“Il regno delle Due Sicilie e le Potenze europee 1830-1861” – di Eugenio Di Rienzo

Il Regno delle due Sicilie terminò la sua esistenza a seguito di un processo di decomposizione interna accelerato dal moto risorgimentale che portò all’unificazione del nostro paese? Oppure a provocare il crollo del regime borbonico fu decisiva la pressione delle grandi «Potenze marittime» (Francia e Inghilterra) che, dalla metà del XIX secolo, tentarono di trasformare il Mezzogiorno in una colonia economica e in un avamposto strategico funzionale alla loro strategia mediterranea? Il volume di Eugenio Di Rienzo risponde a questi interrogativi, alla luce di una documentazione inedita, proveniente dagli archivi diplomatici francesi, inglesi, austriaci, russi, spagnoli, analizzando la lunga agonia del Regno di Napoli in una durata che va dal conflitto commerciale ingaggiato con la Gran Bretagna nel 1840, ai riflessi internazionali della rivoluzione del 1848, alla Guerra di Crimea, alla distruzione del vecchio equilibrio europeo successiva alla presa di potere di Napoleone III. Senza nessuna nostalgia neoborbonica ma con una grande attenzione ai problemi della storia presente, questo saggio suggerisce inoltre che la stessa debolezza geopolitica, che determinò il crollo del «Piccolo Stato» napoletano, avrebbe condizionato, fino ai nostri giorni, il destino della «Media Potenza» italiana nel segno di un passato destinato a non passare.

Editore: Rubbettino.
Pagine: 229.
Formato: Cartaceo.
Uscita: 5 ottobre 2011.


“Poiché Voi siete il più forte e dunque per Voi il delitto diviene diritto.”

Michele di Sangro, principe di Sansevero in “L’italianismo di Lord Palmerston“, 1863.

Ad ormai oltre un secolo e mezzo di distanza dal Risorgimento, ritengo sia finalmente possibile analizzare quel periodo scevri da condizionamenti ideologici di ogni tono. Se è vero che per lungo tempo la storia risorgimentale e i suoi protagonisti hanno goduto di agiografie (chi vi scrive lo sa bene, essendo cresciuto in una cittadina di forte memoria garibaldina, all’ombra di un’ara-ossario dedicati ai martiri in camicia rossa) più che di biografie, è altrettanto vero che da qualche tempo a questa si è diffusa invece una tendenza di segno totalmente opposto i cui toni esageratamente polemici, secondo il sottoscritto, allontanano più persone di quante ne avvicinino; ed è un peccato.

Il titolo del libro pone due date: 1830 e 1861, che però sono ingannevoli. L’analisi dell’autore, condotta in modo rigoroso con uso attento delle numerose fonti primarie (rapporti e lettere dei protagonisti, memoriali e documenti ufficiali) e secondarie è ben più estesa. Il suo importante punto d’inizio è posto, addirittura, in epoca pre-rivoluzionaria: nel 1782, uno dei più grandi intellettuali del regno, l’abate ed economista Ferdinando Galiani, redige l’opera De’ doveri de’ principi neutrali verso i principi guerreggianti e di questi verso i neutrali che, come indica il titolo, è un elogio della neutralità degli stati e, quindi, del valore della pace.

Neutralità, tuttavia, non significa passività. Il regno di Napoli e quello di Sicilia (ancora divisi sia formalmente sia nelle istituzioni, uniti soltanto dall’avere lo stesso sovrano; l’unione avverrà nel 1816 con la creazione del Regno delle Due Sicilie) perseguì sempre, anche a costo di iniziateva rischiose (la marcia su Roma del 1798, l’entrata nella Terza coalizione antinapoleonica del 1805) il ritorno ad un equilibrio tra gli stati italiani, equilibrio travolto dalle armate rivoluzionarie francesi. Grande propugnatore di tale politica fu Ferdinando II (1830-1859), vero protagonista della prima parte del libro.

Il merito dell’autore è inquadrare la politica estera del regno di Napoli nel più vasto panorama europeo. La Restaurazione, sancita dal congresso di Vienna, aveva come scopo primario quello di “incatenare” la Francia e le sue pulsioni rivoluzionarie. Per questo nacque la Santa Alleanza (Austria, Prussia e Russia) da cui l’Inghilterra, dedita all’espansione del suo impero mondiale, rimase esclusa. Tale equilibrio precario venne rotto dalla nascita della monarchia orleanista dopo la rivoluzione di Luglio (1830) e l’ascesa di Luigi Filippo come re dei Francesi. Il quadro si complicò quando nuovi sconvolgimenti portarono alla nascita della Seconda Repubblica (1848-1852) e del Secondo Impero napoleonico (1852-1870), all’interno dei quali si completa la parabola discendente della monarchia borbonica, che fu in sostanza “vittima sacrificale” dei variegati interessi britannici, il cui scopo era quello di mantenere un bilanciamento dei poteri a livello europeo e, soprattutto, intatta la propria posizione di predominio nel Mediterraneo.

Ferdinando II nel 1859.

Ferdinando II, si diceva. Il futuro Re Bomba ascende al trono negli stessi anni di Luigi Filippo in Francia. Ferdinando perseguì una politica ambiziosa, che io chiamo di “neutralità assoluta”, volta a sganciare il regno da ogni influenza esterna, fosse essa inglese (gli Inglesi avevano aiutato la monarchia borbonica durante l’esilio siciliano del 1806-1815) o austriaca (l’Austria aveva represso moti rivoluzionari nel 1821 e nel 1827). Ferdinando tentò quindi un avvicinamento alla Francia e, al contempo, un allontanamento dalla Gran Bretagna. Da ciò derivò la famosa Sulphur War, cioè la “guerra commerciale” legata al possesso delle preziose solfatare siciliane, allora le più grandi al mondo, e che vide il più piccolo regno delle Due Sicilie tenere testa, diplomaticamente, al grande impero britannico, al punto di arrivare alla cattura di legni inglesi, all’interruzione dei commerci.

Tale prima ostilità, parzialmente “vinta” da Ferdinando, non fece altro che preannunciare le ostilità ancora maggiori che videro protagoniste le Due Sicilie durante la guerra di Crimea. Tale conflitto ebbe portata storica perché vide l’isolamente della Russia, accusata di espansionismo nel Mar Nero ai danni del “malato d’Europa”, cioè l’impero Ottomano, e la definitiva rottura della Santa Alleanza.

In questo quadro, in cui quasi ogni nazione europea si schierò nella coalizione anglo-francese, Ferdinando II si fece promotore, invece, di una netta politica filo-russa: egli proclamò l’embargo su numerosi merci che sarebbero state logisticamente utili per le forze alleate; proibì l’arruolamento di volontari del proprio Regno e violò l’embargo posto sulla Russia.

Herny Jonh Temple, 3° visconte di Palmerston, primo ministro nel periodo 1855-1858 e poi ancora 1859-1865, acerrimo nemico di Ferdinando II e del regno delle Due Sicilie.

Come ben sappiamo, in quegli stessi giorni, Camillo Benso conte di Cavour, primo ministro del regno di Sardegna, perseguiva invece una politica estera che, più che definirsi anti-russa, si poteva definire filo-francese e filo-inglese, arrivando all’invio di una famoso corpo di spedizione sardo in Crimea.

Non si può quindi nascondere l’errore di Ferdinando II: se egli fu nel giusto nell’aiutare la Russia in un’ottica di bilanciamento in funzione anti-inglese nel Mediterraneo, egli fu miope nell’inimicarsi vicini assai potenti (Francia e Inghilterra) per un amico lontano (la Russia). Pochi anni dopo, quando il figlio Francesco II, assediato a Gaeta, avrebbe invocato l’aiuto di ogni corte europea contro l’assedio piemontese, lo zar Alessandro II avrebbe addotto, in una lettera, la “distanza geografica” come impedimento per ogni aiuto.

La Guerra di Crimea e le sue conseguenze sono il vero spartiacque per le sorti degli stati della Penisola. Da quel momento, le Due Sicilie vissero un isolamento diplomatico, ma finché l’energico Ferdinando II fu in vita, la monarchia resse saldamente…

Il regno delle Due Sicilie dopo l’unificazione, nel 1816, del regno di Napoli e di quello di Sicilia.

Riepilogare gli avvenimenti fino al 1870, come fa l’autore (toccando anche con dovizia di dettagli i fatali accadimenti del 1860-1861), allungherebbe a dismisura questa recensione. È sufficiente dire le seguenti cose: Di Rienzo approfondisce in modo dettagliato il dibattito interno alla Gran Bretagna sulla situazione italiana; non esita ad assumere alcune posizioni che potrebbero essere percepite come “neo-borboniche”, ma che sono sempre ben documentate e che affondano nella situazione reale dell’epoca. Ciò detto, non mi resta che consigliarvi di leggere il libro, con un ultimo avvertimento: non è un’opera di facile lettura, nonostante l’innocuo aspetto di “libriccino”, perché pressupone una conoscenza più che buona della storia risorgimentale, sicuramente più di quanto venga fornita dagli asfittici programmi scolastici odierni.


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