Marco Aurelio, l’imperatore filosofo, l’autore dei Pensieri, documento del tardo stoicismo, seguace di Seneca e Epitteto, l’imperatore mite, buono, propugnatore dell’impero del migliore contro l’eredità del sangue, moralista, fedele al Senato, difensore dei confini dell’impero, rispettoso del popolo, sensibile al destino degli schiavi. Su questa figura mitica, ingigantita ed esaltata già dagli storici di epoca tardo imperiale, si allungano oggi le ombre del dubbio. La storiografia contemporanea non ha infatti osservato e annotato le molteplici contraddizioni che caratterizzano i gesti, la condotta, i provvedimenti adottati da Marco Aurelio nel corso della sua vita e del suo regno. Dalla sciagurata decisione di designare il proprio figlio maschio, Commodo, come successore alla guida dell’impero, pur disprezzandolo e ritenendo che sarebbe stato un pessimo capo, alle persecuzioni scagliate contro i cristiani, accusati di immoralità, incesto e infanticidio e sterminati in massa con un massacro paragonabile ai pogroms della Russia zarista o al genocidio hitleriano, fino ai discutibili provvedimenti in materia giudiziaria e fiscale, l’aura di ‘bontà’ costruita dalla storiografia antica e moderna intorno a Marco Aurelio si dissolve e lascia trasparire un inquietante marchio d’infamia.

Editore: Laterza.
Pagine: 352.
Uscita: 2008.
Formato: cartaceo ed ebook.
L’ultima opera dello studioso Augusto Fraschetti (scomparso poco prima di completarla definitivamente) mi ha attirato, lo confesso, per la sua impostazione smaccatamente “anti”. Il principato di Marco Aurelio e, più in generale, l’epoca dei tardi Antonini è un periodo che conosco molto bene, avendo scritto un romanzo ambientato proprio in questi anni e in quello del successore di Marco, ovvero il figlio Commodo; interesse per una narrazione “anti” nato anche da alcune considerazioni lette nella ben più esaustiva e divulgativa biografia dell’imperatore-filosofo scritta da Anthony Birley (spesso citata anche da Fraschetti): cioè che Marco Aurelio ebbe la “colpa” di non lasciare mai l’Italia prima della sua ascesa al trono e, in sostanza, di non aver ricevuto, pur essendo stato erede al trono per un ventennio, alcuna educazione militare, fattore che sarà poi decisivo nel suo regno. Fu questo un primo “campanello” che suonò nella mia testa a proposito della celebratissima (con merito?) figura di Marco Aurelio. Altre considerazioni sono quelle legate alla critica successione tra il padre Marco e il figlio Commodo, successione che interruppe il principio impropriamente definito “adottivo” inaugurato da Nerva e proseguito fino allo stesso Marco.
Una certa vulgata, che ascende direttamente a quanto scritto da storici antichi quasi contemporanei come Cassio Dione, Erodiano e Mario Massimo (fonte principale della Historia Augusta), ha individuato nel regno di Marco Aurelio l’ultima “stagione felice” del cosidetto periodo d’oro degli “imperatori adottivi” (da Nerva a Marco Aurelio, dal 96 al 180 d.C.), interrotta poi da Commodo visto, secondo vecchie visioni storiche, come diretto responsabile della decadenza dell’impero. Tale vulgata si è poi “rinforzata” in epoca otto-novecentesca, quando non pochi intellettuali europei, travolti dalla Grande Guerra, traslarono, se così si può dire, il proprio rimpianto per il mondo pre-1914 nella nostalgia per il saggio imperatore-filosofo, descritto come somma di tutte le virtù: tale storiografia su Marco Aurelio è analizzata da Fraschetti in uno dei primi capitoli del libro.

Un merito del libro di Fraschetti è quindi quello di provare a smontare tale visione, ancora diffusa a livello di grande pubblico (credo che lo spettacolare ma impreciso film Il gladiatore abbia contribuito alla diffusione). È insomma ormai tempo di dirlo a gran voce: la crisi dell’impero ebbe inizio sotto Marco Aurelio, sia per fattori esterni e casuali, come le guerre e la peste, ma anche per alcune scelte sbagliate dello stesso imperatore.
L’esame soprattutto di altro tipo di documentazione antica, tanto epigrafica quanto papirologica, aveva cominciato anche ad apparirmi tale da contribuire da parte sua a una ricostruzione molto diversa di quel lungo regno: una ricostruzione molto meno felice e idilliaca di quanto esso venga rappresentato sia da Cassio Dione sia dall’Historia Augusta: una rappresentazione molto meno felice in primo luogo da un punto di vista sociale e soprattutto poi da quello economico.
Fraschetti lancia pesanti accuse all’imperatore sin dall’introduzione, che fa in effetti da “sunto” delle tematiche poi sviluppate nel libro. In breve, secondo l’autore, Marco Aurelio predicava bene (in un’opera privata come i Pensieri ma anche in certe “giustificazioni” che forniva ad amici e cortigiani) e razzolava male sia per incompetenza economica, miopia militare e, soprattutto, una natura ipocrita, unita alle accuse di familismo amorale.
Un bel quadretto, senza dubbio! Cerchiamo di analizzare alcuni di questi punti.
Partiamo dalle accuse più personali: l’ipocrisia dell’imperatore risiedette essenzialmente, secondo Fraschetti, nella decisione di non divorziare dalla moglie Faustina, rea di numerosi tradimenti e di un comportamento licenzioso, in quanto ella rappresentava la sua “dote” per l’impero, la garante del suo potere, essendo Faustina stata figlia di Antonino Pio. Di “familismo amorale” l’autore parla poi per la scelta di far sposare la figlia Lucilla, fresca vedova del collega al trono Lucio Vero (morto nel 169), con il fidato generale di origine siriaca e di rango “appena” cavaliere (insomma, un matrimonio con una persona di dignitas inferiore a quella della ex-Augusta) Tiberio Claudio Pompeiano; scelta obbligata, così si crede, perché Marco, che non aveva capacità militari, aveva bisogno di un valido comandante nel momento più duro delle guerre marcomanniche.

Sono questi i due principali argomenti illustrati dall’autore. Un limite è che essi fanno forte affidamento sulle fonti letterarie; rimangono comunque interessanti, in particolare il primo perché esso illustra l’illusione del principio adottivo nella successione imperiale, che fu tale soltanto nella scelta di Traiano da parte di Nerva (il quale, pur avendo una propria famiglia e parenti, scelse una persona esterna ma giudicata meritevole); in seguito, Adriano, Antonino, Lucio Vero e Marco Aurelio furono imperatori legittimati da “matrimoni” con membri femminili della casata del predecessore. L’assenza di eredi maschi per ognuno di loro (tranne Marco Aurelio) fu forse determinante.
Al contrario, Marco Aurelio non sembra abbia mai avuto dubbi nel favorire la propria discendenza diretta (che fu assai numerosa, anche se falcidiata dalle morti premature).

Le accuse proseguono per quanto riguardo lo sviluppo sociale ed economico dell’impero in quegli anni fatali. Dal primo punto di vista, proprio a Marco Aurelio l’autore fa risalire la distinzione giuridica tra honestiores e humiliores, che creava di fatto cittadini con maggior privilegi degli altri, soprattutto di fronte alla legge. Economicamente, l’imperatore è accusato di aver inflazionato il denarius, la moneta d’argento usata a livello quotidiano e dal ceto medio, oltre dall’aver fatto confusione (in un eccesso di modestia che, se falsa, rivela una natura ipocrita, secondo Fraschetti) tra il fisco imperiale e l’erario statale, usando a vole l’uno per finanziare l’altro e viceversa.
Se è opinione comune di molti storici moderni addossare o al «tirannico» Commodo oppure a quello che si è soliti definire l’«imperatore-soldato» Settimio Severo l’inizio della decadenza dell’impero romano… l’inizio di questa decadenza, tanto a livello monetario quanto a livello economico, deve invece essere fatta ricadere sull’imperatore-filosofo Marco Aurelio. Egli infatti, che pure conosceva a menadito le dottrine filosofiche allora in auge, non tarda di fatto ad apparire completamente ignaro di quelle leggi che regolano l’economia di mercato e l’andamento dei prezzi, di cui invece alcuni esponenti del mondo antico che lo precedettero… erano a perfetta conoscenza.
Un capitolo per nulla sviluppato è quello dell’educazione del giovane principe Marco durante il regno di Antonino Pio, educazione di cui rimane testimonianza nella corrispondenza (che Fraschetti definisce “noiosissima”) con il proprio precettore, il famoso retore Marco Cornelio Frontone; tematiche che invece trova molto spazio, invece, nel libro di Birley, come ho accennato all’inizio di questo articolo. In effetti il libro appare in alcuni punti (pochi, in verità) incompleto o appena abbozzato, mentre in altri fin troppo lungo e tedioso in alcuni inserti (soprattutto il capitolo dedicato al cristianesimo).
Per quanto riguarda la politica religiosa, Marco Aurelio fu responsabile, secondo Fraschetti, di una ripresa decisiva delle persecuzioni, del tutto inaspettata dopo le politiche “tolleranti” (basate, mi si consenta il termina moderno, su una politica di don’t ask, don’t tell) inaugurate da Traiano dopo le persecuzioni di Domiziano. L’accusa di Fraschetti è sottile, perché colpisce l’imperatore anche su un piano privato. Egli lasciò campo libero alla rabbia della popolazione, esarcebata da tasse, invasioni e pestilenze, e dei funzionari locali contro una minoranza indifesa: un comportamento cinico e realista, davvero poco filosofico, che trova traccia nel disprezzo espresso nei Pensieri verso i Cristiani a causa della:
…mancanza di ragionevolezza da lui attribuita ai Cristiani, che avrebbe reso impossibile ogni discussione, e quella sorta di «teatralità» che essi, almeno a suo avviso, non avrebbero esitato a manifestare quasi con spavalderia quando erano mandati al martirio.
In tale lungo capitolo Fraschetti critica apertamente le visioni di alcuni suoi colleghi, come ad esempio Marta Sordi, autrice de I cristiani e l’impero romano. Dettagliata analisi è dedicata ai “nuovi decreti” emanati da Marco Aurelio, che avrebbero autorizzato una persecuzione più dura di quanto avveniva in passato:
I «nuovi decreti» emanati da Marco Aurelio intorno al 176 possono dunque e devono essere interpretati in una sola maniera: contrariamente al conquirendi non sunt di Traiano, in altri termini alla mancanza di una ricerca d’ufficio, questa ricerca d’ufficio faceva ora la sua comparsa e per la prima volta veniva imposta da Marco Aurelio a ogni governatore di provincia. Si è in presenza di una possibilità – anzi, di una certezza – che evidentemente non può e non deve stupire, appena si pensi da un lato al giudizio che egli stesso aveva espresso sui Cristiani nei suoi Pensieri, d’altro lato e parallelamente all’enorme intensificarsi delle persecuzioni durante il suo impero.
L’autore descrive quindi (con fin troppi dettagli) i principali casi di martirio e persecuzione verificatesi sotto Marco Aurelio: i martiri di Roma, Asia Minore e quelli famosissimi di Lione (dove abbiamo una citazione lunga diverse pagine di una lettera di Eusebio di Cesarea sul martirio di Blandina e Potino).

Altrettanto impietoso è il quadro nella politica estera e nelle vicende militari. L’unica vittoria decisiva del suo regno fu contro i Parti, ma fu ottenuta interamente dal collega Lucio Vero (sulla cui delegittimazione come figura, descritta come debosciata e corrotta, Fraschetti si sofferma in dettaglio); fu comunque una vittoria minata dall’arrivo della peste che decimò l’impero; al contrario, la politica di Marco contro le popolazioni germaniche fu disastrosa perché non si limitò alla difesa e al respingimento del nemico, ma tentò in modo ambizioso di creare nuove province al di là del Danubio; insomma, Marco impelagà un impero già indebolito dalla peste in una politica espansionista costosissima, che gli alienò difatti le élite orientali, che si ribellarono dietro il vessillo di Avidio Cassio.
Dunque, giunti alla conclusione, è un libro che consiglio? Ovviamente sì, perché il libro è ben documentato e va nel dettaglio su molti argomenti; senza dubbio richiede una conoscenza dettaglia pregressa del periodo. Confesso però che non tutti gli argomenti di Fraschetti mi hanno convinto: sulle persecuzioni, mi sembra egli abbia dato troppo credito incondizionato alle fonti cristiane; sul lato amministrativo, egli sottovaluta la straordinarietà della situazione che si trovò a vivere l’imperatore; mi trovo invece d’accordo con le considerazioni sull’abbandono del principio d’adozione, sulle riforme sociali e sull’insistetere nelle campagne oltre il Danubio; più difficile esprimere un giudizio sul carattere dell’imperatore e sulle accuse di ipocrisia e familismo, troppo dipendenti da certezze che non possediamo.
Storia politica del regno di Commodo. Approfondimento al romanzo – Articolo sulla politica romana verso i Germani tra i regni di Marco Aurelio e Commodo.





Suggerimenti di lettura sulla figura dell’imperatore-filosofo: la biografia di Birley è la più completa in assoluto, ma è in inglese; il libro di Migliorati è per specialisti, ma contiene delle ottime spiegazioni sulle inevitabili rifome amministrative di Marco Aurelio; Contro le lusinghe del mondo è una selezione dei Pensieri dell’imperatore; infine un libro che non ho ancora letto ma, considerato, credo essere una garanzia. Infine, sul periodo, c’è anche Per un pugno di barbari del podcaster e divulgatore Marco Capelli de La storia d’Italia, che ho recensito sul blog.