Illustrazione di copertina di Radu Oltean
È nell’arte traianea, e particolarmente nella Colonna Traiana, che la fusione tra l’ellenismo orientale e la tradizione artistica medio-italica si è realizzata nel modo più pieno e ha dato veramento nascita a una forma artistica nuova, che possiamo dire interamente romana.
Ranuccio Bianchi Bandinelli
L’importanza della Colonna Traiana, oltre che nel suo significato politico di monumento celebrativo di una delle più grandi vittorie dell’imperatore, risiede nell’innovazione che essa costituì per i tempi. Si trattava infatti di una manifestazione d’arte del tutto nuova e autonoma e che, come altre espressioni architettoniche e artistiche della romanità, pur affondando in modelli precedenti, li rielaborava per proporre qualcosa di nuovo.
La datazione
Come facciamo a sapere con esattezza il giorno in cui la Colonna fu “svelata” al pubblico? Semplice, ce lo dicono i reperti antichi. Nell’antica Roma era d’uso, infatti, annotare su pietra e su marmo i principali eventi dell’anno: elezione dei magistrati, festività religiose, prodigi e altro ancora. Tali documenti erano detti Fasti. In particolare, i cosiddetti Fasti Ostiensi, perché realizzati dalla città di Ostia e colà esposti pubblicamente nel tempio di Vulcano, hanno permesso di datare non pochi eventi dell’antichità, fra cui anche la Colonna. In particolare la riga 115 di un frammento, catalogato come numero 4543 nel XIV libro del Corpus Inscriptionum Latinorum (questo il link), recita così:
IIII Id(us) Mai(as) Imp(erator) Traianus … [columna]m in foro suo dedicavit pr(idie) Id(us) Mai(as)
4 giorni prima della idi di maggio, l’imperatore Traiano dedicò la Colonna nel suo foro.
Il Foro e la Colonna

La Colonna Traiana faceva parte di un grande complesso, quello di un nuovo Foro, l’ultimo dei grandi fori imperiali, dotato di un piazzale ornato da una statua a cavallo dell’imperatore (statua più grande di quella, conservatasi, di Marco Aurelio), una basilica, i famosi “Mercati” e una doppia biblioteca (una di lingua greca, una di lingua latina); nel cortile tra le due biblioteche sorgeva la Colonna, che non era dunque “all’aria aperta”, come è oggi, ma era avvolta, almeno parzialmente, dalla basilica e dalle strutture, dai cui piani superiori, dunque, era possibile ammirare più da vicino i bassorilievi della Colonna.
Il complesso del Foro venne realizzato al termine delle trionfali guerre daciche, con cui l’imperatore Traiano aveva debellato il regno dei Daci, che parecchio filo da torcere aveva dato ai suoi predecessori, e ne aveva incamerate le grandi ricchezze, con cui finanziò le sue imponenti opere pubbliche.
Il “Maestro delle Imprese di Traiano”
L’epoca di Traiano e Adriano è dominata dalla figura (sfuggente come molte altre dell’antichità) di Apollodoro di Damasco. Si è lungamente discusso se Apollodoro (poi caduto in disgrazia sotto Adriano), già costruttore del famoso ponte del Danubio, sia stato anche il direttore dei lavori artistici del Foro di Traiano, dove per lavori artistici intendo la progettazione dei famosi rilievi della Colonna (e anche del famoso Fregio, putroppo riutilizzato da altri imperatori e poi perduto). Una seconda teoria separa invece la personalità artistica che realizzò il rilievo della Colonna dall’architettor siriano:
Dalla voce dell’Enciclopedia Treccani dedicato al “Maestro”:
I presupposti per la definizione della sua personalità erano, per Bianchi Bandinelli, almeno tre:
(a) la grande compattezza dello stile nei rilievi della Colonna Traiana;
(b) il continuo rinnovarsi dell’invenzione compositiva, pur in un contesto narrativo che invitava all’iterazione dei temi e dei gesti;
(c) la necessità, per la produzione nell’ambito di pochi anni di un monumento di così grandi dimensioni e impegno, dell’impianto di un cantiere, certo con più scultori al lavoro, ma con un Maestro al quale possa essere ricondotta l’idea generale dell’opera e la direzione dei lavori.

Tecnica della Colonna
La Colonna, nel suo complesso di fusto, toro e capitelli, è alto cento piedi romani, ovvero 29,78 metri. Con l’aggiunta della base (ornata da armi, a mo’ di trofeo) e del supporto, su cui la colonna è posta, si arrivano a 39,86 metri. Il fusto della Colonna è formato da 17 rocchi (diametro e spessore rispettivamente di 3,83 e 1,56 metri) di marmo greco, forse dell’isola di Paro: si tratta di marmo bianco a grana fine, molto pregiato. Delle feritoie sono state scavate nel marmo per illuminare la scala a chiocchiola all’interno della Colonna.

Arte e messaggio del rilievo
Queste caratteristiche, già straordinarie, impallidiscono di fronte alla concezione artistica del lunghissimo rilievo che orna la superficie della Colonna: quasi 200 metri che fanno 23 volte il giro del fusto. Il “nastro” è alto 0,89 metri alla base e cresce fino ad 1,25 in cima. Così ha scritto lo storico dell’arte Ranuccio Bianchi Bandinelli:
Il modo di lavorazione e queste precise modificazioni prospettiche presuppongono un modello disegnato che precede e determina l’esecuzione dei rilievi. Questi, tenuti bassissimi per non alterare la linea architettonica della Colonna (come avverrà invece nella Colonna di Marco Aurelio) conservano, infatti, modi disegnativi pittorici. Le figure sono spesso poste in evidenza da un solco di controno che, creando un’ombra, pone in risalto il disegno; talore alcune parti delle figure finiscono per affondare nel piano di fondo e sono espress in incavo anziché in rilievo.
Con questi accorgimenti e con un variare della consistenza delle superfici è stato ottenuto un rilievo quanto mai corsivo, pittorico, che riesce, in pochi centimetri di aggetto, a dare l’illusione di ariose prospettive spaziali entro le quali le figure si muvono senza sforzo. Le convenzioni prospettiche per rappresentare edific e vedute di città erano già in uso da secoli; qui gli edifici raffigurati acquistano insolita evidenza e precisione architettonica.
Sulla Colonna sono raffigurate, in chiaro ordine cronologico, le due campagne daciche di Traiano (101-102 e 105-106). Permane opinione contrastante su quanto le raffigurazioni della Colonna possano essere utili per ricostruire gli eventi della spedizione; indubbiamente, si sono rivelate fondamentali per l’archeologia e la storia militare e quella politica del regno di questo imperatore. Qual è messaggio che Traiano, al di là degli ovvi motivi celebrativi della propria gloria, voleva trasmettere? Si prenda ad esempio la scena di dialogo dell’imperatore con il fedele collaboratore Lucio Licinio Sura (sempre dal libro di Bianchi Bandinelli):

È una scena esemplare, nella quale si afferma la nuova concezione del principe, primo funzionario dell’apparato statale, dirigente impegnato con tutta la sua capacità, la sua serietà di uomo. Non vi è mai, in tutte le numeroso raffigurazioni dell’imperatore, una posa di esaltazione, di adulazione.
Non vi è mai, in tutte le numerose raffigurazioni dell’imperatore, una posa di esaltazione, di adulazione. Anche nella grande scena di sotto missione, che chiude la seconda campagna della prima guerra, vasta com posizione costituente essa da sola un ampio fregio, l’imperatore seduto, visto di profilo, appare più un giudice che un vincitore.
Bianchi Bandinelli ravvede in queste scelte artistiche il tocco dell’autore (impossibile dire se una figura unica, ovvero il tanto discusso Maestro, oppure frutto di altre maestranze) che, all’interno del solido quadro della celebrazione dell’imperatore, riesce a far passare il proprio messagio; ciò sembra particolarmente vero nel caso della raffigurazione del nemico sconfitto:

Vi è una profonda differenza di concezione etico-politica tra queste raffigurazioni e quelle che troveremo già sulla Colonna Antonina, dove il nemico è massacrato e vilipeso e più ancora nelle raffigurazioni monetali degli imperatori cristiani del IV secolo, nei quali sembrerà essersi trasfuso l’impeto distruttore del Dio dell’Antico Testamento quando, giganteschi, calcano sotto i piedi il nemico abbattuto…
Si resta dubbiosi se nella evidente simpatia con la quale sono raffigurati i Daci e con la quale si insiste sulla loro sempre risorgente guerriglia nei boschi, la grandezza d’animo dei loro suicidi collettivi, la dolorosa miseria delle famiglie contadine profughe, obbligate all’esodo dalle loro montagne, si debba riconoscere un tratto superiore della equanimità di giudizio voluta da Traiano o non piuttosto l’espressione di sentimenti personali dell’artista, che come provinciale conosceva direttamente la misera della soggezione a Roma.

Devo comunque annotare che la sopraccitata idea di Bianchi Bandinelli, sulla presunta “simpatia dacica” dell’autore della Colonna, non ha trovato consenso unanime degli studiosi; la spiegazione che tale “simpatia” non fosse altro che una rappresentazione della clemenza romana, dunque rispondente ad una precisa scelta imperiale, è altrettanto valida. Nell’antica Roma, infatti, si aveva piena consapevolezza (si veda il famoso discorso di Claudio contenuto nella Tavola di Lione e trasmessoci anche da Tacito) che gli sconfitti di oggi e di ieri sarebbero divenuti i cittadini e i soldati di domani. Si prenda ad esempio l’Arabia Nabatea, annessa da Traiano proprio in quegli anni: un secolo dopo avrebbe prodotto un imperatore arabo, il famoso Filippo (244-249).
La pietas “architettonica” dei Romani
Un fatto poco ricordato su questo monumento è che la realizzazione della Colonna e dell’immenso Foro in cui era collocata comportò una sfida ingegneristica notevole, dovuta alle particolarità del territorio collinare di Roma. Il già citato “Maestro delle imprese di Traiano” (o Apollodoro di Damasco, se preferite). Una sella collinare, attraversata dei resti delle mura repubblicane, univa i due rilievi del Campidoglio e del Quirinale.

La realizzazione del Foro comportò la necessità di sbancare tale rilievo. La sfida non fu tale che, nel basamento che ornava la Colonna, essa è esplicitamente ricordata.
SENATVS·POPVLVSQVE·ROMANVS IMP·CAESARI·DIVI·NERVAE·F·NERVAE TRAIANO·AVG·GERM·DACICO·PONTIF MAXIMO·TRIB·POT·XVII·IMP·VI·COS·VI·P·P AD·DECLARANDVM·QVANTAE·ALTITVDINIS MONS·ET·LOCVS·TANTIS·OPERIBVS·SIT·EGESTVS
Il Senato e il Popolo Romano (dedicano questa colonna) all’imperatore Cesare Nerva Traiano, figlio del divo Nerva, Augusto, Germanico, Dacico, Pontefice Massimo, rivestito di potere tribunizio per la XVII volta, acclamato Imperatore per la VI volta, console per la VI volta, Padre della Patria, per mostrare di quanta altezza fosse il monte e il luogo che fu sgombrato per opere così grandi.
La dedica deve anche essere vista come una richiesta di perdono da parte dell’imperatore per aver alterato in modo così radicale il profilo geografico e storico dell’Urbe.
Così commenta Livio Zerbini:
Sbancare come si fece una collina e smantellare le antiche mura repubblicane di Roma, vale a dire incidere profondamente sull’immagine di quello che era stato sino a quel momento il centro della capitale, dovette essere per l’imperatore Traiano una decisione non semplice da prendere. Anche perché avrebbe inevitabilmente indotto critiche e forse anche polemiche, visto che non vi era alcuna necessità urbanistica impellente che motivasse tutto questo, ma solo l’ambizioso progetto di lasciare un’impronta indelebile sul volto urbano della capitale dell’Impero romano. Del resto l’imperatore era ben consapevole che i valori e l’ideologia dominante del suo principato potevano essere trasmessi anche attraverso opere architettoniche, che in questo modo assumevano una valenza propagandistica.
La meraviglia del complesso del Foro era tale che in epoca tardo-antica, quando ormai Roma non era più capitale de facto dell’impero e gli stessi imperatori erano ad essa “stranieri”, così descrive lo storico Ammiano Marcellino nelle sue Storie l’ingresso di Costanzo II nel 357:
…quando giunse al Foro di Traiano, che crediamo costruzione unica al mondo, stupefatto anche per il consenso degli Dei, si fermò attonito, rimirandosi tutto intorno tra le costruzioni imponenti, difficili da descrivere e non più imitabili dai mortali.
Consigli di lettura
Bianchi Bandinelli Ranuccio, Roma. L’arte nel centro del potere – Dalle origini al II sec. d.C., Bur Rizzoli.
Zerbini Livio, Traiano. Storia e segreti, Newton Compton.
Il maestro delle Imprese di Traiano, Enciclopedia Treccani (LINK)
La Colonna nei Fasti Ostiensi, Archivio EDCS del CIL (LINK)
8-12 agosto 117 d.C.: La sospetta morte di Traiano, l’Optimus Princeps – ARTICOLO