La corsa al Polo Nord (2) – Cook vs Peary

di Carlo Cavazzuti


Nel precedente episodio abbiamo lasciato il dottore ma anche esperto esploratore Frederick Cook al Polo Nord, dove affermò di esservi arrivato il 21 aprile 1908.

Chi è arrivato prima?

Per farla un poco breve Cook e gli altri membri della spedizione vennero trascinati per chilometri dalla banchisa polare e perduta la via del ritorno e le provviste di emergenza nascoste con essa, furono costretti a passare un inverno artico in una grotta di ghiaccio nutrendosi delle poche razioni rimaste e della misera selvaggina che riuscirono a trovare. Tornati finalmente sulla terra ferma Cook decise di lasciare i suoi diari con le misurazioni e tutti gli strumenti a Rudolph Franke, suo secondo, perché tornasse al campo base e li custodisse per lui assieme a una lettera che lo autorizzasse a farlo. Intanto egli si sarebbe spostato in slitta verso Upernarvik, e da lì via nave in Danimarca.

Mai scelta fu così sbagliata!

Quando un Franke, distrutto dalla marcia, con le vesti stracce, malato ed affamato raggiunse il loro punto di partenza trovò ad attenderlo il tenente Peary che aveva scelto la stessa zona per il suo campo base.

Non gli fece nemmeno servire una tazza di caffè prima che gli fosse raccontato che fine avesse fatto il dottore e una volta scoperto che era giunto al Polo, infuriato per essere stato battuto in quello che credeva essere il suo destino, gli rifiutò qualsiasi aiuto. Si giunse all’accordo secondo cui, per avere un passaggio di ritorno in America, Franke avesse dovuto cedere tutte le provviste nascoste di Cook, le pellicce, le zanne di tricheco e di narvalo che il dottore aveva messo da parte e non potesse portare con sé nulla che appartenesse al dottore.

Tutti gli averi di Cook passarono di mano, gli strumenti e i diari, indispensabili a confermare la conquista del Polo, vennero abbandonati in un nascondiglio. Mai più ritrovato. In più il povero tedesco venne pure costretto a pagare centocinquanta dollari per il passaggio e i viveri consumati durante il viaggio. Viste le condizioni in cui si trovava si fa fatica a biasimarlo, ma così segnò il destino del nostro Frederick Albert Cook.

Anche il signor Peary arrivò, con meno tribolazioni, al Polo Nord dichiarando di averlo raggiunto il 6 aprile 1909, circa un anno dopo il suo compatriota.

Al rientro nei primi luoghi abitati della Danimarca, intanto, Cook mandò un cablogramma al New York Herald:

Raggiunto Polo Nord 21 aprile 1908. Scoperta terra Estremo Nord. Affidato cablogramma esclusivo di 2.000 parole per voi al console danese a Lerwick. In cambio chiedo $ 3.000. Imbarcato su Hans Egede per Copenaghen. Frederick A. Cook

Il trionfo di Cook sui giornali.

Il ritorno di Peary

Cook venne accolto in Danimarca e poi negli Stati Uniti come un eroe: cene con la famiglia reale, medaglie, conferenze e nomine di prestigio, ma al rientro di Peary, anch’egli giunto al Polo, le cose cambiarono molto. Il cablogramma dell’ingegnere al suo ritorno sulla terra ferma fu:

Bandiera a stelle e strisce piantata al Polo Nord. Peary

Alla quale il dottore rispose con un signorile:

C’è abbastanza gloria per ciascuno di noi

L’ingegnere non era però soddisfatto di essere stato battuto e iniziò una campagna diffamatoria verso Cook. Arrivò persino a corrompere gli inuit per dichiarare che non si fossero mai allontanati di molto dalla terra ferma e costringere, a suon di minacce e lauti pagamenti, i membri delle vecchie spedizioni del dottore a ritrattare le scoperte e dire le peggior cose possibili. Uno di loro, Edward Barrill, arrivò persino a ritrattare sull’esito della scalata al Monte McKinley che aveva compiuto anni prima assieme a Cook.

L’assegno a Barrill

Il nostro dottore, di contro, conscio che senza tutti i suoi strumenti perduti non potesse dare conferma della sua spedizione non tentò mai, con troppa foga, di contrastare le accuse che comunque gravarono molto sulla sua condizione economica e famigliare. Si limitò a presentare le sue dichiarazioni e il poco materiale ancora in suo possesso e continuare il suo giro di conferenze lungo gli Stati Uniti.

I giornali si schierarono assieme all’opinione pubblica, gli esperti divennero partigiani di una o dell’altra parte e la faccenda finì nelle mani dei circoli degli esploratori prima e ai giudici poi.

Visti i tanti dati raccolti da Peary, anche se si rifiutò sempre di far sottoporre le sue misurazioni a una giuria di esperti sostenendo che esse non potessero essere rese pubbliche per via di alcuni contratti editoriali, e l’impossibilità di fornirli da parte di Cook il mondo si schierò pian piano con l’appena nominato ammiraglio Peary.

Frederick Cook

Nel 1910, come un eroe sconfitto apparve una dichiarazione pubblica di Cook:

Dopo una matura riflessione confesso di non sapere di aver raggiunto il Polo Nord… Non ho mai messo in dubbio la dichiarazione del comandante Peary riguardo alla sua scoperta. E non lo faccio adesso. Non era mia intenzione appropriarmi di un onore che appartiene soltanto a lui.

Si scoprì poi che i giornalisti avversi al dottore avevano maneggiato di molto la sua dichiarazione per farla sembrare a tutti gli effetti la confessione di bugiardo. Ma tanto fu per bollarlo a vita.

Gli ultimi anni

Visse sotto falso nome per mesi lavorando come medico e pubblicò il suo libro My Attainment of the Pole in cui raccontava del suo viaggio a Nord e in cui appare una dedica che è entrata nella storia.

Agli indiani che inventarono la carne secca e compressa e le racchette da neve. Agli inuit che perfezionarono l’arte di viaggiare in slitta. Alla mia seconda famiglia di indigeni senza bandiera va il riconoscimento più grande.

La prima considerazione pubblica dell’importanza dell’etnia inuit.

Dopo diverse disavventure nel mondo dell’estrazione petrolifera che portarono Cook al divorzio e, tra il 1922 al 1930 (quando venne lasciato libero sulla parola), a scontare ingiustamente anni di galera per un’accusa di truffa ai danni dei suoi azionisti tentò, nel 1936, di far riesaminare il suo caso.

Tutto finì con un nulla di fatto, un poco colpa della cattiva fama che Peary gli aveva costruito addosso, un poco per il poco interesse che la faccenda generava. Ormai era chiaro a tutti che Peary fosse il vero scopritore del Polo Nord.

Si ritirò dalla vita pubblica e dopo un ictus morì a settantacinque anni il 5 agosto 1940, all’ospedale di New Rochelle, New York. Amundsen che lo andò a trovare in convalescenza gli raccontò di come fosse giunto al Polo Sud e passarono una giornata assieme all’insegna dei vecchi tempi delle esplorazioni polari.

Quando il norvegese uscì dalla residenza del medico trovò alcuni giornalisti ad attenderlo e dichiarò loro:

È il viaggiatore più in gamba che abbia mai conosciuto, un uomo pratico che non si sarebbe mai tirato indietro di fronte a nulla… La sua dichiarazione è valida quanto quella di Peary.

L’ultimo a vederlo cosciente fu il suo amico e compagno di viaggio Rudolph Franke, che non smise mai di dispiacersi per quello che aveva fatto per salvarsi la vita.

E Peary?

Lui non partì più per delle esplorazioni. Nel 1911 si ritirò dagli incarichi di marina. Fu sostenitore di moltissime iniziative geografiche e presidente del The Explorers Club per ben due mandati.

Con lo scoppio della guerra fu uno dei più grandi sostenitori dell’utilizzo degli aerei e dei sommergibili per lo sforzo bellico fondando la Riserva Navale degli Stati Uniti nonché, a guerra finita, uno dei grandi promotori del servizio postale aereo.

Morì a Washington, D.C. il 20 febbraio 1920. Sulla sua tomba venne edificato un monumento in memoria delle sue scoperte.

Cook e Peary celebrati insieme.

Ma allora chi è arrivato per primo?

Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale la figura di Cook venne di molto rivalutata. Le sue considerazioni vennero riviste e finalmente vennero resi noti i dati completi di Peary.

Per quanto riguarda il dottore, la mancanza dei dati completi della sua spedizione non permette di dare una certezza sul suo arrivo al Polo, anche se tutto quello che è riuscito a produrre: alcune misurazioni sopravvissute, descrizioni, fotografie e racconti, conferma a pieno le descrizioni e i dati raccolti da chi dopo di lui, Peary compreso, ha tentato la sfida.

Di contro la figura di Peary è stata di molto ridimensionata. Il suo atteggiamento discriminatorio nei riguardi degli inuit e alcune sue descrizioni non sempre congruenti tra loro, i chilometri che sostenne di aver percorso ogni giorno che sono davvero inverosimili, le sue misurazioni dettagliate che non coincidono con l’analisi della lunghezza delle ombre nelle sue foto, hanno portato moltissimi studiosi a dubitare della sua impresa, anche tra coloro che l’avevano sostenuto ampiamente.

C’è un colpo di scena finale però!

Un terzo protagonista fin ora lasciato volutamente indietro. Il suo nome era Matthew Henson.

Matthew Alexander Henson (1866 – 1955) 

Diversi eminenti studiosi e geografi, nel 1988, non potendo confermare né smentire l’impresa di Cook, e rivalutando di molto quella di Peary, scrissero che egli è stato il primo uomo ad aver davvero raggiunto il Polo Nord.

Ma chi è? Da dove viene? Perché non è saltato fuori prima?

Matthew Henson aveva conosciuto un giovane tenente Peary in Nicaragua quando entrò nel negozio dove lavorava per acquistare un cappello che lo riparasse dal sole cocente. Il ragazzo, malgrado avesse appena 21 anni, aveva già trascorso quasi un decennio, come mozzo, su un mercantile che faceva rotta in Cina, Giappone, Africa, fino ai mari artici russi. Il comandante della nave su cui era imbarcato, fra l’altro, gli aveva insegnato a leggere e scrivere spagnolo e inglese. Era un lavoratore onesto e volenteroso disposta al sacrificio per migliorare la sua situazione sociale.

Henson era il collaboratore perfetto per le imprese polari che il giovane ingegnere si apprestava a compiere. Nel giro di breve venne assunto come cameriere personale di Peary. Lo seguì per tutte le sue spedizioni.

Nell’ultima il loro rapporto era diventato così stretto che Peary scelse proprio Henson per fare da apripista al piccolo gruppo che si sarebbe spinto sino alla massima latitudine Nord.

Lo mandò avanti con due slitte e due inuit.

E lui, al Polo, disse proprio di esserci arrivato!

Quando tornò da Peary gli disse che aveva fatto tutte le misurazioni del caso, costruito un igloo e piantato la bandiera americana in modo che fosse già lì quando il suo padrone fosse giunto per controllare i dati e confermare la scoperta. Peary partì solo con due inuit il giorno seguente, fece le misurazioni e scattò le foto di rito. Peccato però che con lui non ci fosse nessuno a confermare che le misurazioni fossero state eseguite correttamente.

Se vogliamo dare per falsa l’impresa di Cook, allora, il primo uomo al Polo Nord è stato proprio Henson. Ma perché nessuno sa della sua esistenza? Non ho scritto padrone per nulla poche righe prima. Era nero di pelle, in America, agli inizi del 1900. Traete voi le conclusioni.

E gli inuit che c’erano con lui e con Cook e Peary? Mi sa tanto che dovremo attendere ancora molto perché vengano riconosciuti i loro meriti visto che Henson ha dovuto aspettare decenni dopo la sua stessa morte perché fosse solo citato tra coloro che presero parte all’impresa.

In ogni modo sia Cook che Peary sostennero di aver lasciato al Polo un messaggio in un tubo di rame nascosto tra i ghiacci.

Nessuno li ha mai trovati.

Ci sarebbe molto di più da dire in merito a questa faccenda, ma anche se siamo online e non ci sono problemi di spazio sulla pagina mi sono dilungato anche troppo.

Il viaggio di Cook

Se questa storia vi ha appassionato cercate più informazioni in giro, sui libri, nei musei o direttamente alla Robert A. Peary Collection e alla Frederick A. Cook Collection. Oppure mettetevi un bel cappotto, circola voce che nonostante il surriscaldamento globale al Polo faccia ancora freddino, e fatevi una sgambata verso Nord. Non sia mai che siate proprio voi a trovare il messaggio di uno dei nostri esploratori artici e risolvere questo mistero.


La prima parte della Corsa al Polo qui!

Puoi trovare gli altri articoli di Carlo qui!

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