Londra, 1837. Un uomo e un bambino s’incontrano lungo le strade affollate e fumose della città. Entrambi, per motivi diversi, sono stati costretti a lasciare l’Italia e i propri cari, entrambi hanno negli occhi la malinconia degli esuli e il coraggio dei sopravvissuti.
L’uomo è Giuseppe Mazzini.
Quell’incontro, nel giro di pochi anni, porterà alla nascita della scuola italiana gratuita di Hatton Garden che concretizza gli ideali più elevati del nostro Risorgimento.
Il filo della storia s’intreccia con le vite degli esuli italiani, con i loro ricordi e le loro speranze, tra delatori e nuovi amici, sostenitori e traditori, amori senza fine o senza inizio.
Sullo sfondo un’Inghilterra contraddittoria e un’Italia ancora informe, ma già molto simile alla nostra. Il romanzo nasce sia dalle suggestioni delle molte lettere di Mazzini, vivida testimonianza del suo sentire profondo e del suo spirito indomito, sia dallo studio dei suoi scritti che ne documentano l’eccezionale modernità di pensiero.
Lo ammetto. Se leggo romanzi storici lo faccio anche (ma non solo) per sfruttare il lavoro dello scrittore. Un romanzo storico, infatti, oltre ad offrire intrattenimento (come ogni altro romanzo), deve offrire anche una ricostruzione corretta e quanto più immersiva del periodo in cui è ambientato. In sostanza, lo scrittore di romanzi storici deve documentarsi parecchio e, inoltre, non deve fare l’errore di ricostruire in modo superficiale il suddetto periodo: ci vuole un attimo a far parlare e pensare un uomo vissuto secoli come fa come un uomo di oggi! La vera sfida è quella di far parlare, agire e pensare i nostri personaggi come uomini (e donne) dell’epoca che abbiamo scelto.
Questa introduzione mi è servita per mettere in luce il principale pregio de Il magnifico perdente: la ricostruzione storica. Il protagonista del romanzo è Giuseppe Mazzini negli anni 1830-1840, cioè il primo periodo del suo lungo esilio londinese. Siamo negli anni immediatamente successivi al fallimento dei primi moti della Giovine Italia. Mazzini non è più giovanissimo e deve affrontare il momento più difficile: mantenere la fede nei propri ideali anche di fronte alla prospettiva di un esilio lungo e difficile in una terra lontana e molto diversa dall’Italia, con la minaccia che la polizia austriaca possa lo stesso arrivare a lui. L’autrice quindi ricostruisce il mondo degli esiliati italiani a Londra, che si barcamenavano tra lavoretti, progetti, paure e anche cedimenti.

Non c’è soltanto questo. Mazzini, per quanto al nostro immaginario appaia “fossilizzato” come molte figure storiche nello stereotipo dell’eroe, è un uomo come tutti gli altri. Ecco quindi l’autrice svelarci il Mazzini intimo tramite la storia del “perduto amore” e quella di un “figlio segreto” (la prima documentata storicamente, la seconda ipotetica ma probabile). Tutti questi elementi concorrono alla definizione di un personaggio a tutto tondo, dotato di profondità psicologica perché il suo vissuto interiore si riflette nella sua vita esteriore. Se Mazzini si trova a soffrire materialmente e moralmente, lo fa per la fedeltà al suo ideale. Insomma, con il Mazzini de Il magnifico perdente si entra facilmente in empatia.
Un altro punto forte del romanzo è la descrizione della Londra della rivoluzione industriale. C’è una corrispondenza tra il nerofumo prodotto dalle fabbriche, che avvolge la città, le persone e gli oggetti, e il carattere repressivo della moralità vittoriana contrapposto alla situazione miserabile degli strati più bassi della popolazione. Gli inglesi hanno la libertà di parola, diversamente dagli italiani, ma questo non ha molto significato per le donne, costrette in casa. Ecco quindi emergere alcune figure femminili come quella di Jane, donna intelligente “costretta” nei limiti che le sono stati assegnati dalla società.

E’ proprio nei bassifondi di Londra che Mazzini viene a conoscenza di un vero e proprio “commercio di bambini” presi dall’Italia e portati a Londra per mendicare. Qui si incontra una delle poche figure non storiche del romanzo, cioè quella del piccolo Battista, che avrà un ruolo importante nella storia, sia esternamente in termini di trama sia interiormente nel suo rapporto con il nostro Mazzini. Ho apprezzato che questa trama sia inserita all’interno di una vicenda storica, che occupa ampio spazio nel libro, cioè la creazione della scuola italiana di Hatton Garden, che offriva un’istruzione gratuita ai molti italiani, bambini (e non), ridotti in povertà e in esilio.
Lo stile è molto curato e ricostruisce in alcuni punti, volutamente, la prosa ottocentesca. Se ciò sia un difetto perché preferite uno stile moderno e sintetico ciò sta a voi. In questo caso non lo è perché l’autrice ha fatto ciò che noi lettori non abbiamo tempo e/o conoscenze per fare: leggere l’epistolario di Mazzini e altri scritti dell’epoca per restituirci il suo modo di pensare. Ci sono anche, di tanto in tanto, chiari interventi del narratore onnisciente: personalmente non lo apprezzo, ma nell’ottica di “imitazione” della prosa dell’epoca è comprensibile.

Come detto, il libro giunge fino alla metà degli anni quaranta dell’800, cioè fino alla famosa vicenda dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera (non considererete questo uno spoiler, voglio sperare! che, nonostante fossero ufficiali della marina austriaca e figli di un importante ammiraglio, avevano aderito agli ideali mazziniani e avevano creato una propria società segreta. Quest’ultima parte, in cui le vicende dei due fratelli si inseriscono (possiamo pure dire che irrompono!) in quelle di Mazzini, mi ha convinto di meno proprio nella parte relativa ai due fratelli: ho trovato i loro capitoli un po’ didascalici, ciò dovuto forse alla necessità di raccontare molto in poco spazio. Comunque, il finale non è affatto sottotono, perché abbiamo pur sempre le vicende di Mazzini e del giovane Battista, che l’autrice inserisce abilmente nelle vicende più propriamente storiche… e qui ovviamente mi fermo.
In definitiva a chi consiglio il romanzo? Oltre che ai semplici appassionati del periodo risorgimentale, lo consiglio più in generale ai maniaci della Storia, cioè a chi ama perdersi nella “Storia per la Storia”.
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