Un destino beffardo sembra abbia gravato sulla matematica – in particolare nel campo dell’algebra – nella prima metà dell’Ottocento. In un precedente articolo (Vita di Niels Henrik Abel, sfortunato genio della matematica) vi ho raccontato la storia del matematica norvegese Abel (1802-1829) a cui una condizione originaria di povertà, problemi di salute dalla povertà acuiti e l’incomprensione del mondo accademico dell’epoca, il tutto condito da episodi di pura sfortuna, provocarono la morte all’età di appena 27 anni, impedendo così al giovane di approfondire i suoi fecondi risultati.
Ebbene, che ci crediate o meno, quasi negli stessi anni di Abel, si svolge la parabola altrettanto sfortunata e accompagnata da disavventure di ogni tipo di Évariste Galois (1811-1832), che morì in età persino più giovane di quella del norvegese e in condizioni addirittura più tragiche.
Un’altra cosa mi preme sottolineare. All’inizio dell’800, l’algebra, al contrario di altri campi della matematica come la geometria e l’analisi, non aveva ancora trovato una sistemazione teorica dei propri fondamenti: da almeno due secoli i matematici procedevano in modo quasi empirico (sto semplificando, ovviamente) nel tentativo di risolvere equazioni di grado sempre più complesso. Non c’è dubbio che se questi due matematici fossero stati messi in condizione di esercitare il proprio genio, la matematica e la scienza ne avrebbero grandemente giovato.
La Francia della Restaurazione
Évariste Galois nasce il 25 ottobre del 1811 a Bourg-la-Reine, villaggio non lontano da Parigi, da genitori di fede repubblicana. Il padre, Nicolas-Gabriel, è sindaco del paese prima, durante e dopo i Cento Giorni di Napoleone. La madre, Adélaïde-Marie, educata e colta, insegna al figlio i primi rudimenti del sapere, in particolare il latino e il greco, e lo prepara all’ammissione, all’età di dodici anni, al prestigioso liceo Louis-le-Grand. I genitori, come si vede, speravano quindi che il figlio ricevesse un’educazione adeguata a garantirgli un posto pubblico o comunque di rilievo nella società.
Il clima politico di quegli anni avrà, come vedremo, un’influenza pesantissima sulla vita di Galois. Durante il regno di Luigi XVIII (1814-1824) la Francia visse una sorta di tregua armata: c’erano una costituzione, un parlamento, una stampa parzialmente libera; ma gli odi e i dissidi tra repubblicani, borghesia liberale e gli ultras (ultrareazionari) erano all’ordine del giorno.
Il fratello Carlo X (1824-1830), un vero e proprio campione dell’aristocrazia e del diritto divino della monarchia, tentò di abolire le libertà concesse: questo gli costò il trono nella Rivoluzione di Luglio (27-28-29 luglio 1830) che, però, invece di portare direttamente ad una repubblica (com’era il sogno di molti, compreso Galois) vide l’ascesa al trono come “re dei Francesi” di Luigi Filippo, del ramo dei Borbone-Orléans.
Le glorie passate della Rivoluzione si univano dunque all’oppressione (vera ma senza dubbio anche ingigantita dalla passione del momento) percepita dai repubblicani verso aristocratici ed ecclesiastici, tornati in massa dopo il 1815. A tutto questo, si unì il risentimento per la “rivoluzione tradita” del 1830.

La matematica francese
Uno dei più importanti risultati del periodo rivoluzionario e napoleonico fu la supremazia della matematica francese su quella degli altri paesi europei. Centro propulsore di tutto questo fu la famosa École polytechnique (“Scuola politecnica”), fondata nel 1794 e potenziata nonché militarizzata da Napoleone dieci anni dopo, istituzione che sarà fondamentale, suo malgrado, nella vita del nostro Galois.
“Il progresso e la perfezione delle matematiche sono strettamente connessi con la prosperità dello stato.”
Napoleone Bonaparte
Tale supremazia affondava però le sue radici nell’innovativa opera di diversi matematici che, pur formatisi nell’Ancien Régime, dell’Impero napoleonico furono – chi più chi meno – fedeli servitori: Adrien-Marie Legendre (1752-1833), Joseph-Louis Lagrange (nato Giuseppe Luigi Lagrangia a Torino, 1736-1813), Gaspard Monge (1746-1818), Pierre Simon Laplace (1749-1827), Jean Baptiste Fourier (1768-1830), Siméon-Denis Poisson (1781-1840). Tra ‘700 e ‘800, questi grandi matematici sistematizzarono e fondarono su solide basi la geometria e l’analisi o le innovarono con i propri contributi.
Non deve stupire sapere che la Restaurazione, in generale, non disperse questo patrimonio scientifico. Le istituzioni rimasero in piedi, così come gli uomini che le animavano (ad eccezione di Monge, fedelissimo di Napoleone e rimasto parzialmente debilitato dopo aver letto il bollettino ufficiale sul disastro della campagna di Russia). Grazie a questo, altri geni ebbero modo di esprimersi. Fra essi in particolare va ricordato Augustin-Louis Cauchy (1789-1857), che al contrario dei precedenti era cattolico e monarchico e che giocò un ruolo nella vita di Galois.
Tuttavia, come è altrettanto ovvio, il restaurato potere monarchico irrigidì l’educazione, reimpose antiquati programmi d’istruzione basati sugli studi classici e favorì le attività di delazione verso chiunque potesse essere un oppositore plateale della monarchia.
Il liceo Louis-le-Grand
I quattro anni che Galois trascorse al liceo (dall’ottobre del 1823 al 1828) furono al tempo stesso i più infelici e i più fecondi della sua vita. Cupa era l’atmosfera del liceo, fisicamente e materialmente dominato dalla Restaurazione. Come studente, Galois era tenuto a frequentare i corsi obbligatori di studi classici, in cui il metodo d’insegnamento, sembra, era basato sulla ripetizione di versi antichi: cose che Galois, già preparato dalla madre, conosceva molto bene! La noia, è facile immaginare, deve aver ben presto il sopravvento in lui. Un episodio, in particolare, segnò l’animo del giovane: l’espulsione di ben 115 studenti della scuola, ribellatisi al comportamento del preside, ritenuto, a torto o ragione, un “gesuita”: non un membro del famoso ordine, ma un sostenitore della reazione monarchica. Il preside espulse i ragazzi senza avvertirne i genitori. Tale ingiustizia colpì fortissimamente l’animo del ragazzo, che vide personificate per la prima volta parole come “tirannide” e “ingiustizia”, sino a quel momento presenti solo nei discorsi paterni.

Galois fu costretto dai professori, che non avevano fiducia in questo bislacco ed eccentrico giovinetto dall’aria svagata, percepito come un pigro e indolente, a ripetere il primo anno. A salvare il nostro fu l’incontro, fortuito, con la matematica. Il giovane, per distrarsi dai noiosissimi studi classici, si iscrisse al poco seguito corso di matematica, dove incontrò due professori, Vernier e Richard, più umani degli altri, con cui però non rimase poi in buoni rapporti, sembra, a causa della propria fede repubblicana. Qui si imbatté nella famosa opera Elementi di geometria di Legendre, libro che divorò e “fece proprio” in un battibaleno. Particolarmente ben descritto è tale incontro nella biografia a Galois dedicata da parte dello scienziato polacco Leopold Infeld:
Man mano che procedeva nella lettura, vedeva formarsi davanti ai suoi occhi, una pagina dopo l’altra, l’edificio della geometria, semplice e armonioso come un tempio ellenico. Vide non solo i singoli teoremi, ma ne colse le correlazioni, l’architettura d’insieme, ricostruì la stupenda struttura della geometria. Si sorprese ad anticipare e ad indovinare ciò che sarebbe venuto subito dopo; vide quella magnifica struttura crescere davanti ai suoi occhi. E ben presto l’aula e ciò che gli stava intorno, compagni di scuola, istitutori, rumori, odori, cessò di esistere per lui. Gli astratti teoremi della geometria divennero più reali del mondo della materia. L’edificio della geometria gli si andò sviluppando nella mente. Man mano che andava leggendo i teoremi, ne intuiva quasi sempre in un lampo la dimostrazione e correva con gli occhi sul testo per trovarvi conferma.
Ben presto fu in grado di fare a meno delle dimostrazioni; anticipò molti teoremi e sentì come se la geometria gli fosse familiare da molto tempo. Solo che quella conoscenza era rimasta fuori dalla sua coscienza, nascosta da un velo buio. La lettura del libro di Legendre aveva lacerato quel velo e gli aveva rivelato il tempio ellenico. Gli sembrò che una forte mano soccorrevole lo avesse strappato al Louis-le-Grand. Galois aveva finito d’essere infelice, perché il Louis-le-Grand aveva cessato d’esistere per lui.
L’incontro era dunque avvenuto. Galois acquisì ben presto coscienza di avere capacità matematiche decisamente superiori alla media, certo superiori a quelle di studenti e professori, già pari a quelle dei grandi accademici francesi; un genio ancora non sgrezzato, ma già limpidissimo. Un animo irrequieto come il suo, che rimarrà coinvolto nelle trame politiche dell’epoca, avrebbe potuto trovare nella matematica un’ancòra di salvezza; ma così non fu.
Assorbito in pochi giorni un libro concepito per uno o due anni di studi, Galois passò alla Risoluzione delle equazioni numeriche di Lagrange. Il contrasto tra l’una e l’altra opera non poteva essere più stridente. L’edificio della geometria era razionale ed armonioso quanto caotico e incerto era quello dell’algebra. Perché negli ultimi due secoli non si era riusciti a risolvere, tramite radicali (ovvero con un numero finito di passaggi algebrici), le equazioni di quinto grado? Perché un metodo funzionante ai gradi minori falliva così, d’improvviso? Fu proprio al Louis-le-Grand che Galois iniziò ad elaborare la propria generale teoria. Da subito si palesò il vero problema che avrebbe poi afflitto Galois: l’incapacità di comunicare i propri risultati a causa del temperamento, reso rancoroso dal clima di quegli anni e dagli eventi, e dalla mancanza di metodo matematico che gli desse la costanza e la pazienza di espandere e chiarire i risultati che il proprio genio gli suggeriva.
Nel 1828, Galois tenta l’azzardo di farsi ammettere, ancora non diplomato, alla famosa scuola del Politecnico. Il fallimento fu dovuto, così sembra, all’incapacità di Galois di spiegarsi in modo comprensibile all’esaminatore.

La “scuola preparatoria” e la Rivoluzione di Luglio
La biografia del nostro Galois accelera. Gli ultimi anni di vita sono un turbinio di disgrazie e colpi della malasorte. Il 28 luglio del 1829 l’amato padre, a causa di dissidi politici e personali con il prete del villaggio (inviato forse come “agente provocatore” nel clima reazionario del regno di Carlo X), si suicida.
Pochi giorni dopo è fissato il nuovo esame di ammissione al Politecnico, secondo e ultimo tentativo possibile. Il resoconto della seduta orale è divenuto leggendario e, considerando gli anni in cui ci troviamo, il carattere del nostro e il recento lutto, lo ritengo assolutamente degno di fede. Così, con penna felice, Infeld descrive (riempiendo i buchi che la Storia non ci ha tramandato) l’esaminatore Dinet:
Il bidello stava ripulendo la lavagna dopo che l’ultimo studente interrogato se n’era andato, quando Dinet, tamburellando con le dita sulla scrivania, si sforzò di soffocare uno sbadiglio e disse: “L’altro candidato, prego”. Poi, senza alzare la testa: “Nome?”
“Evariste Galois”.
“Ditemi tutto ciò che sapete della teoria dei logaritmi”.
Dinet chiuse gli occhi. Era già preparato alla risposta. Avrebbe sentito che b = logac se ab = c. Erano le lettere usate nel testo d’algebra di Eulero e da quando era apparso quel libro non c’era studente che, parlando dei logaritmi, non le usasse. Quindi, il candidato avrebbe detto che il logaritmo di un prodotto è uguale alla somma dei logaritmi…
Galois risponde alla domanda “a modo proprio”, con una teoria più ampia e nuova, che non è certo contenuta nei libri. L’esaminatore non capisce ed inizia ad incollerirsi. Non da meno è Galois:
Evariste fissò negli occhi Dinet. Nella destra stringeva meccanicamente il cancellino. Né la persuasione, né l’ironia avrebbero più potuto frenare la sua collera. L’ira cresceva e lo soverchiava, gli annebbiava la vista. La faccia di Dinet si trasformò stranamente davanti ai suoi occhi. L’esaminatore divenne più magro, i suoi tratti più duri. Ora Dinet gli ricordava il parroco di Bourg-la-Reine. Sì, era il parroco, solo che era più vecchio; i suoi tratti si fecero più marcati e rapaci.
Rapidamente, il cancellino vola e centra l’esaminatore. L’esame finisce così e le porte del Politecnico si chiudono per sempre.
Nel febbraio del 1830 Galois dedice così di entrare alla meno prestigiosa “Scuola Preparatoria”, erede della “Scuola Normale” (e che oggi ha di nuovo assunto questo nome). Così scrisse l’esaminatore di matematica, che gli diede otto punti su dieci disponibili:
Il candidato si esprime a volte con una certa oscurità, ma è intelligente e dimostra un notevole spirito di ricerca. Mi ha messo al corrente di alcuni risultati nuovi nel campo dell’analisi applicata.
Al contempo, nei primi sei mesi del 1830, Galois pubblica alcuni brevi lavori di poche pagine, spesso privi di dimostrazioni ma ricchi di spunti, in alcuni giornali scientifici minori. Stringe amicizia con un compagno di studio, Auguste Chevalier (1809-1868), che di Galois sarà l’unico vero amico nonché curatore del testamento scientifico. Galois tenta quindi di inviare un proprio manoscritto all’Accademia delle francese delle scienze, diretta dal grande Fourier e dove lavora anche il giovane Cauchy, genio matematico della Restaurazione. La sfortuna s’accanisce sul nostro Galois, però. Fourie muore poco dopo e di questo primo manoscritto si perde ogni traccia.
La Storia, tuttavia, irrompe nella vita del nostro. In seguito alle “ordinanze di Saint-Cloud”, con cui Carlo X voleva imporre un potere assoluto de facto, la popolazione di Parigi insorge contro il monarca. Nelle “Tre Gloriose Giornate” (27-28-29 luglio) la folla, fra cui gli studenti del Politecnico, scendono in piazza e marciano contro la monarchia borbonica. Joseph-Daniel Guigniaut, il pavido direttore della Scuola Preparatoria, invece, chiude gli studenti nella scuola in attesa, in sostanza, di capire da che parte tiri il vento. Tale comportamento ignavo sarà denunciato dallo stesso Galois, ormai travolto dal furore della lotta politica e disperato per non aver potuto partecipare alla “gloriosa rivoluzione”, in una lettera anonima inviata ad un giornale e pubblicata nel dicembre di quell’anno. Galois, già attenzionato dal direttore, fu tuttavia scoperto ed espulso con effetto immediato.

Interrogato vent’anni dopo, quando la fama di Galois s’era ormai diffusa, l’ex-direttore Guigniaut rispose così (cito sempre dal libro di Infeld):
Verso il 1850, Evariste Galois divenne noto come matematico. A quell’epoca, Guigniault aveva cinquantasei anni. Quando gli chiedevano del suo antico studente, era solito dire: “Il giovane Galois dimostrava del genio per la matematica. Noi della Scuola Normale lo abbiamo sempre capito, a differenza di quegli stupidi esaminatori del Politecnico, che lo bocciarono due volte. Si può concepire una simile stupidità?”
“Finì la Scuola Normale?”
“No! Per quel che mi ricordo, Galois era fin troppo bravo in matematica e dopo il primo anno lasciò la nostra scuola”.
Impegno politico, prigionia e morte
Falliti gli studi, pieno di rancore e rabbia verso la società, che ha provocato il suicidio del padre e ha tradito la Rivoluzione di Luglio portando al potere Luigi Filippo “re dei Francesi” invece di instaurare una repubblica, Galois tenta di vivere con dei corsi e delle lezioni private; intento che ben presto abbandona in favore della lotta politica. La Parigi di quegli anni pullula di associazioni e clubs repubblicani insoddisfatti dell’esito delle “Tre gloriose giornate”.
Tuttavia, Galois non abbandona la matematica. Nel gennaio invia un nuovo manoscritto all’Accademia delle Scienze. Tale manoscritto ha miglior sorte di quello perduto e viene esaminato dall’insigne fisico-matematico Poisson che, tuttavia, commenta sconsolato nella risposta a Galois.
“Ci siamo sforzati in tutti i modi di capire le prove del signor Galois. La sua tesi non è sufficientemente chiara, né abbastanza sviluppata, da consentirci di valutarne il rigore. Non ci è neppure possibile dare un’idea di questo lavoro.”
Difficili oggi attribuire colpe all’uno o all’altro. Furono Poisson e gli altri accademici troppo superficiali e frettolosi nel giudizio? Fu Galois troppo oscuro nei propri risultati? Comunque, quando Galois ricevette la lettera aveva ben altro a cui pensare: egli si trovava infatti nel carcere di Sainte-Pelagié, dove la Monarchia di Luglio rinchiudeva gli avversari politici, per scontare una condanna a sei mesi.
Cos’era successo? Appena cacciato dalla scuola, Galois s’era arruolato nell’artigliera della Guardia Nazionale, unità che però il nuovo governo aveva quasi subito sciolto temendo la mancanza di lealtà. Ad un banchetto nel maggio del 1831, di fronte a molti ospiti anche illustri (come lo scrittore Alexandre Dumas), Galois propose un brindisi “A Luigi Filippo”, tenendo però un pugnale sopra il calice.
Arrestato il giorno seguente per minaccie alla figura del re, Galois trascorre un mese in cella prima di essere portato in giudizio e qui, sorprendentemente, assolto. La linea della difesa fu quella di far testimoniare gli amici di Galois affermando ch’egli avessi detto “A Luigi Filippo, se tradisce“.
Lo scampato pericolo non placò il nostro. Il 14 luglio 1831, nell’uniforme della disciolta Guardia e pesantemente armato, partecipò ad una protesta che commemorava, a suo modo, la presa della Bastiglia. Arrestato nuovamente, non incontrò la stessa clemenza di prima: dopo tre mesi di detenzione, venne condannato a sei mesi di carcere. L’esperienza non fu facile per il tutto sommato “ingenuo del mondo” Galois.

Nell’aprile del 1832 Galois fu rilasciato. Inizia l’ultime mese della vita del nostro. Non esiste una spiegazione univoca per le circostanze che lo portarono ad un duello con due sconosciuti. Galois stesso parla di una storia di donne e di doversi per questo battere con due repubblicani come lui. Sulla scorta di questi pochi indizi, sono state avanzate diverse ipotesi: Galois fu vittima di un complotto dei suoi stessi compagni di partito, desiderosi di avere una vittima e un funerale per tentare una nuova insurrezione (cosa che in effetti accadde con i funerali del generale Lamarque, fatto narrato ne I miserabili di Victor Hugo); oppure fu vittima della polizia, che lo attirò in un duello senza speranza (come lascia intendere Infeld).
La cronaca è scarna. Galois trascorre da solo la notte del 29 maggio e la passa a scrivere diverse lettere e soprattutto il proprio testamento scientifico, che raccoglie le proprie teorie e idee: a margine, scriverà una frase rimasta famosa:
Non ho tempo
La mattina del 30 maggio viene colpito all’addome e lasciato ferito e sanguinante dai propri nemici. Raccolto da una suora e portato in un ospedale, fa in tempo a salutare l’amato fratello minore Alfredo prima di spirare, a soli venti anni e sette mesi di età, la mattina del 31 maggio. Viene sepolto due giorni dopo in una fossa comune.
Il lascito di Galois
I manoscritti di Galois, salvati dal fratello minore Alfredo e dall’amico Chevalier furono pubblicati dal matematico Joseph Liouville (1806-1882) nel 1846. Addentrarsi nei meriti matematici di Galois sarebbe lungo. Egli non si limitò a risolvere un problema matematico vecchio di secoli, ovvero la risoluzione delle equazioni di quinto grado per mezzo di radicali, la cui impossibilità era già stata dimostrata da Ruffini nel 1799 e Abel nel 1826; Galois fece molto di più. Tramite l’introduzione dell’idea di “gruppo” diede un’elaborazione generale di come si affrontano tutte le equazioni di qualsiasi ordine. Egli, in sostanza, comprese l’ordine matematico generale soggiacente ad un’intera categoria di problemi e superò le generazioni di matematici che, prima di lui, avevano proceduto in modo “empirico”. Queste stesse idee, inoltre, nel corso degli anni, travalicarono i limiti dell’algebra e trovarono impiego in ogni campo della matematica come della fisica.
La vita di Galois fu senza dubbio travagliata e sfortunata, resa oggettivamente difficile dalla situazione politica in cui visse. La limpidezza del suo genio autodidatta brilla senza ombre, ma al tempo stesso ci lascia un insegnamento: anche il talento più puro, senza un costante esercizio quotidiano rimane inespresso e incapace di comunicare con gli altri, sia che questi “altri” siano l’ottuso esaminatore del Politecnico o un grande accademico di Francia.

Consiglio di lettura
La straordinaria storia di Galois ha, per nostra fortuna, ricevuto l’attenzione di una penna degna di tanto genio: mi riferisco al libro che ho continuamente citato, ovvero Whom the Gods Love: The Story of Évariste Galois tradotto in italiano come Tredici ore per l’immortalità o, più di recente per Castelvecchi Editore, Évariste Galois: La breve vita di un genio della matematica del fisico e scrittore polacco Leopold Infeld (1898-1968), che fu amico e collaboratore di Albert Einstein.
Infeld non si limita a scrivere un saggio biografico, ma fa di più: costruisce un romanzo, dove ogni documento e fatto storico documentato è al suo posto (in questo, supera molti storici tout court contemporanei); ciò che manca tra un dato e l’altro è riempito dalla penna di Infeld, che è bravissimo nel restituirci i sentimenti e le passioni infuocate di Évariste Galois, oltre che il clima politico e sociale dell’epoca, spaziando dalla biografia alla storia di più ampio respiro. Così scrive Infeld nella prefazione (siamo nel 1940, poco dopo la caduta della Francia):
Mi accadde qualcosa che è quasi impossibile spiegare a chi non ne ha mai fatta l’esperienza, ma che sembra naturale a chiunque l’abbia provata. Mi innamorai della Francia del XIX secolo. Negli anni della guerra, il pensiero della Francia e di Galois era stato per me e per mia moglie una necessaria evasione, in tempi di paura, di dubbi, di avversità. Impiegai tutto il mio tempo libero a documentarmi sulla vita di Galois e sulla sua epoca. Due, infatti, sono i protagonisti della storia di Galois, ed entrambi ugualmente importanti: Galois e il popolo francese.
Gli altri articoli di Storia
Vita di Niels Henrik Abel, sfortunato genio della matematica.
L’ha ripubblicato su The sense.
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