13 marzo – 7 maggio 1954: Dien Bien Phu, la fine del colonialismo francese

La battaglia di Dien Bien Phu segnò la fine del secolare dominio francese sulla cosiddetta “Indocina”, ovvero il nome con cui qui in Occidente si sommavano insieme gli attuali paesi di Vietnam, Laos e Cambogia. In questo articolo, non ho l’ambizione di raccontare l’intera battaglia, ma illuminare alcuni singoli aspetti: dalla strategia alla logistica, dall’eroismo dei dan cong vietnamiti a quello dei parà francesi.

Premessa

La guerra d’Indocina si può sintetizzare come il tentativo del Vietminh, principale forza della Repubblica Democratica del Vietnam, proclamata il 2 settembre 1945 da Ho Chi Minh, di acquisire il controllo di aree sempre più vaste del territorio e logorare i francesi, così da indurli ad andarsene. Il Vietminh aveva il controllo di ampie aree del nord, ma era più debole al sud; all’inzio della guerra, inoltre, non possedeva il controllo di Hanoi e del porto di Hai Phong. Fondamentale fu la conquista nel 1950 della Route Coloniale 4, che costeggiava il confine con la Cina: da quel momento in poi, i nordvietnamiti poterono contare sui rifornimenti della Cina oltre che sulla possibilità di addestrare, nello stesso paese, le proprie truppe.

Dien Bien Phu nasce come il tentativo francese di stabilire un base, al confine tra Vietnam e Laos, da cui controllare quest’ultimo paese e prevenire le infiltrazioni nordvietnamite.

Le origini di un disastro

La sottovalutazione da parte del comando francese delle capacità logistiche dei vietnamiti portò alla disastrosa scelta di allestire, per la campagna del 1953-54, una grande base aerea nella valle del fiume Nam Yum, vicino al confine tra Vietnam e Laos, con l’obiettivo di stabilizzare la situazione in quest’ultimo paese.

La strategia del generale Henri Eugène Navarre, comandante supremo francese, era, nel complesso, quella di perseguire una “difesa attiva” volta ad acquisire una forte posizione in vista delle trattative di pace; tale strategia aveva dato buoni esiti nella battaglia di Na San, sul finire del 1952. Navarre sperava di replicare su base più vasta quanto già accaduto. La valle di Dien Bien Phu è un ovale lungo circa 17-20 km e largo 5-6, circondata da rilievi alti centinaia di metri: una posizione non facilmente difendibile. Convinzione dei francesi era che i vietnamiti, privi di aeronautica, non potessero materialmente concentrare più di una o due divisioni nella regione, perché difficilissimo era far giungere i rifornimenti; ancor più improbabile era ritenuta la possiblità di portare pezzi d’artiglieria nella giungla.

Una bella cartina che però non illumina il fatto che i vietnamiti partivano da posizioni sopraelevate, che dominavano la valle.

Tra novembre e dicembre del 1953, l’operazione “Castore” portò dunque al lancio di quasi 11mila uomini, sostenuti da una decina di carri armati. Fra essi vi erano i temuti ed esperti battaglioni della Legione Straniera ma anche numerosi reparti coloniali marocchini, algerini, laotiani e vietnamiti. Loro comandante in capo era il colonnello Christian de Castries, per vocazione e storia esperto nella guerra offensiva, non in quella difensiva. Questa carenza (o diversa priorità strategica, data la necessità di costruire piste d’atterraggio) si può riscontrare nella non eccellente disposizione delle fortificazioni: la principale ridotta francese, Isabelle, era isolata dalle altre del gruppo centrale (Eliane, Dominique, Claudine) e da quelle più a nord (Beatrice, Gabrielle, Anne-Marie). Anche lo stato delle fortificazioni, a causa della difficoltà dei rifornimenti aerei, non fu eccellente; del resto, non si pensava che si sarebbe dovuto fronteggiare qualcosa di più di armi leggeri o cannoni di piccoli calibro. La condotta di de Castries, comunque, fu molto criticata dai suoi stessi uomini.

Un equivoco strategico, errori tattici e, peggio di ogni altra cosa, la sottovalutazione del nemico. Nonostante ciò, è doveroso ricordare che le truppe francesi, composte come detto anche di reparti coloniali e che annoveravano numerosi elementi tedeschi, italiani, belgi e di altre nazionalità europee e non, si batterono, quasi tutte, molto bene, resistendo non meno di due mesi ad una situazione difficilissima.

Il colonnello de Castries.

Nel post di domani vedremo quali furono invece i preparativi dei loro avversari; sveleremo quale fu la insospettabile “arma segreta” dei vietnamiti e quale decisione fondamentale fu presa dal generale Vo Nguyen Giap nel gennaio del 1954.

L’arma segreta dei vietnamiti: la logistica

La concentrazione di forze francesi nella valle di Dien Bien Phu, sul finire del 1953, allertò l’Esercito Popolare Vietnamita. Il generale Giap comprese subito la grande occasione che il nemico, concentrando le sue migliori truppe in un posto così sperduto, gli offriva.

L’arma segreta dei vietnamiti: la bicicletta!

Tuttavia, nessuna occasione avrebbe mai potuto essere colta senza portare, sul posto, forze adeguate per costringere il nemico (che si rivelò agguerrito e coriaceo) alla resa; altrettanto fondamentale era garantire un costante rifornimento di cibo, vettovaglie e munizioni ai combattenti. Dien Bien Phu era impervia per i francesi come per i nordvietnamiti (che all’epoca controllavano ampie zone del nord del paese ma poche del sud; comunque, non le grandi città di Hanoi e Haiphong). I vietnamiti operarono infatti a quasi 400 km dalle proprie basi nella regione del Viet Bac. La guarnigione francese, come sappiamo, tentò un difficile ponte aereo, reso possibile anche dall’aiuto americano, tra Hanoi e Dien Bien Phu.

Il Vietnam non aveva alcuna aeronautica. La soluzione fu dichiarata il 6 dicembre 1953 dal Politburo del Vietminh. Fu proclamata la campagna “Tutto per Dien Bien Phu”, ovvero una mobilitazione generale della popolazione ed una capillare organizzazione logistica. Nel giro di due o tre mesi furono costruite (e scavate nella montagna) strade e sentieri, realizzati ponti, per collegare le regioni controllate dai nordvietnamiti con la valle di Dien Bien Phu. Documenti recentemente desecretati hanno rivelato l’imponente sforzo messo in campo dai vietnamiti. Tra il 1953 e il 1954, 260mila “dan cong” trasportarono 17mila tonnellate di riso e 3-400 di carne, vegetali, frutta secca, sale e zucchero. Questo, senza contare i rifornimenti di munizioni.

Apertura di una strada da parte dei dan cong.

Eroe di questa battaglia silenziosa fu il “dan cong“, il trasportatore vietnamita (senza dimenticare le numerose trasportatrici) che, a mano o in sella ad un bicicletta, portò per centinaia di km un peso medio di cinquanta-sessanta kg (se a piedi) o centocinquanta-duecento se (se in bici) di riso, munizioni. Leggendaria è rimasta l’impresa del compagno Ma Va Thang, che effettuò un singolo viaggio caricando 352 kg su una sola bici da egli stesso modificato con dei manubri aggiuntivi fatti con canne di bambù.

Il Vietnam riuscì anche a mobilitare numerosi camion che portarono tra i due terzi e i tre quarti del rifornimento totale; ma in molti casi, i bombardamenti francesi, la necessità di procedere di notte, le difficoltà delle strade dissestate e infangate, rese imprescindibile il contributo dei più agili “dan cong”, che potevano arrivare laddove i camion erano impediti.

Le strade realizzate dai vietnamiti tra ’53 e ’54 per rifornire le truppe concentrate a Dien Bien Phu.

Così un “dan cong” ricorda quei giorni:

“I piedi di molti compagni sanguinavnao perché usavano i sandali di gomma come un freno per far scivolare le bici in discesa Le loro mani avevano vesciche ed erano gonfie. Dopo aver bendato le ferite, continuavano il viaggio. Le loro spalle svilupparono calli. Nonostante soffrissimo di malaria, abbiamo sempre fatto del nostro meglio per portare a termine la missione.”

Questo imponente sforzo popolare permise di dislocare e mantenere per diversi mesi, attorno alla valle di Dien Bien Phu, non le due divisioni prive di artiglieria pensate dai servizi francesi, ma ben quattro divisioni, un reggimento distaccato e soprattutto una divisione “pesante”, la 351a, che inglobava l’intera artiglieria vietnamita (24 obici da 105mmm che i cinesi avevano catturato agli americani in Corea, 35-40 pezzi di calibro minore, 35-50 mortai). Tutte le unità avevano inoltre artiglieria contraerea, per un totale di un centinaio di pezzi.

Dan cong a piedi.

Tale sforzo logistico fu mantenuto per i sei mesi della campagna e fu ulteriormente rafforzato quando il generale Giap, nel gennaio del 1954, effettuò una storica scelta strategica. Nonostante il consiglio di senso opposto degli addetti militari cinesi (che propendevano per una tattica di “maree umane” contro forze inferiori, come sperimentato in Corea) Vo Nguyen Giap, un ex-professore di liceo che non avevo mai avuto altro addestramento che la teoria militare letta sui libri e l’esperienza sul campo dal 1941 in poi, comprese che tale tattica, contro gli agguerriti parà della Legione Straniera, avrebbe vanificato la vita di migliaia dei suoi soldati e decise di cambiare strategia: dalla “lotta rapida, vittoria rapida” alla più prudente “lotta costante, avanzata costante”.

Vo Nguyen Giap, l’ex-professore di liceo e appassionato di storia militare che sconfisse i “ben addestrati” ufficiali francesi.

Con il bombardamento della postazione Beatrice, il 13 marzo 1953, l’assedio di Dien Bien Phu, fatto di bombardamenti, trincee e lento logoramento (qualcosa di cui i francesi non ritenevano i vietnamiti capaci), accompagnato da assalti estemporanei, ebbe inizio.

Alcune foto, come la mappa, sono tratte dal libro “Contested Territory – Dien Bien Phu and the Making of Northwest Vietnam” di Christian C. Lentz (2019, Yale University Press). Il dipinto è un dettaglio di un quadro commemorativo della battaglia.

LINK: La testimonianza di un dan cong

La battaglia per la ridotta Eliane 2

Le limitazioni logistiche, gli errori dell’intelligence e l’idea di mantenere un assetto offensivo indussero i francesi a non fortificare adeguatamente le numerose ridotte costruite nella valle di Dien Bien Phu. Dei modesti rilievi che spiccavano attorno alle opposte rive del Nam Yum la ridotta Eliane numero 2 era l’unica dove fossero presenti delle preesistenti strutture in muratura, che furono riutilizzate per erigere fortificazioni e casematte.

La ridotta Eliane, oggi.

Accanto alla collina ne sorgevano altre due, definite Chavue, Calvo, e Proctif, Fasullo, che, pur non fortificate, venivano pattugliate per evitare che fossero occupate dal nemico. Eliane 2 era così dotata di bunker, trincee profonde e riparate, che si rivelarono utili contro l’inaspettata artiglieria vietnamita. Unico punto debole era il pendio, definito poi Champs-Elysées, sul lato sud-est, che dava facile accesso alla sommità. La postazione era difesa dal 1° battaglione parà della Legione straniera, dal 6° e dall’8° battaglione dei parà coloniali, da reparti dei tirailleurs marocchini e della 13a Mezza-Brigata della Legione, sostenuti da alcuni carri M24 Chaffee.

Eliane 2 fu coinvolta nella cosiddetta “Battaglia delle Cinque Colline”, con cui i vietnamiti cercarono di conquistare le postazioni sulla riva est del fiume. Dal 31 marzo al 5 aprile, le forze francesi resistettero a superiori forze nemiche infliggendo gravi perdite (stimate tra mille e duemila uomini). La notte del 31 marzo vide l’assalto del 102° reggimento vietnamita, che raggiunse la sommità degli “Champs-Elysées” venne costretta a desistere dal fuoco dei carri, uno dei quali, colpito ai cingoli da un cannoncino privo di rinculo e immobilizzato, divenne una postazione difensiva. I vietnamiti non riuscono a penetrare nei bunker francesi e si ritirarono. Un ulteriore attacco si svolse il giorno seguente, di nuovo respinto dai francesi.

Eliane 2 è in basso a destra.

Dopo tali difficoltà, i vietnamiti desistettero da un assalto frontale e si diedero alla conquista delle postazioni vicine Eliane 2 (il “monte Calvo” e il “monte Fasullo”) e allo scavo di trincee con cui avvicinarsi in modo sicuro alla postazione nemica.

Eliane 2 cadde soltanto quando i vietnamiti scavarono una profonda mina sotto la casamatta centrale francese: per due settimane, uditi dai francesi, gli zappatori e genieri vietnamiti scavarono per 47 metri nel cuore del collina e imbottirono la mina con una tonnellata di esplosivo. Alle ore 20:30 del 6 maggio la mina fu fatta brillare. Un’intera compagnia fu spazzata via, assieme a parte della collina stessa. I battaglioni del 174° reggimento vietnamita attaccarono quindi da due lati: dalla salita “Champs-Elysées” e da una nuova trincea che era stata scavata da sud-ovest. In questo settore furono anche impiegati i primi lanciarazzi Katyusha inviati dall’Urss. Le restanti unità francesi, scioccate, combatterono ancora fino a notte fonda. Al momento della resa, soltanto 34 uomini degli 850 difensori originari erano rimasti in condizione di combattere.

Soldati vietminh prima di un attacco.

La collina di Eliane 2, con il grande cratere creato dalla mina dei vietnamiti, è oggi uno dei pochi punti intatti del sito della battaglia. Le vicende di questa ridotta dimostrano che adeguate fortificazioni nelle altre ridotte, assenti per carenze logistiche e miopia tattica, avrebbero potuto invalidare l’efficacia dell’artiglieria nordvietnamita, modificando forse le sorti della battaglia.

Uno dei carri francesi (di fattura americana) catturati dai vietnamiti.

L’ultima urrà dei parà francesi

Al 13 marzo, inizio degli attacchi vietnamiti alla postazione Béatrice, Dien Bien Phu era difesa da almeno diecimila uomini. Fra essi, spiccavano i battaglioni dei paracadutisti che, sotto varie denominazioni (paracadutisti coloniali, metropolitani, della legione straniera ecc.) costituirono la componente più agguerrita della guarnigione francese del “GONO” (Groupement Opérationnel du Nord-Ouest).

Nel corso dei due mesi d’assedio, i parà, fra cui vi erano reparti di origine coloniale e persino vietnamita (i cosiddetti “bawouans”), lottarono eroicamente in condizioni sempre più precarie: la stagione delle piogge iniziò assai presto e trasformò le precarie postazioni francesi in un pantano di fango; l’ultimo volo atterrò a Die Bien Phu il 27 marzo e dopo di allora i rifornimenti furono soltanti lanciati.

Lancio di parà a Dien Bien Phu.

Ancor più ammirevoli furono quei reparti e quelle unità che furono lanciati sopra Dien Bien Phu ad assedio iniziato, come rinforzo alla guarnigione. Un esempio è il 6° battaglione dei paracadutisti coloniali comandati dal maggiore (poi tenente colonnello) Marcel Bigeard che, già presenti a Dien Bien Phu e ridislocati prima della battaglia, vi fecero ritorno il 16 marzo e rinforzarono le ridotte Eliane 1 e 4, che tennero, con sorte alterna (Eliane 1 fu perduta, riconquistata e tenuta per l’intera durata degli scontri). Degli 800 parà iniziali, ne sopravvissero soltanto 40 e l’unità, già dissolta per le forti perdite nel 1952, fu di nuovo annientata (poi ricostituita nel 1955 in Tunisia).

L’ufficiale dei parà Marcel Bigeard.

Tali lanci, che avvenivano sotto il fuoco della contraerea vietnamita e delle condizioni meteo sempre più disagevoli, proseguirono per tutti e due i mesi dell’assedio, coinvolgendo anche soldati di altre branche. Gli ultimi ad “entrare dall’alto” a Dien Bien Phu, nella notte tra il 5 e il 6 maggio, furono 94 parà del 1° battaglione dei paracadutisti coloniali, che rinforzarono la ridotta Eliane 2.

Dei 14mila soldati complessivamente impiegati a Dien Bien Phu, circa 2300 morirono in battaglia, 800 furono feriti gravi evacuati prima della fine, 11700, fra cui migliaia di feriti, furono imprigionati. Non pochi morirono nel tentativo finale di fare Camerone, cioè emulare i legionari protagonisti di un eroico episodio dell’intervento francese in Messico (1863).

Prigionieri francesi dopo la battaglia. Le difficoltà logistiche, le precarie condizioni di molti e l’impossibilità di fornire ciò che serviva loro ne provocò la morte di molti.

Un capitolo a parte meriterebbere il rapporto, difficile, tra i parà francesi e il comandante ufficiale della guarnigione, ovvero il colonnello De Castries, che non era un parà e proveniva da una tradizione molto diversa; molte sue scelte furono disobbedite o criticate. Rimane comunque l’ammirazione per l’eroismo dei soldati di ogni nazionalità che, pur combattendo per una causa “persa” (la conferenza di pace di Ginevra ebbe inizio prima della fine della stessa battaglia di Dien Bien Phu) e, forse, ingiusta, mostrarono fino alla fine lealtà al proprio corpo di appartenenza (“Legio Patria Nostra” recita il motto della Legione) e al giuramento prestato.

Ginevra, la pace disattesa

“La Conferenza dichiara che, per quanto concerne il Vietnam, sulla risoluzione dei problemi politici, sulla base dei principi di indipendenza, unità e integrità territoriale, consentirà… libere elezioni a scrutinio segreto…da tenere nel luglio del 1956.”
Conferenza di Ginevra, 20 luglio 1954

La necessità di una soluzione diplomatica alla guerra d’Indocina era emersa già prima della battaglia di Dien Bien Phu (marzo-maggio 1954), anche per la mediazione delle due superpotenze Usa e Urss coinvolte, soprattutto la prima, nel conflitto. Anche la Cina comunista di Mao Tse Tung (ancora non riconosciuta ufficialmente dalle potenze occidentali), che forniva al Vietnam armi e mezzi, fu coinvolta, assieme alla Francia, nelle trattative.

L’Indocina dopo la conferenza di Ginevra.

I delegati presenti erano: Anthony Eden per il Regno Unito; per gli Usa il segretario di stato John Foster Dulles e poi dall’ex-generale Bedell-Smith; per la Cina il capo del governo Zhou Enlai: per la Francia il ministro degli esteri Georges Bidault e poi, dopo un cambio di governo nel luglio, il primo ministro Mendés France; per l’Urss l’inossidabile Molotov; per la Repubblica Democratica del Vietnam (lo stato proclamato da Ho Chi Minh il 2 settembre 1945) il primo ministro Pham Van Dong.

Quali obiettivi guidavano i diversi attori? In quale contesti si andavano ad inserire le sorti dell’Indocina? Dopo la seconda guerra mondiale, per mantenere il proprio impero coloniale, la Francia aveva creato la “Unione francese”, ovvero un insieme di stati o colonie a limitata autonomia interna. Fra essi vi erano anche il Laos, la Cambogia e lo “stato del Vietnam”, che controllava il sud del paese. Obbiettivo dei francesi, dunque, pur sconfitti nella guerra, era che questi stati, a lei vicini, mantenessero il controllo della regione. Gli Usa, ovviamente, non volevano un espansione del comunismo nordvietnamita al sud; Urss e Cina non erano poi così interessati al Vietnam.

I primi, dopo la morte di Stalin, puntavano ad una politica di distensione; inoltre, non fidandosi dei cinesi, non erano certi di potersi di conseguenza fidare dei vietnamiti. La Cina, che soffriva ancora l’isolamente internazionale, non avrebbe gradito un Vietnam unito e indipendente, anche se affine ideologicamente. Nei secoli precedenti, il Vietnam era stato per lunghi anni stato vassallo della Cina, una condizione che a Pechino non sarebbe certo dispiaciuta.

Ngo Dinh Diem, nuovo protagonista della politica del Vietnam del Sud.

Tutti questi fattori portarono ad accordi precari: Laos e Cambogia furono dichiarate indipendenti sotto monarchia autoctone e, de facto, compiacenti dell’Occidente; il Vietnam fu diviso in due, tra lo stato del nord a guida comunista e quello del sud teoricamente guidato dall’ex-imperatore Bao Dai ma ben presto finito sotto la ferrea guida di Ngo Dinh Diem, un membro della comunità cattolica vietnamita e che fu scelto dagli Stati Uniti come proprio rappresentante. Nel 1955 Diem tenne un contestato referendum nel Sud che scalzò Bao Dai e stabilì la repubblica come forma di governo.

Per il Vietnam del Nord, dunque, il risultato della conferenza non fu un successo: la repubblica di Ho Chi Minh ottenne un definitivo riconoscimento internazionale di stato indipendente, ma non l’unità del paese, ovvero ciò che era stato sognato nella rivoluzione dell’agosto 1945. Le ambiguità della pace portarono, pochi anni dopo, all’intervento americano in Vietnam e ad una lunga e nuova guerra.

Ho Chi Minh disse che alcuni vedono “solo gli alberi e non l’intera foresta“; aggiunse in seguito, di fronte alla delusione dei molti per la mancata unità del paese:

“Alcune aree precedentemente libere saranno temporaneamente occupate dal nemico; i loro abitanti saranno insoddisfatti; alcune persone potrebbero cadere preda dello scoraggiamento e dell’inganno nemico. Dovremo spiegare ai nostri compatrioti che le prove che dovranno affrontare per il bene dell’intero paese, per i nostri interessi a lungo termine, saranno motivo di gloria e guadagneranno loro la gratitudine di l’intera nazione.”

Dien Bien Phu oggi

L’urbanistica moderna ha ricoperto molto del vecchio campo di battaglia. Un cimitero vietnamita contiene circa 4000 tombe. Un memoriale è stato eretto dai francesi nel 1994. Alcuni luoghi sono stati ricostruiti (il quartier generale di de Castries e quello di Giap) altri sono stati conservati, come le fortificazioni di Eliane 2 e il cratere provocato dalla mina vietnamita.

Il Museo della Vittoria di Dien Bien Phu ha recentemente aperto al pubblico una nuova sala, dominata da un’imponente opera pittorica circolare di 132 metri di lunghezza e 9 di altezza che raffigura diversi momenti salienti della storica battaglia combattutasi tra il 13 marzo e il 7 maggio 1954, in cui i francesi, nel tentativo di costruire una forte base aerea da cui difendere il Laos, si trovarono intrappolati dalla manovra di accerchiamento condotta in modo logisticamente impeccabile dal generale Võ Nguyên Giáp, che concentrò un elevato numero di forze in mezzo alla giungla, chiudendo i francesi nella conca. Il risultato fu una decisa sconfitta che segnò la fine di ogni velleità di dominio o influenza francese in Indocina.

Torniamo al dipinto. Si divide in quattro sezioni: “la nazione va in battaglia“, “il maestoso preludio“, “Lo storico scontro“, “La vittoria“. Vi compaiono non meno di 4000 figure. Vi hanno lavorato quasi cento giovani artisti delle accademie del paese. E’ inserito in una sala in cui sarà possibile rivivere, anche con l’uso di effetti sonori e di luce, le sensazioni della battaglia.

Spero di visitarlo, un giorno.


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Storia della guerra del Vietnam – Stanley Karnow
2 settembre 1945: Le parole di Ho Chi Minh – L’indipendenza del Vietnam

4 pensieri su “13 marzo – 7 maggio 1954: Dien Bien Phu, la fine del colonialismo francese

  1. Angelo

    Molto interessante. Un conoscente( ora deceduto) che abitava nel mio paese militare della Legione Straniera ci raccontava tutte le peripezie e le sofferenze di quella tremenda guerra. La febbre a 40° e le molte ferite si è salvato grazie ad un contadino vietnamita che l’ ha posto su un carretto coprendolo di sterco d’animale portandolo oltre le linee e consegnandolo alla sua Forza Armata.

    Piace a 1 persona

    1. Grazie per la testimonianza! Non mi stupisce, nella regione di Dien Bien Phu c’erano (e ci sono) minoranze etniche non schierate nel conflitto. Il contributo degli Italiani alla legione straniera fu importante, ma non è ahinoi così ricordato a livello popolare…

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