Da mangiatore di uomini a mangiato dagli uomini: lo squalo.

di Carlo Cavazzuti


Molti hanno dello squalo l’immagine del mangiatore di uomini o della macchina divoratrice senza pietà che la letteratura e la filmografia ci hanno fornito, con il costante aiuto della stampa e dei telegiornali.

Nulla di più sbagliato.

Pochi sanno però che lo squalo, o per meglio dire gli squali, sono molto più spesso prede dell’uomo che suoi predatori. Chi non ha sentito nominare dal pescivendolo il palombo, lo smeriglio, il mako o la verdesca, o per lo meno una volta non li ha visti riportati sul menù di un ristorante di pesce? Ebbene sì, sono squali, esattamente come lo squalo bianco, ormai celeberrimo protagonista di documentari.

Ogni giorno nel mondo vengono mangiati migliaia di squali, mentre in un anno pochissime sono le vittime dei loro attacchi.

Di squali, secondo il catalogo internazionale della F.A.O., ne esistono più di duecentocinquanta specie, molte delle quali commestibili e con un valore di mercato nell’ambito della pesca industriale del tutto rispettabile ed in alcune zone del globo paragonabile a quello di aragoste, tonni di grandi dimensioni e pesci di alto mercato.

Nel nostro Mediterraneo la pesca di squali in genere è documentata sin dal tempo dell’impero romano dove il palombo era un piatto molto apprezzato. Stessa cosa accadeva nella Spagna musulmana dove la verdesca veniva servita bollita nel latte di pecora assieme a fichi freschi alla corte di Granada. Il mako nei paesi del Magreb è una preda tra le più ricercate dai pescatori. Tornando però alle italiche terre e più precisamente sulla nostra isola maggiore: la Sicilia, si può dire che già dall’impero di Federico II iniziano a formarsi vere e proprie marinerie specializzate nella pesca a squali. Erano e sono carni saporite e grasse che possono essere vendute a trancio. Nei periodi di magra dei raccolti e delle altre pescate uno squalo poteva benissimo sfamare una famiglia per mesi. Se poi, come nelle terre scandinave, lo si affumica o lo si lascia fermentare per poi conservarlo un pesce di qualche quintale diventava preziosissimo.    

Ma come avveniva questa pesca di squali secoli fa?

In Norvegia e Islanda lo si pescava a rete, nel Mare Nostrum i metodi erano diversi. Le fonti riguardo ricette a base di squalo e i metodi della sua pesca provengono per lo più dal Sud della nostra penisola e la Sicilia in primis ne è uno scrigno, quindi, quelle riportiamo.   Le barche più adatte erano le Feluche, gli Schifazzi o i Gozzi, tutti natanti abbastanza grandi in grado di accogliere animali anche di quattro o cinque metri e spesso con un albero o un palo centrale molto alto. Esse collaboravano strettamente con un’imbarcazione più piccola e veloce per la cattura effettiva del pesce: il Luntro.

La barca maggiore, solitamente non del tutto attrezzata a tenere il mare a lungo, veniva rimorchiata al largo da due o tre delle più piccole sorelle e lì lasciata a navigare lentamente. I luntri, invece, con le chiglie completamente dipinte di nero per non farsi scorgere dai pesci, si mettevano, a suon di remi sulle tracce degli squali. Quando dall’albero dell’imbarcazione maggiore un uomo scorgeva da lontano la famosa pinna che solcava l’acqua e iniziava a urlare le sue indicazioni agli altri pescatori che si davano all’inseguimento sui luntri.

Con la forza del vento e delle schiene dei rematori, sotto la guida di un avvistatore a bordo e le grida dalla feluca, il luntro più fortunato si avvicinava a sufficienza perché il ramponiere potesse scagliare l’arpione.

Lì iniziava la lotta uomo-pesce.

Un arpione nella schiena di un pesce di sei o sette quintali non è sufficiente ad ucciderlo sul colpo, almeno se l’abilità del ramponiere non è tale da arrivare con la sua arma al cuore della bestia, allora a forza di braccia si teneva la preda, la si stancava, si ci faceva trascinare sulle onde dalla forza del pesce disperato sinché non si staccava l’arpione, si spezzava la corda che lo univa alla barca o si riusciva a trainare lo squalo stremato sino alla barca d’appoggio.

Un misto tra Moby Dick e Il vecchio e il mare.

Un altro modo di pescare gli squali era, ed è tutt’ora, con le reti derivanti, lasciate, come nome vuole, alla deriva, ma ancor più particolare era l’uso delle tonnare per la cattura degli squali. Altra tradizione solo siciliana. Quando il periodo del tonno iniziava a farsi scarso si navigava alla ricerca di uno più squali andando a pasturare con i resti della pulizia del pescato del giorno precedente. Una volta trovati e radunati gli squali in un piccolo gruppo, grazie a delle reti tese tra diverse barche li si spingeva sin verso la tonnara.

Gli squali, anche attirati dai tonni, si infilavano nel labirinto di reti della tonnara e qui, divisi dai primi, venivano catturati in una camera della morte separata, di solito dalla parte opposta di quella vera e propria.

Tolto il luntro e tolta la tonnara che oramai non esistono più, la stessa identica pesca avviene anche oggi con le feluche a motopasserella nello Stretto di Messina, unica differenza è che si prende il pesce spada.

E adesso come li pesco gli squali?

Adesso i metodi di pesca sono di molto cambiati, si usa il palangaro: una lunga lenza di oltre un chilometro, in questo caso di cavo d’acciaio, a cui a intervalli regolari si attaccano altre piccole lenze lunghe qualche decina di metri a cui, a loro volta stanno attaccatati da uno a quattro ami con relative esche.

Al tramonto si lascia alla deriva con due boe ai due capi della lenza e poco prima dell’alba si va a salpare. Purtroppo, questo strumento di pesca, con qualche migliaio di ami, non permette una buona selezione del pescato e troppo spesso vede catturate specie protette come tartarughe e altre ancora.

Uno di questi squali “da piatto”, almeno sino a qualche anno fa, era lo squalo Capopiatto anche conosciuto come Pesce Vacca, o dai più eruditi come Hexanchus griseus. Un pesce di discrete dimensioni se pensate che può arrivare tranquillamente ai quattro metri e mezzo di lunghezza ed a un peso di oltre sette quintali, ma state tranquilli, non c’è bisogno di tirare fuori dall’acqua i bambini, è pressoché innocuo per l’uomo a patto che non lo si disturbi tirandogli la coda o puntandogli una luce intensa negli occhi.

L’ultimo attacco mortale all’uomo risale ormai a più di cinque secoli fa.

Di solito questo squalo vive a grandi profondità: mille, millecinquecento metri, solo la notte e solo in certe determinate condizioni di correnti marine e fasi lunari, risale a profondità raggiungibili da un subacqueo per nutrirsi di crostacei e molluschi al chiaro di luna. Lo squalo Capopiatto si alimenta di notte su un’ampia varietà di animali, di norma nuotando radente al fondo e catturando le prede con un rapido scatto.

È facile immaginare che un animale del genere viva nei mari tropicali, lungo le barriere coralline o in pieno oceano. È più difficile per il cittadino, o per meglio dire, per il bagnante comune, pensare che un’animale del genere si trovi ogni giorno sotto i suoi piedi quando si fa una nuotata nel mare vicino a casa. Lo squalo Capopiatto vive effettivamente, come molti altri squali anche potenzialmente pericolosi, nel Mar Mediterraneo dove svolge il suo intero ciclo vitale. Secondo gli ultimi studi un luogo prediletto per la riproduzione e per far crescere i cuccioli di molti degli individui del Mediterraneo sono le Isole Eolie ed in particolare lo stretto braccio di mare che collega le isole di Vulcano e di Lipari; quindi, come si usa dire, proprio nel cortile di casa nostra.

Predilige i fondali pianeggianti ricchi di rocce dove i piccoli possono imparare a cacciare e proteggersi in mezzo ad esse. Trova quindi un terreno ideale per la caccia nelle secche al centro dello Stretto di Messina e alle Isole Eolie con i suoi fondali vulcanici ricchi di formazioni rocciose ed allo stesso tempo di discreta profondità per rifugiarvisi il giorno.

La pesca di questo superbo animale era diffusissima in tutto il Mediterraneo e una fonte di reddito per molti pescatori, da qualche anno, però, ne è stata proibita la pesca per motivi medico sanitari in quanto lo squalo Capopiatto, a causa del suo habitat e della sua dieta, tende ad accumulare metalli pesanti nei propri tessuti e ad essere quindi cancerogeno per l’uomo se assunto con una certa regolarità.

In passato nelle Eolie vi erano vere e proprie flottiglie di pescherecci dedicati all’esclusiva pesca di questo animale probabilmente sfruttando proprio questa loro propensione a migrare in quei luoghi per riprodursi. Venivano pescati principalmente in profondità utilizzando le reti sul fondo, in modo da poter sfruttare l’intera giornata e non dover attendere la risalita notturna. In tutta la Sicilia sono note ricette a base di questo squalo ed è considerato ancora un pesce prelibato, preferito al più conosciuto pesce spada ed al tonno rosso con il quale condivideva i banchi del pesce sino al 2000, anno del fermo pesca.

In un mondo rispettoso delle leggi questo pesce vivrebbe tranquillo e beato senza avere il timore di essere pescato e rivenduto. Purtroppo, questo non avviene, o per lo meno non avviene in Sicilia e nelle Isole Eolie dove tutt’ora viene pescato di frodo e indi spacciato per pesce spada. Una pesca di frodo non molto diversa da quella segnalata da molti gruppi animalisti per altre specie di squalo onde tagliargli le pinne per la zuppa.  Le motopasserelle ed i pescherecci siciliani sfidano i divieti legali con un escamotage non proprio onorevole. Utilizzando non più solo le reti come in passato, ma anche arpioni e palangaro, lo catturano esattamente come si potrebbe fare con il pesce spada.

Una volta issato a bordo gli viene mozzata la testa e tutte le pinne che vengono gettate in mare subito dopo. Il pesce così trattato, anche agli occhi dei più esperti è del tutto identico ad un Pesce Spada, un Marlin o un’Aguglia. A volte, per la fretta o la paura di essere scoperti, i pescatori mozzano solamente la testa del pesce perché proprio in essa è racchiuso il carattere più distintivo della sua specie: sei aperture branchiali. Ogni altro pesce cartilagineo, squalo o meno, ne possiede cinque o sette, motivo per cui se presentato ad un mercato del pesce provvisto del proprio capo, questo pesce, sarebbe immediatamente riconosciuto e sequestrato assieme all’imbarcazione che lo ha pescato.

Non essendo proibito per legge pulire il pesce sull’imbarcazione, questi disonesti pescatori sfruttano la cosa per spacciare il nostro squalo per un comune pesce spada. Quando un peschereccio in pesca di frodo vede da lontano una motovedetta della guardia costiera o getta in mare l’ormai defunto pesce o è passibile di sequestro del natante e del pescato; motivo per cui non è affatto una novità vedere questi animali a pancia in su galleggiare nel mare eoliano anche poco lontano dalla riva.

Nel messinese la cosa avviene con una metodologia leggermente diversa: la notte i pescherecci una volta preso l’animale posizionando le reti derivanti lungo lo Stretto lo caricano su piccole scialuppe e lo portano a terra, in zone ben precise in cui un complice li attende. Con il favore del buio rapidamente puliscono il pesce da testa e pinne e lo tagliano direttamente in tranci da rivendersi al mercato. Il Capopiatto arriva dunque ogni giorno sui banchi del mercato del pesce di Mazara del Vallo, Milazzo, Lipari e di seguito anche in tutti quelli del territorio nazionale e sui piatti degli italiani. Se fresco, il colore della pelle e identico a quello di un pesce spada di grosse dimensioni come il colore e la consistenza delle sue carni, persino le venature muscolari, le vertebre e gli organi interni sono praticamente identici tra loro. Il fatto è che sia gli squali che i pesci spada appartengono alla stessa classe zoologica: i condroitti cioè i pesci con lo scheletro cartilagineo; quindi, a meno di un’analisi dettagliata dei tessuti è difficilissimo riconoscere la carne di uno squalo da quella di un pesce spada. Lo si avverte una volta nel piatto però, il Pesce Vacca, e lo squalo in generale, presenta una carne molto più grassa, saporita e morbida del suo armato parente, motivo per cui viene spesso preferita ad essa.

In molti sanno di questa attività illecita, ma in altrettanti omertosamente tacciono, sia la guardia costiera che anche volendo intervenire, come spesso fa, ad essere più pressante si troverebbe a dover arginare un’insurrezione dei pescatori indignati, sia il cliente che spesso sottobanco chiede al pescivendolo proprio quella carne per un piatto tradizionale, sia gli altri pescatori per paura di ritorsioni.

Andare a domandare ad un pescatore sconosciuto se per errore avesse pescato o sapesse dove trovare un esemplare di Capopiatto può costarvi oltre alle male parole, minacce decisamente colorite con un arpione in mano (mi è capitato personalmente un paio di volte di essere minacciato in questo modo), ben che vada un secco e lapidario “No!”

A parlare e mettere la pulce nell’orecchio ad un gruppo di studiosi dell’università di Messina, tra cui il sottoscritto che studiava le abitudini alimentari e riproduttive di questa specie, fu un ex pescatore eoliano che nel 2008, contattato per il noleggio delle sue imbarcazioni per una battuta di pesca autorizzata, mi ha rilasciato un’intervista che lasciò con un palmo di naso in molti nel mondo accademico.

Riporto qui parte dell’intervista a quell’uomo che nonostante sia diventato un buon amico, per motivi di sicurezza personale, ha chiesto di mantenersi anonimo per quanto riguarda le sue dichiarazioni, e che noi chiameremo solamente P.

I: Lei per caso sa dove possiamo andare a pescare il Pesce Vacca? Insomma una zona dove buttare gli ami, così non passiamo la notte a girarci i pollici…
P: Certo che lo so, ma qui lo sanno tutti. È una vita che lo pescano e anche i ragazzini sanno dove lo si prende la notte.
Io: Ma lo pescano anche ora, nonostante il fermo di pesca?
P: E che cos’è il fermo di pesca? Una parola sulla carta, qui non c’è nessuno che controlla a fondo, la capitaneria ha pochi uomini e non può controllare ogni barca ogni giorno. Un pesce, alla fine, è uguale ad un altro finché non ce l’hai in bocca.  E**** ne ha preso uno di due quintali giusto ieri…
Io: Allora perché nessuno mi ha risposto alla domanda su dove devo andare a prenderli? Mi hanno persino detto che con la guardia di finanza loro non ci parlano, come se io fosse un finanziere (da esplicitare che stavo girando per le isole in perfetta tenuta da turista balneare con tanto di camicia in stile hawaiano a fiorelloni) non hanno nemmeno voluto vedere il permesso dell’università e della capitaneria?
P: Perché non è che lo prendono così per caso… Sì, succede che riamane nella rete o ti si attacca all’amo, ma qui sono secoli che lo prendiamo per mangiarlo e ci sono marinerie che pescavano solo quello, vuoi che smettano solo perché un tizio a Roma ha detto che non si può più?
Io: Ma non è stato fatto nulla per sensibilizzare la marineria o dargli motivo di rispettare le disposizioni?
P: Ma sì, son venuti a dirci che faceva male mangiarlo perché aveva i metalli nel sangue… Hanno proposto anche ai grandi pescatori della zona un finanziamento a fondo perduto per convertire le loro imbarcazioni ad uso turistico per le gite o la pesca sportiva. Io ho accettato, prima pescavo praticamente solo Pesce Vacca e pesce spada, ma che fai, rischi la gabbia per un pesce? Siamo in un luogo turistico e molti hanno fatto come me: quello che ci perdi non andando più al mercato a Mazara a vendere il pesce lo prendi facendo le gite coi turisti per le Isole.
Io: E gli altri, quelli che hanno rifiutato l’offerta? Non hanno subito conseguenze?
P: Che gli dovevano fare? Sequestrargli la barca, le reti o il palangaro? Mica possono, con quelli ci peschi un sacco di pesci, mica solo il Pesce Vacca, con che motivo la guardia costiera arriva e mi porta via tutto? Solo perché con quella roba io posso pescare un pesce proibito, non è detto che lo faccia…
Io: Ammessa anche l’impossibilità della guardia costiera, non è che posso arrivare al mercato con uno squalo di cinque quintali e lungo tre metri e mezzo e pensare che nessuno lo noti, non è una sardina tra milioni di altre! Non possono nemmeno venderlo direttamente allo sbarco alla vecchina che passa sulla spiaggia perché è troppo grosso…
P: Guarda che non è poi tanto difficile fregare quelli dei controlli! Mi sa che hanno fregato anche te tante volte se sono io a spiegarti ‘ste cose! Esci in mare come al solito e ti porti il palangaro lungo in acciaio, ci attacchi sopra un migliaio di ami e a ogni amo un bel totano intero. Così se controllano puoi dire che vai per gli Spada… Se sai dove andare ne peschi un paio al giorno da quelli piccoli di mezzo metro fino ai bestioni da tre, quattro metri. Da maggio a novembre tra qui e Vulcano ci passano sempre, basta buttare gli ami che li prendi. Quando ce li hai a bordo gli tagli la testa, sai per le branchie, le pinne e la coda e poi vallo riconoscere da un pesce spada! Butti tutto in mare ed hai fatto. Porti il trancio al mercato e lo vendi come Pesce Spada. Ci vogliono quelli dell’università a scoprire che è squalo, perché se non vai a vedere bene lo stomaco o gli fai l’analisi del DNA non si capisce. Poi se vai nel messinese la notte hanno il palo a terra che arriva con il barchino, se lo prende e lo pulisce al volo buttando tutti i resti a mere.
Io: Ma non possono mettersi a pescare altro come fanno in tanti?
P: Non puoi pensare che gente che fa quello, e solo quello, per vivere smetta e lasci alla fame la famiglia solo per un divieto. Del divieto importa a pochi, magari gli altri non vanno più solo per lui, intendiamoci, ma se un ristorante te lo chiede e te lo paga cento euro al chilo, che fai non glielo porti? Con uno solo, se è grosso, ci paghi la mesata delle spese della barca e te ne avanzano parecchi di soldi. Cosa vuoi che gli interessi al pescatore con la quinta elementare che fa male mangiarlo, per lui fa più male non mangiare un giorno perché non hai pescato abbastanza per comprarne! Magari sono pescatori che nemmeno sanno come e cos’altro pescare, hanno una certa età, ma sono giovani per la pensione, così escono magari solo una notte a settimana e di nascosto si fanno un bel po’ di soldi in barba ai divieti. Poi all’amo predi anche altro, quello te lo tieni, lo usi come esca o lo vendi che al massimo arrotondi un po’…
Io: E con la guardia costiera come la si mette?
P: La metti che se vai per Pesce Vacca hai la vedetta. Insomma ti porti qualcuno che ti avvisa se quelli escono per i controlli e dove stanno andando. Molli il palangaro e te ne vai. Tanto tu devi denunciare gli strumenti di pesca che hai a bordo, ma una volta in mare… Quando la capitaneria è passata torni a prendere tutto in fretta, mal che vada hai lasciato il palangaro poco e hai buttato una notte di lavoro, ma almeno non hai multe, fermi e sequestri.
Io: Quindi tutti quelli a cui ho chiesto sono pescatori di frodo? Io ho chiesto a … (diversi nomi).
P: No, non tutti almeno. Alcuni so per certo che lo fanno almeno una volta alla settimana quando è periodo, ma gli altri quando lo prendono lo vendono sicuro, ma non ci vanno apposta. È che non si fidano, mica sanno chi sei te. Metti che sei della capitaneria o della finanza e dopo gli sequestri la barca questi come campano poi? A pensar male si ci prende spesso.
Io: Almeno pescano solo gli adulti?
P: Anche dei pescatori di frodo, ma non sono scemi, sanno bene che prendere il giovane poi non te lo trovi grande il prossimo anno, se non c’è proprio richiesta di uno piccolo, o quando lo tiri su è già morto, li ributtano.
Io: Quindi c’è anche richiesta di giovanili?
P: Certo, si vendono meglio e visto che lo devi fare di nascosto.  
Io: Ma se si prende così tanto a pescarli perché lei ha smesso?
P: Io avevo già un’età, qualche problema di salute e mi sono fatto due conti. Stare in barca tutte le notti e rischiare pure il sequestro o prendermi i soldi che mi offrivano, gli sgravi fiscali e convertire i pescherecci in motobarche turistiche. Lavoro solo la stagione turistica, guadagno di più che prima e non rischio la galera, ma per molti miei ex colleghi non è stato così facile, un poco per cultura e anche per necessità. Cambiare completamente stile di vita non è sempre facile. Se sai fare al mondo solo quello ci vuole coraggio a buttare a mare anni di lavoro e prendersi il rischio di ricominciare da capo.

L’intervista continua ancora, abbiamo parlato a lungo di come e dove pescarli, con quali esche, in che periodi, e a dire il vero anche come cucinarli.

Ho sempre un po’ dubitato del fatto che fosse impossibile distinguere i due animali: spada e Capopiatto, ma un giorno, dopo una pesca autorizzata a scopi scientifici mi trovai davanti esemplare per ciascuno: dopo puliti effettivamente, anche ai miei occhi da biologo marino erano identici. Provai a cucinarmi un trancio di entrambi alla brace. Effettivamente, alla vista da crudi, sono identici, ma sotto i denti lo squalo è decisamente meglio…

State comunque molto attenti a quello che comprate perché anche io come “pescecanologo” ho serissime difficoltà di riconoscere le due specie al trancio su un banco di pescheria.

Se siete consumatori abituali di pesce spada acquistate solo se vedete la testa attaccata alla parte che vi viene servita o in alternativa solamente in una pescheria di comprovata serietà e fiducia. Nel caso abbiate sospetti non esitate a contattare la guardia costiera o le forze dell’ordine.

Ciò non toglie, comunque, che molte specie di squalo siano sui banchi delle pescherie, si possano mangiare in tutta tranquillità e con gusto, sicuri di aver nel piatto un pesce pescato e venduto legalmente.


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