La Dottrina Monroe rappresenta uno degli snodi fondamentali del processo di ascesa della debole e incerta repubblica statunitense verso l’egemonia continentale, a sua volta tappa fondamentale per la conquista dell’agognata supremazia planetaria. Enunciata ufficialmente per difendere le Americhe dalle mire coloniali europee, la Dottrina Monroe ha subito continui rimodellamenti che l’hanno infine trasformata in uno dei principali strumenti di legittimazione delle politiche espansionistiche formulate dalle élite statunitensi. Questo libro indaga le origini della Dottrina Monroe evidenziandone la centralità rispetto al percorso evolutivo seguito dagli Stati Uniti a partire dalla prima metà del XIX secolo, e ripercorre l’interminabile catena di aggressioni militari, operazioni coperte, azioni di guerra non ortodossa e ingerenze di varia natura attuate dagli Usa nei confronti di tutte le altre nazioni americane.

Pagine: 480.
Formato: Cartaceo.
Editore: Diarkos.
Uscita: 3 giugno 2022.
Il libro sul sito dell’editore
Con il libro di oggi ci troviamo di fronte ad un corposissimo saggio di quasi 500 pagine scritte fitte e divise in nient’altro che sei o sette lunghi capitoli. Non si tratta dunque di una lettura facile o di distrazione. Inoltre, un’altra premessa importante è che non sono affatto un esperto di storia americana e latino-americana; nella presente recensione mi limiterò quindi a descrivere il libro e, in breve, alcune delle principali idee in esso contenute.
Tra XVIII e XIX secolo ebbe fine il dominio coloniale europeo sul continente americano (con poche eccezioni) che si era instaurato e mantenuto stabile per quasi tre secoli dall’estremo nord alle lande più lontane del sud. Ciò accadde prima nel nord, con l’indipendenza degli Stati Uniti (dichiarata nel 1776 e ottenuta pochi anni dopo); e poi, in epoca rivoluzionaria e napoleonica, nel centro e nel sud con il movimento di liberazione guidato da Simón Bolívar (negli anni 1820). La tradizionale divisione tra le sfere d’influenza ispano-portoghese nel centro-sud e anglosassone (e in misura minore francese) a nord venne sconvolta dalla ritirata della Spagna, troppo indebolita per mantenere il precedente potere, e dall’emergere di un nuovo attore, ovvero gli Stati Uniti.
I destini opposti degli Stati Uniti, affermatisi come nazione coesa e unitaria, e dell’America Latina, frammentata in una costellazione di territori che per l’intero periodo coloniale erano stati tenuti insieme solo ed esclusivamente dal rigoroso vincolo spagnolo, trovano la radice nella rispettiva conformazione a paradigmi radicalmente differenti tra loro.

Nel XIX secolo il vuoto di potere nell’America Latina venne occupato dalla Gran Bretagna, che da subito individuò in raffinate forme di “dominio indiretto”, piuttosto che nel controllo diretto (come accadeva nelle colonie d’Asia e d’Africa) il metodo principe per tenere soggiogate le nazioni sudamericane ai propri interessi.
Lo squilibrio cronico delle bilance dei pagamenti di tutti i Paesi latinoamericani di fresca indipendenza che ne scaturì, accentuato dall’aumento incontrollato delle importazioni dovuto all’adesione al regime di libero mercato, indusse i governi locali a cimentarsi nel tentativo di racimolare denaro dall’estero. Senonché, il collocamento di buoni del Tesoro presso il mercato finanziario britannico e la contrazione di prestiti che le banche inglesi confezionavano in maniera specifica da generare la necessità di altri prestiti per coprire quelli in scadenza finirono per inghiottire le nazioni sudamericane in una terribile spirale debitoria.
La dipendenza di questi paesi dall’esportazione di pochi prodotti li rendeva quindi dipendenti dalle manipolazioni dei prezzi degli stessi. In generale, intento britannico fu quello di impedire lo sviluppo di economie autonome da parte dei paesi latino-americani, ricorrendo anche a sanguinose “guerre per procura” in caso contrario.
In tale quadro si inserirono gli Stati Uniti, le cui prospettive di dominio continentale, suggerite dalla favorevole posizione geografica, erano ben chiare già ai “padri della patria”. Ancor prima della coniazione del termine Destino Manifesto (1845) e dell’enunciazione della famosa dottrina dell’omonimo presidente James Monroe (1816-1824), il Purchase Act del 1803 (acquisto della colonia francese della Louisiana, territorio ben più vasto) e gli attacchi al Canada britannico durante la Guerra del 1812 rivelarono la natura espansionista del neonato stato Usa, condita da una concezione di “eccezionalismo” che giustificava il diritto degli stessi Usa al dominio diretto della parte del continente e alla supervisione sulle restanti terre centro-meridionali.

L’enunciazione della dottrina Monroe ebbe luogo nei primi anni ’20 del 1800, quando le colonie spagnole (non tutte, in verità) avevano quasi completato il proprio processo di indipendenza. Il presidente riconobbe anzitutto l’esistenza di diverse sfere d’influenza: l’America e il resto del mondo. Ogni ingerenza dal secondo alle nazioni del primo sarebbe stato considerato atto ostile verso gli stessi Stati Uniti che tuttavia, durante il XIX secolo, non ebbero ancora la forza (soprattutto, non avevano la flotta, né esisteva ancora un canale a Panama per andare dall’uno all’altro oceano) per impedire eventuale interventi europei in America; fu la Gran Bretagna a farsi garante militarmente di tale dottrina. Con il rafforzarsi degli Stati Uniti, tuttavia, tale tutela venne gradualmente meno e anche la dottrina, inizialmente dal carattere difensivo ed isolazionista, venne modificata in senso espansionista (di fatto, imperialista). Teorico di questa svolta fu il contrammiraglio Alfred T. Mahan, eminente stratega e teorico navale.
Una volta raggiunta la “maturità strategica” con l’acquisizione del dominio incontrastato sull’America settentrionale, gli Usa si sarebbero dovuti ispirare all’esperienza inglese per abbracciare a loro volta un’esistenza marittima e de dicarsi al potenziamento della propria proiezione oceanica per porsi gradualmente nella condizione di raccogliere il testimone di una Gran Bretagna divenuta ormai troppo piccola per i canoni di sviluppo moderni… Secondo Mahan gli Stati Uniti erano chiamati a riprodurre la grande strategia britannica su scala notevolmente allargata. Il conseguimento di questo ambiziosissimo obiettivo dipendeva, nella concezione del contrammiraglio, anzitutto dalla rottura dei vincoli imposti dalla dottrina Monroe.
Episodi di questa svolta furono la crisi venezuelana del 1895 (in contrapposizione alla stessa Gran Bretagna), la guerra ispano-americana del 1898 e la costruzione del canale di Panama (1903). È la nascita del corollario di Theodore Roosevelt (presidente nel 1901-1909), che assegnava de facto agli Stati Uniti il diritto di intervenire ovunque vi fossero “chronic unrest“, termine ampio e vago che finì per giustificare qualsiasi cosa.
Questa è soltanto la prima parte dell’introduzione del libro (una cinquantina di pagine). Le restanti sono occupate prepontemente da storia e avvenimenti del continente centro e sudamericano dal dopoguerra in poi, fino ad arrivare agli eventi più recenti dei giorni nostri. L’autore non segue un approccio strettamente cronologico, ma tematico. La dottrina Monroe e i suoi corollari vengono così mostrati attraverso i metodi adottatti dagli Stati Uniti per la sua implementazione. Le tecniche di “controinsorgenza” adottate tra anni ’70 e ’80 negli stati centro-americani, volte ad attaccare con violenza gli “insorgenti” di matrice comunista e socialista; la “dollarizzazione” delle economie locali, rese dipendenti alle multinazionali Usa e attraverso le politiche neoliberiste e privatizzatrici imposte ai governi; la “militarizzazione” degli eserciti locali, riforniti di armi Usa e addestrati nelle accademia Usa o a guida Usa.

Il libro, su questi aspetti, dedica lunghi e dettagliatissimi capitoli che costituiscono il cuore del libro. Accanto a questo, ovviamente, l’autore ci narra anche delle numerosi occasioni in cui le diverse nazioni latino-americane hanno tentato, con maggior o minor successo, di emanciparsi (a volte con intenti nobili, a volte meno). Ampie pagine vengono dedicate al Cile di Salvador Allende, al Venezuela di Chavez prima e Maduro poi, al Brasile di Lula, alla Panama di Noriega e a molti altri personaggi storici.
Personalmente, da profano dell’argomento, avrei preferito uno stretto approccio cronologico. Il libro, è decisamente sbilanciato verso avvenimenti degli ultimi sessanta-settant’anni, del secondo dopoguerra, insomma; al contrario, vicende più lontane sono trattate meno in dettaglio. Senza dubbio, il giudizio di condanna verso gli Stati Uniti e le proprie politiche – e la contemporanea simpatia espressa verso chi a tale ordine si è ribellato – è netta. Infine, la bibliografia è sterminata (forse di parte? Confesso di non avere le conoscenze per dare un giudizio) ed è arricchita da fonti primarie (giornali, dichiarazioni ufficiali, rapporti governativi ecc.) e secondarie.
In definitiva, lo consiglio? Lascio a voi il giudizio, in base a quanto ho scritto in questa recensione. Personalmente, l’ho letto con grande gusto e interesse in pochissimi giorni, avvinto anche da uno stile semplice ma denso di informazioni.

Gli altri saggi di cui ho parlato!
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