Cari lettori e care lettrici, eccoci con un altro appuntamento sulla Storia dietro la storia del mio nuovo romanzo Il crepuscolo di Commodo – Il romanzo degli ultimi pretoriani. Nei prossimi giorni seguiranno altri approfondimenti sulla storia di Roma nel II secolo d.C.

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Roma, 192 d.C. Il giovane Gaio Marzio Modesto, figlio di un valoroso veterano che al tempo di Marco Aurelio ha combattuto nelle guerre marcomanne al servizio di Pertinace, si arruola nella guardia pretoriana, dove già milita il tribuno Fausto, amico e commilitone del padre.
Gaio presta così, con entusiasmo ed ingenuità, giuramento all’imperatore Commodo.
Ma Roma è immersa in un periodo turbolento. I pretoriani, dimentichi di ogni disciplina, non più tenuti a freno dalla severità dei capi, spadroneggiano sulla popolazione inerme. Il figlio di Marco Aurelio ha rinnegato il proprio nome e assunto le sembianze del semidio Ercole, le cui imprese cerca di emulare scendendo nell’arena come cacciatore e gladiatore.
Commodo, oramai schiavo dei vizi e circondatosi di essere dissoluti, lascia le redini del governo alla sua concubina, la sensibile e filo-cristiana Marcia, al prefetto del pretorio Leto e al cubicolario Ecletto. Quest’ultimi, spaventati dalla folle imprevedibilità dell’imperatore, decidono di cercare un candidato all’impero…
In un precedente articolo abbiamo ripercorso le principali tappe “politiche” del regno di Commodo. Oggi, invece, ci occupiamo degli aspetti più “spettacolare” del principato del giovane figlio di Marco Aurelio.
Commodo, la statua
“Egli, dopo aver tagliato la testa del Colosso e dopo averla sostituita con la sua, aggiungendovi anche una clava e un leone di bronzo posto ai piedi per farlo somigliare ad Ercole, in aggiunta ai titoli sopra indicati vi iscrisse anche queste parole: «Primo tra i secutores, da solo, con la mano sinistra, ha sconfitto dodicimila uomini».”
Cassio Dione, Storia Romana, libro 72.
Il medaglione nella prima immagine venne coniato esattamente tra il 10 e il 31 dicembre dell’anno 192; la datazione è certa grazie all’attributo della XVIII potestà tribunizia. Sul fronte abbiamo l’imperatore raffigurato con gli attributi di Ercole, fra cui la pelle di leone. La barba, ormai, non è più quella lunga e filosofica del padre Marco Aurelio ma quella corta e ispida dei gladiatori. Ancor più interessante il retro del medaglione: vi è raffigurato il famoso Colosso, la gigantesca statua posta di fronte all’Anfiteatro Flavio (di cui, come sappiamo, modificò poi il nome).
Nella sua megalomania, Commodo aveva fatto cambiare la testa con la propria e vi aveva aggiunto un bastone e un leone scuoiato, chiaro riferimento al mito di Ercole. L’irriverente iscrizione posta alla base dovette scioccare ma non stupire più il popolo e il Senato, che meno di un mese prima aveva visto l’augusto (ormai “Ercole Romano”), esibirsi nell’arena.

Commodo, il gladiatore
La follia che colse l’autoproclamatosi (fate un bel respiro) “Imperatore Cesare Augusto Pio Felice Invitto Exsuperatorio Lucio Elio Aurelio Commodo Sarmatico Antonino Germanico Massimo Britannico Amazzonio Pacificatore del mondo e Nostro Signore” (questa è la titolatura finale di Commodo, ma sicuramente avrò dimenticato qualcosa) nell’ultimo anno della sua vita è il classico caso in cui la realtà storica supera nettamente la fantasia di una pur bella e avvincente opera di finzione quale quella del film Il gladiatore.
Commodo, ci raccontano le scandalizzate e indignate fonti antichi, fu il primo imperatore di Roma a scendere nell’arena, combattere con i gladiatori. Cosa ancora peggiore è che tutto ciò avveniva in pubblico.

Compiute queste uccisioni, si ritirava e in seguito, dopo pranzo, combatteva come gladiatore. Si esibiva servendosi dell’armamento del cosiddetto secutor, con uno scudo nella destra e una spada di legno nella sinistra, e per questo motivo principalmente andava gloriandosi di essere mancino.
Cassio Dione, Storia Romana, libro 73, 19
Con lui combatteva qualche atleta o un gladiatore armato di ferula, che talora convocava personalmente e talora invece sceglieva il popolo; si atteneva infatti a tutte le regole cui erano sottoposti gli altri gladiatori, con la sola differenza che mentre questi scendevano nell’arena per una piccola somma di denaro, Commodo riceveva ogni giorno un milione di sesterzi dal fondo dei gladiatori.
Mentre lottava lo assistevano il prefetto Emilio Leto e il cubiculario Ecletto: dopo aver combattuto quel finto combattimento e, naturalmente, dopo aver vinto, li baciava bardato così com’era attraverso l’elmo. Dopo di ciò prendevano a combattere gli altri gladiatori. Il primo giorno li fece combattere tutti insieme giù nell’arena, mentre egli indossò l’abito intero di Mercurio con la verga dorata e andò a sedersi su un trono d’oro, cosa che noi guardammo considerandola una sorta di prodigio. Poi tornò al seggio sul quale era solito sedersi, da dove assistette al resto dello spettacolo insieme a noi, sebbene nulla si facesse che avesse l’aspetto di un gioco: anzi, tutto era così serio che furono in molti a morire. Una volta, addirittura, poiché alcuni esitavano a dare la morte ai loro avversari, li fece legare insieme a questi e ordinò che combattessero tutti insieme. Perciò combatterono l’uno contro l ‘altro così legati, ed alcuni uccisero persino quelli che non stavano combattendo contro di loro, accalcati com’erano a causa dell’affollamento e dell’angustia del luogo.
Commodo, dunque, non combatté mai nell’arena con armi affilate, né in condizioni di parità con i suoi avversari. Se difettò forse di coraggio, indubbie erano le sue doti atletiche e di destrezza, cui sembra dedicasse buona parte delle proprie giornate.
Commodo, il cacciatore
La vera passione di Commodo fu la caccia. I resoconti storici più coloriti e vividi appartengono proprio a questo genere di spettacoli, in cui l’imperatore dava di sfoggiò di destrezza ed abilità senza pari.

Le venationes erano lo spettacolo d’apertura di una tipica giornata di giochi circensi. Vedevano impegnatori i venatores del Ludus Matutinus, che includevano anche una parte non cruenta di volteggi sugli animali. Il procacciamento degli animali esotici creò un vero e proprio mercato, che si spinse in ogni angolo d’Africa alla ricerca di fiere.
Torniamo a Commodo e lasciamo la parola a Cassio Dione:
Durante la prima giornata di giochi uccise da solo cento orsi colpendoli dall’alto, con le frecce, girando intorno alla banchina: l’anfiteatro, infatti, era stato interamente diviso da due strutture murare con un tetto attorno al quale si poteva girare e che s’intersecavano a vicenda, in modo tale che le bestie, distribuite in quattro sezioni, potessero essere colpite più facilmente a breve raggio da qualsiasi punto. Preso da stanchezza a metà combattimento e ricevuta da una donna del dolce vino refrigerato in una coppa forgiata a forma di clava, lo trangugiò in un sorso; a quel gesto il popolo e noi tutti prorompemmo in quell’augurio in uso nei conviti: “Lunga vita a te!”
Questo, dunque, fu quanto avvenne durante il primo giorno. Nel corso delle altre giornate, sceso nell’arena dai luoghi più elevati, abbatté tutti gli animali da bestiame che gli si avvicinavano ed anche quelli che gli venivano condotti o portati nelle reti; uccise, inoltre, una tigre, un ippopotamo e un elefante.
La nostra sensibilità moderna non può non rimanere colpita dalla crudeltà insita in questi spettacoli, dove una folla terrorizzata di senatori era costretta ad assistere agli exploit dell’imperatore che, dopo aver tirato una testa ad uno struzzo, non esitava a minacciare gli stessi padri coscritti che avrebbero presto fatto quella fine.
Commodo, l’auriga
Quasi per nulla ricordata, invece, è la sua dispendiosa passione per le corse, anche se le fonti sono chiare in proposito:
Questo Aureo, questo Ercole, questo dio, un pomeriggio, giunto con improvvisa sollecitudine a Roma dalla sua villa suburbana, fece svolgere trenta corse di cavalli nell’arco di due ore. Questa fu una delle cause principali per cui era a corto di denaro. Era infatti anche liberale, e spesso distribul al popolo centoquaranta denari a testa, sebbene spendesse la maggior parte del denaro per gli spettacoli di cui ho parlato.
Questa sua passione lo portò ad organizzare un numero spropositato di giochi, in cui spese cifre favolose. Le fonti ci raccontano molti aneddoti, come la sua ritrosia a mostrarsi in pubblico alla guida di un carro tanto che, si diceva, guidasse soltanto di notte per le strade.
Non guidò mai i cocchi in pubblico, tranne qualche volta, durante una notte di novilunio, poiché, sebbene desiderasse farlo pubblicamente, si vergognava di farsi vedere in azione; nelle sue proprietà, invece, Io faceva assiduamente indossando la divisa verde.
Anche l’Historia Augusta, ci dice qualcosa (Vita di Commodo, 8):
Volle anche guidare le quadrighe nel circo, ed era solito dare il segnale all’inizio dei giochi, vestito di tunica dalmatica.

La reazione del popolo e del senato
Abbiamo esaminato le azioni di Commodo. Cosa possiamo dire dell’effetto che tutto ciò ebbe sui senatori e sul popolo? Il popolo, al contrario di quanto si possa credere, non ebbe sempre un buon rapporto con Commodo, in particolare nell’ultimo anno, soprattutto per le varie disgrazie che colpirono la città (una carestia e un grande incendio). Dione ci racconta anche del terrore della folla che, di fronte ai comportamenti degli imperatori, aveva paura di essere colpita all’improvviso.
Possiamo indubbiamente affermare che la dissacrazione della figura imperiale fu lesiva della dignità della carica stessa e che questo fu percepito in modo unanime dal popolo e dal senato. Probabilmente, il comportamento “folle” dell’imperatore preoccupò moltissimo gli ambienti della corte (il prefetto del pretorio Leto, il cubicolario Ecletto, la concubina Marcia) che, sentendosi giustamente in pericolo, organizzarono il complotto che portò all’assassinio di Commodo.
Per concludere, tutto ciò che ho raccontato nel romanzo è descritto dalle fonti storiche: la caccia agli struzzi, l’uccisione dei leoni, lo spettacolare salvataggio di un inserviente, il “bacio” attraverso l’elmo, la minaccia ai senatori, le acclamazioni addomestica della folla… non ho avuto bisogno di inventarmi nulla!

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L’ha ripubblicato su The sense.
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