[IL CREPUSCOLO DI COMMODO] La Guardia Pretoriana (3 di 3). Il prefetto del pretorio e i Castra Praetoria


Cari lettori e care lettrici, eccoci con un altro appuntamento sulla Storia dietro la storia del mio nuovo romanzo Il crepuscolo di Commodo – Il romanzo degli ultimi pretoriani. Nei precedenti appuntamenti abbiamo approfondito la battaglia del “Miracolo della pioggia”, la storia del regno di Commodo e molto altro. Trovate tutti gli altri articoli nella pagina del romanzo.

Roma, 192 d.C. Il giovane Gaio Marzio Modesto, figlio di un valoroso veterano che al tempo di Marco Aurelio ha combattuto nelle guerre marcomanne al servizio di Pertinace, si arruola nella guardia pretoriana, dove già milita il tribuno Fausto, amico e commilitone del padre.
Gaio presta così, con entusiasmo ed ingenuità, giuramento all’imperatore Commodo.
Ma Roma è immersa in un periodo turbolento. I pretoriani, dimentichi di ogni disciplina, non più tenuti a freno dalla severità dei capi, spadroneggiano sulla popolazione inerme. Il figlio di Marco Aurelio ha rinnegato il proprio nome e assunto le sembianze del semidio Ercole, le cui imprese cerca di emulare scendendo nell’arena come cacciatore e gladiatore.
Commodo, oramai schiavo dei vizi e circondatosi di essere dissoluti, lascia le redini del governo alla sua concubina, la sensibile e filo-cristiana Marcia, al prefetto del pretorio Leto e al cubicolario Ecletto. Quest’ultimi, spaventati dalla folle imprevedibilità dell’imperatore, decidono di cercare un candidato all’impero…

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I soldati si giudicano nella fatica, e non nell’ozio, dal quale i pretoriani sono corrotti fino al midollo: tanto che non saprebbero sopportare neanche il vostro grido di guerra, e tanto meno il vostro assalto.

Discorso di Settimio Severo alle legioni illiriche da Storia dell’Impero
Romano dopo la morte di Marco Aurelio
di Erodiano.

La Guardia Pretoriana riveste un ruolo importante nel mio nuovo romanzo. È proprio in questo famoso corpo che il nostro protagonista, Gaio, grazie ai buoni uffici del padre, si arruola. Gli anni del regno di Commodo sono cruciali per la storia della Guardia. Non poco della negativa reputazione con cui ancora oggi viene ricordato il termine “pretoriano”.

Nel primo articolo abbiamo esplorato la composizione delle coorti, la selezione delle reclute e il giuramento che veniva pronunciato. Nel secondo abbiamo esaminato impiego, organizzazione e armamento. Procediamo con l’appuntamento finale.

Dettaglio del Sarcofago Ludovisi, colorazione di Julius Jääskeläinen

Il prefetto del pretorio

È riduttivo pensare al prefetto del pretorio come, semplicemente, il “comandante” della Guardia Pretoriana. L’istituzione di questa nuova carica (a volte tenuta congiuntamente da due o anche tre uomini contemporaneamente) da parte di Ottaviano Augusto nel 2 a.C. fu molto importante perché sancì la creazione di un comando militare interamente sotto il controllo dell’imperatore. I comandanti delle legioni, pur essendo scelti dall’imperatore, erano difatti di classe senatoriale; al contrario, il titolo di prefetto faceva quasi sempre riferimento ad un membro del ceto equestre.

Nei primi due secoli dell’impero, la prefettura del pretorio divenne l’apice della carriera equestre e soltanto personalità fidate, oltre che meritevoli, potevano ambire a tale carica. In particolare, nel II secolo d.C., durante la dinastia Ulpia-Antonina (iniziata con Nerva nel 96 d.C. e conclusai nel 192 con Commodo), vi furono 26 prefetti del pretorio. I regni stabili e solidi di Traiano videro figure autorevoli che tennero tale carica per molti anni, come Liviano (101-117) e Marcio Turbo (120-138). Al tempo di Marco Aurelio, le continue guerre (in cui alcuni prefetti furono impiegato in prima linea) e le pestilenze comportarono un ricambio più rapido alla prefettura, ma non alterarono il rapporto di fiducia tra l’imperatore e il suo prefetto.

Tutto ciò cambiò nel 180. Come abbiamo già visto nell’articolo sulle vicende politiche del regno di Commodo il prefetto Paterno (178-182), incaricato da Marco Aurelio di vigilare sul giovane sovrano, venne falsamente accusato, rimosso e poi ucciso. Dopo Paterno fu la volta di Tigidio Perenne, che per tre anni resse di fatto lo stato in modo corrotto e superbo, fino ad incontrare una ingloriosa fine in una sedizione militare. La prefettura del pretorio vide quindi l’avvicendarsi di figure sempre più oscure (con eccezione di Grato Giuliano), spesso ridicolizzate dallo stesso imperatore, da egli di certo sminuite tramite la subordinazione al potente “cubicolario” (ciambellano di palazzo) Cleandro, che ricevette il titolo di a pugione, ovvero “addetto al Pugnale”, da intendersi come “comandante dei prefetti”.

Dall’articolo Praetorian Prefects of Emperor Commodus di Karol Kłodziński (gratuitamente disponibile su Academia.edu) traggo la seguente lista di prefetti del pretorio sotto Commodo:

  1. Paterno (178-182)
  2. Tigidio Perenne (182-185)
  3. Nigro (6 ore nel 185)
  4. Marcio Quarto (5 giorni nel 185)
  5. Longaeus Rufo (3 mesi nel 185)
  6. Atilio Ebuziano (187 o 189)
  7. Regillo (189)
  8. Grato Giuliano (189-190)
  9. Motileno (ultimi anni di Commodo)
  10. Quinto Emilio Leto (191-192)

Tutti gli uomini appena elencati andarono incontro ad una fine violenta, spesso per ordine dell’imperatore. Niente come questo dato esemplifica il caos al vertice che l’impero vide nei dodici anni del regno di Commodo. Questi fatti pongono anche in prospettiva la congiura che. sul finire del 192, portò all’assassinio dello stesso Commodo: non stupisce scoprire che, a capo della congiura, vi fu proprio il prefetto del pretorio Leto.

Un altro aspetto molto importante è che il prefetto del pretorio, pur essendo ai vertici dell’impero e comandando la più grande forza militare presente nell’Urbe, non aveva alcuna speranza di ambire (personalmente) all’impero. La dignitas imperiale poteva essere rivestita solo da membri della classe senatoriale; un equestre sarebbe stato considerato di origine non sufficientemente nobile (dove nobiltà si intende in senso romano). Difatti, nei primi due secoli tutti gli imperatori erano, prima di ogni altra cosa, membri del senato. Ovviamente, questo non impediva che un prefetto del pretorio potesse complottare contro l’imperatore; questo fu il caso di Leto che la notte del 31 dicembre 192, assassinato Commodo, andò alla ricerca di un candidato imperiale sufficientemente autorevole da proporre ai pretoriani, al senato e al popolo.

Nella successiva epoca severiana, la prefettura del pretorio raggiunse l’apice del prestigio, perché fu ricoperta da alcuni tra i più insigni giuristi dell’età romana. La prefettura sopravvisse allo scioglimento definitivo della Guardia pretoriana da parte di Costantino e nel tardo impero divenne un incarico sostanzialmente civile.

Castra Praetoria

Le nove coorti pretoriane originarie, arruolate sotto Ottaviano Augusto, erano dislocate in varie città d’Italia e poi in varie caserme della stessa Roma. Nel 23 d.C. Tiberio le concentrò costruendo per loro un grande accampamento, fortificato e permanente, appena fuori l’Urbe: un monito al popolo e al senato sul fatto che la vera autorità era ormai quella dell’imperatore, oltre che uno strumento nelle mani dell’allora prefetto Seiano.

“Alla carica di prefetto del pretorio, prima non significativa, Seiano conferì un peso importante, riunendo in un unico alloggiamento le coorti dislocate in vari punti della città, per poter impartire ordini simultanei e perché, col numero, la forza e la vista reciproca, nascesse sicurezza in loro, timore negli altri. Sosteneva che tra i soldati, se dispersi, s’allenta il rigore e che, nell’emergenza, potevano fronteggiare meglio il pericolo, se fossero accorsi tutti insieme; e ne avrebbe guadagnato il rigore della disciplina, ponendo il campo lontano dalle tentazioni della città”

Tacito, Annali, libro IV, 2

Situati nella zona nord-est della città, tra Viminale ed Esquilino, appena fuori della vecchia Porta Collina, tra le vie Nomentana e Tiburtina, i Castra Praetoria dominavano la città difendendone la zona d’approccio da nord-est, che storicamente era stata da sempre la più vulnerabile.

Roma attorno al 190 d.C. Con le mura aureliane non ancora realizzate, i Castra erano “esterni” ma molto vicini all’Urbe.

Ricoprivano circa 17 ettari di superficie e avevano una forma quadrangolare (circa 440×380 metri) e con gli angoli arrotondati. Le dimensioni, minori di quelle di una fortezza legionaria di frontiera, in passato ha fatto sottostimare il numero di effettivi della Guardia. La quasi sicura presenza di edifici e caserme a due piani, oltre che l’assenza dell’intervallum tra il muro e le caserme, ovviava al problema. Si è recentemente calcolato che i Castra potevano alloggiare così fino a 12mila uomini.

Il campo era diviso simmetricamente da quattro strade maggiori lungo gli assi. Sembra che le caserme fossero lunghi edifici che correvano parallelamente alle strade. Non c’è traccia dei principia, cioè la zona degli uffici dei comandanti, perché tali ruoli e uffici erano forse svolti a palazzo. Quindi sia il prefetto che i tribuni vivevano in città, mentre i centurioni erano i più alti ufficiali in grado residente permanentemente nel campo.

Pur mancando di una zona amministrativia, i Castra avevano un centro religioso. Il centro delle due strade principali ha riportato alla luce numeroso materiale votivo. Scavi recenti hanno rivelato che una delle caserme terminava con una facciata ad abside. Questi spazi, probabilmente, accoglievano le seguenti strutture: l’Altare degli Stendardi, un tempio a Marte ed uno alla Fortuna, attestati dalle fonti letterarie e numismatiche. Le fonti letterarie ci raccontano spesso di episodi (elevazioni e acclamazioni imperiali di vario tipo) avvenuti dentro i Castra di fronte alle truppe riunite: è probabile che siano accaduti proprio qui, di fronte alle insegne della Guardia.

Aureo dell’imperatore Claudio. Sul retro, una raffigurazione dei Castra Praetoria con, al centro, l’Altare degli Stendardi.

Ricordiamo che l’epoca imperiale vide il diffondersi, tra i ranghi dei soldati, del “culto delle insegne”, ufficialmente festeggiato a Maggio, durante i Rosalia.

Le mura che circondavano l’accampamento erano alte tra i 3 e i 4 metri (subendo diversi innalzamenti nel corso della storia), avevano un’anima di detriti e terra compattati con rivestimento di laterizi (opus latericium). Sul lato interno delle mura c’erano delle volti a botte, in sostanza un portico che correva per tutto il perimetro. Non meno di 16 torri e 4 porte (Porta Principalis Dextra, Porta Principalis Sinistra, Porta Decumana, Porta Praetoria si distribuivano lungo il perimetro.

L’armeria era posta nell’angolo sud-est, quello protuberante verso l’esterno. Il campo di esercitazioni era posto tra la caserma e la città in un terreno sterrato e veniva probabilmente usato anche per altre cerimonie (giuramento e suo rinnovamento annuale, congedo dei veterani eccetera).

In definitiva, i Castra Praetoria, situati alle porte di Roma, erano la “assicurazione” del potere imperiale e tale furono fino alle riforme di età severiana, che modificarono la guarnigione di Roma. La Storia, tuttavia, ci insegna che non infrequentemente furono gli stessi pretoriani a sancire la caduta di un sovrano…


Bibliografia

Considerando la sostanziale somiglianza d’armamento tra le legioni e le coorti pretorie, l’opera fondamentale su tale aspetto rimane quella di Cascarino.

Bingham Sandra, The Praetorian Guard. A history of Rome’s Elite Special Forces, Baylor University Press, 2013.
Cascarino Giuseppe, L’esercito romano. Armamento e organizzazione. Da Augusto ai Severi (Vol. 2), Il Cerchio, 2008.
Cowan Ross, Roman Guardsman 62 BC – AD 324, Osprey Publishing, 2014.
D’Amato Raffaele, Roman Standards & Standard-Bearers (1) 112 BC–AD 192, Osprey Publishing, 2018.
De la Bédoyère, Guy, Praetorian. Rise and fall of Rome’s imperial bodyguard, Yale University Press, 2017.
Field Nic, The Walls of Rome, Osprey Publishing, 2018.
Rankov Boris, The Praetorian Guard, Osprey Publishing, 1994.
Redaelli Davide, L’estrazione sociale delle reclute delle coorti pretorie e urbane, Revue internationale d’Histoire Militaire Ancienne, 5, 2017.
Ricci Cecilia, Germani a Roma. Testimonianze epigrafiche romane tra I e III sec. d.C., POLIS, Revista de ideas y formas políticas de la Antigüedad Clásica, 5, pag. 205-225, 1993.


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