13,20 ordinò alle sue navi di disperdersi e mosse ad accettare battaglia con i due Panzerkreuzern, per tentare di coprire lo sganciamento dei suoi incrociatori leggeri. Alle 16.17, ormai ridotto ad un relitto, lo Scharnhorst affondava, portando con sé tutto il suo equipaggio; il Gneisenau resistette più a lungo, per poi capovolgersi alle 17.45: dei circa 200 superstiti all’affondamento, furono in pochi a resistere all’acqua gelida per essere tratti in salvo sull’Inflexible; alle 19.15 affondò il Nürnberg sotto i colpi del Kent, mentre il Leipzig costrinse il Cornwall ed il Glasgow ad un lungo inseguimento, per poi ricevere il colpo di grazia solo alle 21.23; il Dresden, che sarà l’unico a scampare alla mattanza, riuscirà a rientrare nell’Oceano Pacifico e continuare la sua crociera, per poi autoaffondarsi nelle acque dell’isola cilena di Más a Tierra il 14 marzo 1915, braccato ancora inesorabilmente dal Glasgow e con i carbonili ormai vuoti.

“Sulle tombe dei marinai non fioriscono le rose…”
Il racconto della Divisione Navale d’Oriente è terminato nelle acque delle Falklands: ne rimane la leggenda, alimentata dai venti che spirano sugli oceani, dal Pacifico all’Atlantico. Ma per chi volesse andare a rendere omaggio alla memoria di uomini valorosi, che hanno combattuto con coraggio e secondo le leggi dell’onore per la loro Patria lontana (accomunando in questo Maximilian Graf Von Spee e Christopher Cradock, e tutti i loro uomini), l’appuntamento è al cimitero di Punta Arenas, quasi all’estremità meridionale del Cile. Le parole incise sulla lastra di quel monumento votivo non possono non richiamare un immortale passo delle Storie di Erodoto (VII, 228): “Viandante, se andrai a Sparta, annuncia là che tu qui ci hai visti giacere, come ha ordinato la legge”: meritano qualche istante di raccoglimento in silenzio, ed un mazzo di fiori.
Appendice tecnico-tattica
La vittoria delle Falklands, che aveva vendicato Coronel, fu salutata con esultanza in Inghilterra; tuttavia, Fisher fu il primo – molto laicamente – ad invitare a guardarsi dai facili trionfalismi: malgrado l’impari confronto di forze, tecnicamente, la capacità di resistenza delle navi tedesche sotto il fuoco fu notevolissima, così come la loro capacità di infliggere danni alle unità nemiche; nel momento in cui in due Panzerkreuzern affondarono, dopo molte ore di inseguimento, all’Inflexible erano rimasti solo 30 proiettili da 305, e ancor meno (22) all’Invincible; malgrado la potenza e (dichiarata) velocità, i Battlecruisers avevano evidenziato grandi limiti: ma il difetto peggiore, la fragilità che derivava dall’aver sacrificato la corazzatura alla velocità, sarebbe emerso drammaticamente solo un anno e mezzo più tardi; allo Skagerrak (31 maggio 1916) gli incrociatori da battaglia della Royal Navy, opposti ad unità di pari potenza balistica, saltarono in aria come castagnole da fiera. Ed il “possente Hood”, epigono della categoria, nel maggio del 1941 si sarebbe disintegrato alla terza salva della Bismarck, nello Stretto di Danimarca.
Quella di sacrificare la corazzatura alla velocità fu una scelta attuata, anni dopo, anche dalla Regia Marina Italiana: con gli stessi disastrosi risultati; paradigmatico a tale proposito, il caso degli incrociatori leggeri della classe “Condottieri”, noti anche come i “cinquemila” (dal loro tonnellaggio standard). A titolo di esempio, il Di Giussano e il Da Barbiano non ebbero scampo nel Canale di Sicilia, cosi come prima di loro il Bande Nere nel Mar Egeo: per completezza, va detto che in molti casi le fantastiche velocità attribuite a queste navi erano state ottenute in test di prova (eseguiti però non a pieno carico, ma talora addirittura a scafo incompleto), mentre in scenario di combattimento i “cinquemila” dimostrarono tutta la loro drammatica fragilità.
Tornando al 1914, anche se può sembrare un paradosso, sembra possibile affermare che da un lato l’evoluzione tecnologica e d’altro canto anche le scelte strategiche adottate posero le premesse per la perdita del tradizionale, secolare dominio dei mari esercitato dalla Royal Navy:
- la comparsa della Dreadnought (entrata in servizio nel 1906 e basata sul progetto di corazzata monocalibra dell’italiano Vittorio Cuniberti) rappresentò un’autentica rivoluzione concettuale; segnò autenticamente un “ante” e un “post” nella storia della strategia e guerra navale, rendendo automaticamente obsolete gran parte delle flotte esistenti nel mondo e archiviando in modo probabilmente definitivo il dogma del “Two Power Standard”[6];
- la progettazione e varo dei Battlecruisers, ben lungi dal potenziare quello che era ato il braccio armato della potenza inglese (gli incrociatori erano stati il vero strumento del dominio inglese britannico sui sette mari, già dai secoli precedenti), indebolì ulteriormente la Royal Navy.
Infine, si può dire che lo “zenit” del ruolo cruciale di unità pesanti di superficie sia stato storicamente rappresentato dalla Battaglia di Tsushima (27-28 maggio 1905); per l’ultima volta, una battaglia navale combattuta tra divisioni di corazzate ed incrociatori sarebbe stata decisiva per le sorti di un conflitto. Le attese per un episodio di analoga portata anche per la Prima Guerra Mondiale (con uno scontro decisivo tra la Hochseeflotte e la Grand Fleet) non furono rispettate: tale non fu – e non avrebbe potuto essere – la Battaglia dello Jutland/Skagerrak; un quarto di secolo dopo, il 10 dicembre 1941, l’affondamento della corazzata Prince of Wales e dell’incrociatore da battaglia Repulse nelle acque della Malesia (ad opera di aerosiluranti giapponesi) avrebbe sancito il definito predominio della componente aeronavale nella guerra sui mari.
Bibliografia essenziale
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Castroviejo Cristino Vicente, Submarinos alemanes en la Gran Guerra 1914-1918. Almena Ediciones, Madrid 2004.
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De La Sierra Luis, El mar en la Gran Guerra. Editorial Juventud, Barcelona 1984.
De Risio Carlo, I 75 giorni delle Falklands. Mursia, Milano 1982-1983.
Dupuis Dobrillo, Agguato sugli oceani – I “Corsari” tedeschi della Prima Guerra Mondiale. Mursia, Milano 1981.
Grove Eric, Great Battles of the Royal Navy. Arms and Armour, London 1994.
Hough Richard, La caccia all’Ammiraglio Von Spee. Longanesi, Milano 1971.
Irving John, La chasse aux Croiseurs Allemands – Coronel et les Falklands (1er novembre – 8 décembre 1914). Payot, Paris 1928.
Jennings John, Emden Nave Corsara – La cronistoria di una nave corsara e cortese. Longanesi, Milano 1968.
Mille Mateo, Historia Naval de la Gran Guerra 1914-1918. Inédita Editores, Barcelona 2010.
Pitt Barrie, Coronel and Falklands – Two great naval battles of the First World War. Cassel & Co., London 1960.
Pochhammer Hans, L’ultima crociera dell’Ammiraglio Spee (Battaglie Navali di Coronel e Falklands). Marangoni, Milano 1933.
Raeder Erich, La guerra degli incrociatori in acque straniere – Volume I, La Squadra da Crociera. La guerra sul mare 1914-1918 – Pubblicazione dell’Archivio della Marina Germanica. Edizione a cura dello Stabilimento Poligrafico per l’Amministrazione dello Stato, Roma 1927.
Rocca Gianni, Fucilate gli ammiragli – La tragedia della Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale. Mondadori, Milano 1987.
Santoni Alberto, Guerra segreta sugli oceani. Mursia, Milano 1984.
Santoni Alberto, Il primo Ultra Secret – L’influenza delle decrittazioni britanniche sulle operazioni navali della guerra 1914-1918. Mursia, Milano 1985.
Santoni Alberto, Il vero traditore – Il ruolo documentato di ULTRA nella guerra del Mediterraneo. Mursia, Milano 1981.
Taschenbuch der Kriegflotten – XV Jahrgang 1914. JF Lehmann’s Verlag, Munchen 1914, Neuauflage 1968.
Thiess Frank, Tsushima – Il romanzo di una guerra navale. Einaudi, Torino 1962.
Tuchman Barbara, I cannoni d’agosto. Garzanti, Milano 1973
Tuleja Thaddeus V, Gli dei del mare. Longanesi, Milano 1966
Von Mücke Helmuth, Emden 1914 – Las hazañas del famoso crucero alemán en los mares de Oriente. Inédita Editores, Barcelona 2009.
Note
1] sia detto per inciso, Gneisenau può essere considerato il vero artefice della vittoria anglo-prussiana a Waterloo (18 giugno 1815): dopo la sconfitta a Ligny, dove Blücher era stato ferito, assunse personalmente il comando delle truppe prussiane dirigendone una ritirata ordinata e decidendo di andare ad attestarsi laddove avrebbe potuto andare a ricongiungersi con l’esercito di Wellington, qualora ciò fosse risultato necessario…
[2] La decisione di Von Spee, in realtà, sempre sulla base di quanto successo alla “Prima Squadra del Pacifico” appare ragionevolmente ascrivibile anche alla preoccupazione di un attacco proditorio (cioè senza preavviso) da parte dei Giapponesi: nella notte dell’8 febbraio 1904 (prima della dichiarazione di guerra), proprio in seguito all’azione di motosiluranti nipponiche sulle navi russe all’ancora a Port Arthur risultano danneggiati l’incrociatore pesante Pallada, oltre alle corazzate Revitzan e Tsesarevic (nave ammiraglia); visti i precedenti, la possibilità che i Giapponesi decidessero di silurare a tradimento le unità della Kaiserliche Marine non poteva certo essere scartata a priori…
[3] per completezza, Tsingtao si sarebbe arresa in data 16 novembre 1914
[4] Dal testo di un canto patriottico inglese, composto da James Thomson nel 1740 e successivamente musicato da Thomas Arne; è considerata la marcia più famosa del Regno Unito, dopo l’inno nazionale “God Save the Queen”
[5] Una situazione che, almeno in parte, avrebbe riproposto lo scenario dell’uscita delle navi della squadra dell’Ammiraglio Pascual Cervera dall’ancoraggio di Santiago de Cuba, nel 1898
[6] Così era noto l’assioma che aveva sancito il secolare dominio e primato della Royal Navy sui mari ed oceani del mondo: cioè il principio secondo il quale la potenza della flotta britannica fosse pari alla somma della seconda e terza marina del “ranking mondiale”
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