Chi sono i Longobardi? Certamente un’alternativa al potere dei papi e dei re franchi. Ma sono stati sconfitti e su di loro è calato l’oblio dei vincitori.
La conquista franca, la creazione del primo impero medievale e gli inizi della dominazione territoriale da parte della Chiesa di Roma: questi tre avvenimenti, difficilmente prevedibili anche solo pochi decenni prima, cambiano profondamente la storia d’Italia alla fine dell’VIII secolo. Fra i protagonisti, gli sconfitti sono i Longobardi che con la loro lunga storia cadono nell’oblio. Stefano Gasparri recupera la loro memoria, presenta la società longobarda in tutta la sua complessità, senza trascurare i contatti e i rapporti – tutt’altro che eternamente conflittuali – avuti con la stessa Chiesa romana.
Un racconto affascinante che restituisce la complessità di quell’epoca e aiuta a liberarsi dai pregiudizi negativi nei confronti dei Longobardi.
Alla metà dell’VIII secolo d.C. l’Italia sembrava avviata sulla strada dell’unità sotto il dominio dei Longobardi. Il dominio bizantino su alcune zone del centro-sud (l’Esarcato, il Ducato romano, la Calabria, la Puglia) e delle isole aveva subito un durissimo colpo con la crisi iconoclasta. Contemporaneamente a questo, i Longobardi espressero con Liutprando ( che fu re dal 712 al 744) una guida forte, sicura e portatrice di un chiaro progetto politico.
Ma questo fatto [la crisi bizantina], invece di provocare il passaggio dell’intera Italia nelle mani dei re longobardi – un evento che, passo dopo passo, si faceva da tempo prevedere –, ebbe come conseguenze, negli ultimi trent’anni del secolo VIII, la conquista franca dell’Italia, la creazione del primo impero medievale e l’impianto di una dominazione territoriale da parte della Chiesa di Roma: tre fatti che, soprattutto gli ultimi due, erano ben difficilmente prevedibili anche solo pochi decenni prima.
Gli eventi dell’VIII secolo costituiscono dunque un punto di svolta per la storia d’Italia. La possibilità che i grandi sovrani longobardi del periodo (Liutprando, Astolfo, Desiderio) unissero la penisola, facendole riguadagnare l’unità e l’indipendenza svanite con la fine del regno ostrogoto due secoli, era concreta. Non fu così. L’Italia si sarebbe poi unita soltanto nel 1861, cioè undici secoli dopo!
Italia Longobarda. Il regno, i Franchi, il papato di Stefano Gasparri costituisce anzitutto un’opera di storia politica, in cui si indaga come la “propaganda” (termine moderno ma che è l’autore stesso ad usare) franco-papale deformò l’immagine dei Longobardi. L’unica autorevole voce di parte longobarda, ovvero quella di Paolo Diacono, autore della Historia Langobardorum, si è volontariamente fermata nella narrazione al 744, anno della morte di Liutprando. Ciò significa che la storia di quei decisivi anni ci è giunta solo dai vincitori del regno longobardo, in particolare dal Liber pontificalis e dagli Annales Regni Francorum.

Il libro tratta anche un secondo importantissimo aspetto:
L’altro oggetto del libro è il regno longobardo nel suo momento di maturità, che coincide appunto con i primi settant’anni dell’VIII secolo. Su questo regno, o più in generale su quest’epoca, ha gravato a lungo il peso della propaganda dei suoi antichi avversari vittoriosi, con il risultato che le sue caratteristiche e il ruolo che ha giocato
nella storia italiana sono pochissimo noti. Cercheremo quindi di recuperare la memoria del regno longobardo e di presentare le caratteristiche della società che esso inquadrava, senza trascurare neppure i contatti e i rapporti che ebbe – e che furono tutt’altro che eternamente conflittuali – con la stessa Chiesa romana.
Longobardi e Romani, un unico popolo
Uno dei primi argomenti che l’autore tratta è la fusione tra i dominatori Longobardi e i sottomessi Romani. Per lungo tempo ha prevalso l’idea che tale fusione non sia mai avvenuta e che i due popoli (gli invasori giunti in Italia con Alboino nel 568 e gli abitanti autoctoni della penisola in quella stessa data) abbiano mantenuto leggi, identità e mentalità separate. In particola fu Manzoni, con la famosa tragedia Adelchi del 1821 e un’operetta collegata (il Discorso sopra alcuni punti della storia Longobardica in Italia, viziato dalla visione neoguelfa dell’autore) a diffondere tale visione.

Gasparri ci spiega come tale idea sia ormai superata. Per brevità d’articolo non posso fare un riassunto di tutti gli argomenti che l’autore porta, pertanto mi limito a due che mi hanno particolarmente colpito.
- Analizzando le carte di un’inchiesta regia ordinata da Liutprando su una disputa di confine tra le città di Arezzo e Siena, l’autore fa notare come i testimoni non siano divisi per età, ricchezza o etnia ma semplicemente secondo la condizione di laici o ecclesiastici. Nomi romani e nomi longobardi si alternano senza continuità tra i membri dei due gruppi.
- Le leggi sul reclutamento di re Astolfo (749-756) dividono l’esercito soltanto su base censitaria e non su base etnica. Il famoso termine arimanno, che indica il maschio adulto in grado di portare le armi, non aveva una valenza etnica ma semplicemente legale ed economica, come dimostra l’equivalenza tra i termini arimanno-exercitalis e la presenza dei negotiantes (artigiani e mercanti di città) fra gli uomini atti alle armi.
Le leggi di Astolfo del 750, dal canto loro, dimostrano che la mobilitazione dell’esercito avveniva sulla base della ricchezza, non di una presunta differenza etnica. In conclusione, possiamo affermare che gli abitanti liberi del regno erano longobardi in quanto vivevano secondo la legge longobarda e che, se erano di condizione economica sufficiente, partecipavano all’esercito ed erano dunque anche arimanni.
Dunque, alla metà dell’VIII secolo la fusione tra Longobardi e Romani era avvenuta. In questo processo, durato circa un secolo dopo la discesa del 568 d.C., giocò un ruolo decisivo la conversione al cattolicesimo degli originariamente ariani (a volte ancora pagani) longobardi.

Il papato e i Franchi: la fine del regno
Nella prima metà dell’VIII secolo l’arretramento bizantino dovuto alla crisi iconoclasta portò ad una situazione nuova e difficile per i papi dell’epoca (fra cui ricordiamo Gregorio II, Gregorio III, Zaccaria e Stefano II): l’assenza di un potere politico e militare che controbilanciasse il dominio longobardo.
L’autore esamina con attenzione la politica religiosa di Liutprando che, nel corso del suo lungo regno, oscilla continuamente dalla amicizia alla guerra aperta con il papa; per la prima volta dopo molto tempo, infatti, il sovrano longobardo del nord cerca di instaurare un controllo forte sui ducati del sud, cioè Spoleto e Benevento, che da sempre avevano goduto di una larga autonomia all’interno del regno. E’ proprio in questa quadro di conflittualità tra i diversi potentati longobardi, con i residui bizantini e il papa coinvolti nei diversi schieramenti, che si inserisce il famoso episodio della Donazione di Sutri (728), che ancora oggi figura nella storiografia tradizionale come atto fondativo dello Stato della Chiesa. Non di questo avviso è l’autore:
L’episodio è famoso perché la donazione di Sutri, che avvenne nel 728, secondo la dottrina ottocentesca (che dilatava un episodio abbastanza insignificante) sarebbe stata la prima pietra sulla quale si sarebbe costruito il futuro Stato pontificio. Paolo [Diacono] scrive semplicemente, e in modo generico, che Sutri fu resa dal re ai Romani, anche se in questo caso sappiamo trattarsi di un castello di proprietà
della Chiesa di Roma.
Infatti il biografo [del Liber Pontificalis], dopo averci informato che il re tenne il castello per centoquaranta giorni (e qui l’accordo con Paolo non c’è), ci descrive le insistenze del papa per riavere ciò che gli apparteneva: «mandate al re continue lettere e ammonizioni del pontefice, aggiunti anche molti doni, quasi denudandosi delle sue ricchezze, il predetto re dei Longobardi, facendo una donazione ai beatissimi apostoli Pietro e Paolo, restituì e donò [Sutri]». Quindi Sutri fu restituita al papa, non si trattò della donazione di un nuovo possesso né tanto meno di una donazione ai Romani.
Dopo l’epoca di Liutprando i tormenti non cessano. Nel 751 re Astolfo conquista l’Esarcato di Ravenna. Per la prima volta l’intero centro-nord e una parte importante del sud, esclusa Roma (il cui circondario è comunque in mano longobarda), è unito sotto un singolo potere.

Qui si inseriscono i Franchi. L’avvicinamento del papato al regno franco, in particolare alla forte dinastia dei “maestri di palazzo”, cioè i Carolingi, per quanto “scritto nelle stelle”, fu lento e per nulla lineare. Carlo Martello ad esempio, attorno al 730, aveva decisamente rifiutato l’appello del papa di intervenire nella penisola. In questo processo, durato qualche decennio, il papato seppe imporre un’idea fondamentale e gravida di conseguenze per la storia d’Italia e d’Europa: cioè che le terre dei Romani in Italia (dove per terre dei Romani si intendono i domini lasciati dai bizantini) fossero sotto la giurisdizione politica e amministrativa diretta del vescovo di Roma. E’ qui che nasce l’idea di uno Stato della Chiesa.
Conclusione
Nel presente articolo ho approfondito soltanto alcune delle tematiche che compaiono nel libro. L’autore offre anche stralci dettagliati della società longobarda, della sua aristocrazia; profonde analisi filologiche delle fonti a disposizione; una dotta esposizione della politica matrimoniale di re Desiderio, che fu sul punto di separare definitivamente il papa dai Franchi. Anche il post-774 non viene ignorato e grande attenzione viene dedicata al primo periodo dell’occupazione franca e, soprattutto, alla struttura comitale (cioè basata sui funzionari detti “conti”) che Carlo Magno impose in alcune zone d’Italia. Il libro riesce appieno nell’obbiettivo di restituire dignità ed importanza ai Longobardi e, con grande sforzo, anche il loro punto di vista, per troppo tempo oscurato da quello dei vincitori.
Prima di avventurarsi nella lettura del libro è raccomandato avere una buona infarinatura di storia longobarda.
Per finire, un parere personale sui Longobardi e sulla loro dominazione d’Italia: fu senza dubbio una grande occasione di costruire un solido regno unitario e plasmare, in anticipo di molti secoli, una entità statale da cui costruire una nazione. Come sappiamo ciò non accadde e l’Italia ebbe un percorso atipico rispetto alle altre nazioni europee come Spagna, Francia e Inghilterra (la Germania ebbe un percorso altrettanto diverso). Senza dubbio una parte negativa in questo la ebbe il papa e la sua chiamata dei Franchi; tuttavia, non bisogna ingigantire l’effetto di tale alleanza né i meriti che i Longobardi avrebbero potuto avere.
Essi persero militarmente il confronto con i Franchi ben tre volte nel giro di vent’anni. La caduta del regno fu repentina e la dominazione successiva non ebbe troppi scossoni. Tale “facilità” si riflette negli annali franchi, in cui la guerra contro i Sassoni, quella sì lunga e travagliata, occupa molto più spazio.
Non si tratta di ‘riabilitare’ i Longobardi, perché la storia non è un tribunale
e lo storico, come ricordava Marc Bloch, non deve giudicare, deve piuttosto comprendere: e qui si vuole precisamente cercare di comprendere qual è stato il posto del periodo longobardo all’interno della storia d’Italia, consentendoci così di recuperare il nostro passato barbarico che condividiamo con il resto dell’Europa ex romana, ma che invece tendiamo a rimuovere (fino a qualche decennio fa anche materialmente, cancellando negli scavi archeologici gli strati altomedievali).
Bella recensione, libro interessante! Grazie!
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Grazie Elena!
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Pingback: [SAGGIO] Italia Longobarda – Stefano Gasparri — NARRARE DI STORIA – The sense
Un capito di storia poco trattato, ma interessantissimo e fondamentale per le nostre origini.
Bell’articolo 😊
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Grazie! Mi sto interessando alla storia longobarda e conto di approfondire ulteriormente questo capitolo a volte dimenticato della nostra storia.
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