1° agosto 1798 – Aboukir, il trionfo di Nelson

“Nessun comandante inglese sbaglierà se porterà la propria nave a fianco del vascello nemico.”

Horatio Nelson

Ore 14:45 del 1° agosto 1798, rada di Aboukir, Egitto.

La flotta britannica – 14 vascelli di linea e un brigantino – guidata dal contrammiraglio Horatio Nelson avvista la flotta francese – 13 vascelli, 4 fregate e 4 brigantini – agli ordini del viceammiraglio de Bruyes, all’ancora nella rada di Aboukir, di fronte alle coste egiziane, a poche miglia da Alessandria. De Bruyes ha scortato i trasporti francesi che hanno portato, meno di un mese prima, l’esercito del generale Bonaparte in terra d’Egitto.

Alle 18:30, con l’approssimarsi del tramonto, la flotta inglese arriva a portata di tiro della flotta francese, che si trova in una situazione molto forte ma al tempo stesso precaria: De Bruyes ha fatto scendere molti uomini a terra e, credendo di potersi difendere con la vicinanza della costa, ha ancorato le navi in una lunga linea di fronte la costa, per avere così un fianco protetto. La flotta francese si trova fuori dalla protezione delle batterie costiere.

Nelson prende una decisione rischiosa e coraggiosa: attaccare!

Come si era giunti a questo momento?

L’antefatto

All’inizio del 1798, dopo la firma del trattato di Campoformio e l’uscita di scena dell’Austria, l’unica nazione rimasta in armi contro la Francia rivoluzionaria è l’Inghilterra, che in affanno in diversi settori: in Irlanda, dove cova la rivolta; in India, dove Tippoo Sahib, sultano del Mysore, è sconfitto ma non domo. Un’invasione diretta dell’isola attraverso la Manica è ritenuta difficile per la presenza della Royal Navy.

Sorge dunque l’idea di colpire l’impero britannico conquistando l’Egitto, allora sotto il controllo teorico dell’impero ottomano, ma de facto autonomo e protettorato inglese. Sulla campagna egiziana convergono più interessi: quello del Direttorio di allontanare Bonaparte, generale popolare e ingombrante; quello dello stesso Bonaparte, sempre attratto dall’Oriente e dalla suggestione di emulare Alessandro; infine, anche quello culturale-scientifico, perché la spedizione sarà accompagnata da un cospicuo numero di savants, cioè archeologi, botanici, geografi e artisti incaricati di esplorare il paese, ricchissimo di storia.

La flotta francese partì da Tolone il 19 maggio 1798, forte di 13 vascelle, 6 fregate e 400 mercantili comandati dall’ammiraglio François-Paul Brueys D’Aigalliers, su cui erano imbarcati circa 14mila uomini, 860 cavalieri e 1160 artiglieri; ad essa si unirono altri convogli da Genova, Bastia e Civitavecchia, che portarono il computo totale delle forze a 38mila uomini, 1200 cavalieri ed un centinaio di cannoni.

Gli inglesi, consci dei preparativi in corso, distaccarono una flotta da Gibilterra forte di 11 vascelli di linea e due ponti, due fregate e due sloop al comando di Horatio Nelson, più giovane contrammiraglio della flotta, ma ritenuto il più adeguato all’incarico.

La spedizione, però, aveva sin dall’inizio un vulnus strategico, come fa notare Alberto Santoni in Da Lepanto ad Hampton Roads:

…la stessa natura della spedizione oltremare francese, con l’istituzione di lunghe e vulnerabili linee di comunicazione marittime e con l’assoluta necessità di mantenere in vita un massiccio flusso di rifornimenti attraverso il Mediterraneo… avrebbe fornito prima o poi una favorevole opportunità all’aggressiva Royal Navy.

Una serie di fortunate coincidenze permise alla flotta francese, lenta e impacciata dalle navi trasporti, di non essere intercettata dalla flotta inglese. Il 20 maggio una tempesta danneggiò la Vanguard, l’ammiraglia inglese e ciò impedì a Nelson di rendersi conto della partenza del convoglio nemico; nella stessa tempesta, Nelson perse contatto con le due fregate, che nell’epoca della vela erano i veri “occhi” della flotta.

Napoleone raggiunse Malta indisturbato mentre Nelson ancorava a Messina, incerto se l’obiettivo francese fosse la Sicilia oppure l’Egitto. La notizia della caduta di Malta (l’Ordine di San Giovanni fu soppresso) convinse Nelson della seconda ipotesi: si lanciò quindi, il 20 giugno alla massima velocità verso l’Egitto. Napoleone, partito il 19, ebbe l’ennesimo colpo di fortuna. La notte tra il 22 e il 23 la più rapida flotta inglese superò quella francese senza rendersene conto; il 28 giugno giunse ad Alessandria e la trovò vuota.

Credutosi ingannato, Nelson s’affrettò a tornare in Sicilia, concedendo così preziosi giorni alla spedizione francese, che sbarcò indisturbata tra il 1° e il 3 luglio, occupò Alessandria, sconfisse il locale regime dei mamelucchi alle Piramidi ed entrò al Cairo.

Nelson arrivò a Siracusa il 19 luglio, s’accorse del proprio errore, tornò indietro, ebbe certezza a Creta del passaggio della flotta nemica e puntò la prua verso l’Egitto.

La battaglia

Nel tardo pomeriggio del 1° agosto, dunque, le due flotte sono l’una. Bruyes, avvistata la flotta inglese, pensò di avere ancora tempo: era infatti inconsueto combatte di notte, in particolare vicino alla costa. L’ammiraglio francese fu così imprudente da non inviare in esplorazione le quattro fregate della propria flotta ma ormeggiarle tra la costa e le navi di linea.

Anche con un occhio solo invece Nelson scoprì il punto debole del nemico quando si avvide che le navi francesi erano ancorate unicamente di prua e avrebbero quindi potuto ruotare su se stesse sotto l’effetto della corrente e del vento. Ciò faceva presumere che doveva esistere tra i bassifondi della costa e le unità di Brueys un braccio di mare sufficientemente profondo ed ampio da permettere ad esse di ruotare e conseguentemente ai vascelli inglesi di potersi infiltrare.

Nelson sul cassero della Vanguard di Daniel Orme

Nelson, contrariamente ad ogni tradizione navale, non esitò ad attaccare. Per farlo escogitò un geniale piano: la flotta inglese doveva dividersi in due e avviluppare su entrambi i fianchi la linea francese. Per farlo, metà della flotta avrebbe dovuto infilarsi tra le navi francesi e la costa, cioè in uno spazio molto ristretto di acque sconosciute. Un vero e proprio azzardo che testimonia l’incredibile coraggio, quasi aggressività, dei marinai e degli ufficiali inglesi.

I francesi, presi alla sprovvista dalla decisione di Nelson, non seppero reagire. Nonostante ciò, la battaglia si aprì in modo sfortunato per gli inglesi. Il Culloden si arenò all’imboccatura della baia e, anche se recuperatore al termine dello scontro, non poté prendervi parte. Ciò accentuò la superiorità di fuoco francese: 1178 cannoni contro 954 britannici.

Alle 18:45 i primi cinque vascelli della linea inglese, incuranti del tiro nemico e dei bassifondi, aggirarono la testa della linea nemica, passando sulla sinistra e bersagliandola dalla linea di terra. Contemporaneamente, l’ammiraglia Vanguard condusse le restanti sette unità all’esterno della linea francese, prendendo come bersaglio il vascello Spartiate.

Dopo meno di due ore di battaglia, le prime sei navi francesi erano disalberate e smantellate e altre tre già catturate. Fu quindi la volta dell’attacco al vascello L’Orient, la gigantesca ammiraglia da 120 cannoni della flotta francese, su cui si trovava De Bruyes. L’attacco fu condotto dai vascelli Swiftsure ed Alexander, entrambi da 74 cannoni e in grado di sparare una bordata al minuto.

La doppia manovra di Nelson

Così Santoni racconta l’apice drammatico di quella battaglia:

Alle 21:00 L’Orient, che de Bruyes aveva avuto la cattiva idea di far ridipingere il mattino stesso, cominciò a bruciare come una torcia nella sua fresca vernice. Un’ora dopo l’incendio raggiunse un deposito delle polveri e la maestosa unità fu squarciata da una violentissimo esplosione, percepita perfino ad Alessandria, che proiettò frammenti incandescenti a bordo delle circostanti navi amiche ed avversarie e che sbigottì talmente i contendenti da determinare la sospensione del combattimento per qualche minuto. Dei circa mille uomini del suo equipaggio soltanto 71 si salvarono e tra di essi non c’era l’ammiraglio De Bruyes, ucciso già prima dell’esplosione da un palla di cannone che quasi lo tagliò in due.

La distruzione de L’Orient nella battaglia del Nilo di George Arnald

Fu la fine. Soltanto le ultime due navi di linea, assieme a due fregate, riuscirono a guadagnare il largo in tempo ed a fuggire al comando dell’ammiraglio Pierre Villeneuve, futuro sconfitto a Trafalgar. I francesi persero 11 navi di linea ed ebbero 1700 morti, 1500 feriti e 3000 prigionieri, a fronte dei 288 morti e 677 feriti di parte inglese.

Il trionfo di Aboukir ebbe conseguenze politiche incalcolabili, nonostante la minimizzazione di Napoleone. Prima della vittoria di Nelson l’Inghilterra era rimasta da sola nella sua lotta contro la Francia; dopo Aboukir, nacque la Seconda Coalizione a cui aderirono Austria, Napoli, Russia, Turchia, Portogallo e che diede filo da torcere alla Francia per qualche anno.

Inoltre, la battaglia impose la supremazia britannica nel Mediterraneo tramite l’acquisizione dell’isola di Malta, da cui Napoleone aveva cacciato l’omonimo Ordine che la possedeva.


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Il libro di Alberto Santoni

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