[RECENSIONE] “Le rune di Leif” di Carlo Cavazzuti

Leif Gnupasson sogna di combattere a fianco dei suoi fratelli vichinghi, ma un giorno, durante una partita di hok, un corvo – che solo lui può vedere – sconvolge completamente le aspettative sul suo fato. Questa è solo la prima di cinque visioni che sconvolgeranno, negli anni, la sua vita. Assieme a Pora, sua cugina, si reca dalla volva Gilla, a chiedere numi sulla sua visione. Con ella scoprirà di essere in un rapporto privilegiato con gli Aesir. Essi hanno altri piani per lui, in particolare, il Viandante, Ódinn. Sono tante le vite che Leif vive e quelle che gli Dei scrivono sulla sua strada. Viaggi di potere, di misticismo e di legami di sangue – e non – che lo faranno attraccare a terre sconosciute e gli faranno conoscere culture, tradizioni e lingue diverse, che partono da Leksivfalla, suo paese natale in Norvegia, per giungere infine a Costantinopoli.

Pagine: 310
Formato: Cartaceo
Illustratori: Barbara Astegiano (copertina) e Federico Bertoni (illustrazioni interne)
Editore: Sága
Anno: 2021


Uno dei meriti più grandi della narrativa storica è quello di permettere l’immersione del lettore in mondi che, rispetto alla nostra quotidianità, sono “differenti” per cultura, società, concezioni e tantissimi altri aspetti. Personalmente, ancor prima di una trama appassionante e di uno stile accattivante, questo è proprio uno dei parametri con cui di solito giudico il romanzo che ho tra le mani.

Nell’opera che recensiamo oggi, le Rune di Leif di Carlo Cavazzuti, l’autore riesce a fondere trama, stile e ambientazione in modo molto interessante. Tutti abbiamo sentito parlare delle “saghe” norrene, cioè un insieme di “storie”, pensate per la pronuncia orale o cantata, che raccontano le vicende di eroi, re, divinità, a volte soprannaturali e a volte no.

Questa è l’impostazione de Le rune di Leif. L’autore restituisce tale aspetto in modo all’apparenza tradizionale, inserendo il romanzo all’interno di una “cornice”: il racconto del protagonista, ormai anziani, alla piccola nipote. Ciò che eleva questa tecnica è lo scopo per cui essa viene usata. Così come le più antiche saghe vennero trascritte, dopo lunga trasmissione orale, soltanto dopo la cristianizzazione di questi popoli (con meccanismo simile a quanto accaduto presso i Celti), allo scopo di non dimenticare, lo stesso fa il protagonista che, al termine di una lunga vita, si trova a Costantinopoli, in una civiltà decisamente diversa dalla propria: “cantare” le proprie avventure in modo che non vengano dimenticate.

Il romanzo, difatti, è ambientanto nell’XI secolo, dopo l’anno mille, quando il “mondo vichingo” era agli sgoccioli.

Nelle sue avventure, seguito dai membri della sua fèlag, Leif visita molti dei paesi di questa mappa.

Nello svolgimento della trama, serrata e caratterizzata da numerosi sconvolgimenti, il romanzo restituisce appieno il fatalismo, spesso cupo, delle genti nordiche di quel periodo. Il protagonista è infatti segnato da un destino che, sembra, gli sia stato riservato alla nascita dagli dèi e che lo perseguita attraverso delle visioni che influenzano in modo decisivo la sua vita. La trama, quindi, è decisamente avventurosa. Leif viaggia in lungo e in largo per la Scandinavia, le isole Britanniche e anche oltre, guidato dal desiderio di divenire un vero e proprio “vichingo” che, ricordiamo, voleva dire specificatamente “guerriero” e “razziatore”. Invece, è destinato a divenireu un gothi, cioè un sacerdote e intermediario con gli dèi.

L’autore ricostruisce con dovizia di particolari molti aspetti della vita di quel tempo. In particolare, grande cura è stata posta nella resa del futhark, ovvero l’alfabeto runico, sia come carattere grafico sulla pagina scritta, sia nella loro più profonda valenza di linguaggio “magico”, usato a scopi religiosi, propiziatori e apotropaici. Ho particolarmente apprezzato la presenza, nel romanzo, di vere e proprie “divinazioni” effettuate attraverso le rune, con tanto di spiegazione del loro significato.

Le 24 rune del futhark antico.

Lo stile del romanzo è saldamente ancora alla prima persona, tranne i pochi intermezzi “cornice” ambientati a Costantinopoli. Questo permette all’autore, quando serve, di riassumere vicende che si sviluppano nel corso di molti anni. Particolarmente evocativi i racconti delle visioni che scandiscono la vita del nostro Leif:

Ero nel bel mezzo dell’aspersione di una trave di porta quando mi sentii mancare le gambe e la vista tremolò come il mare sotto una brezza. Sbattei gli occhi più volte reggendomi allo stipite e scossi la testa per far passare quel momento di smarrimento forse dovuto ai fumi sacri con cui purificavamo le abitazioni.

Quando mi destai da quel mancamento non ero più a Upsala bensì davanti alla porta della mia vecchia casa a Leksivfalla. Sembrava un poco più vecchia di come la ricordassi, più logora e con i ferri di rinforzo un poco ossidati. Sentii una mano calda e forte stringermi la spalla destra e così mi girai. «Bentornato, Ari. È molto che non ci vediamo, ti ricordo alto come la tua bambina adesso.»

Così come i manoscritti delle antiche saghe, anche questo romanzo è arricchito dalle illustrazioni, realizzate con perizia e stile grafico particolarmente azzeccato da Federico Bertoni.

In definitiva, un romanzo che mi sento di consigliare a tutti gli appassionati del genere storico, in particolare a chi ha apprezzi il lato “rievocativo” della narrativa.


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