Aggiornamento del 2021: l’articolo che stai per leggere risale al 2018. Da allora ho pubblicato tre romanzi storici di successo. Se vuoi un esempio pratico di gestione del punto di vista ti consiglio di consultare la pagina dei Miei Romanzi, dove ci sono le anteprime (il primo capitolo di ogni opera) scaricabili in formato Pdf.
Questo articolo sulla tecnica di scrittura è forse il più importante apparso finora. Le altre volte abbiamo parlato di argomenti che riguardavano singoli aspetti di un testo narrativo, come nel caso degli aggettivi. Oggi voglio invece iniziare a parlare del cosiddetto “punto di vista” o point of view in inglese. D’ora in avanti userò l’acronimo POV per brevità.
Il POV è il punto di vista dal quale l’autore sceglie di raccontare la vicenda. La scelta è fondamentale, va fatta subito, prima ancora di iniziare a scrivere, e determina in modo drastico la natura del testo che stiamo elaborando. Se gli errori di punteggiatura possono essere corretti anche in un secondo momento, ciò è davvero difficoltoso e lungo nel caso di una scelta di POV sbagliata.
Esistono quattro possibili POV. Ciascuno di essi corrisponde a modi differente di narrare.
- Narratore Onnisciente.
- Terza Persona Esterna.
- Terza Persona Interna.
- Prima Persona.
La distinzione tra il secondo e il terzo caso è molto sottile; a volte queste due forme sono indistinguibili, a volte son ben differenziate. Lo stesso vale per gli ultimi due. Ci torneremo.
Non darò delle definizioni. E’ un modo noioso di procedere. Invece, vi propongo un testo scritto prevalentemente nella prima forma, quella del POV onnisciente, e da questo ne arguiremo le caratteristiche, Poi “convertirò” il testo negli altri stili. Vedremo come la scelta di un POV differente alteri toni e contenuti della scena.
Ecco come Manzoni, ne I promessi sposi, descrive gli istanti che precedono il famoso incontro tra don Abbondio e i bravi. Ho scelto Manzoni perchè tutti, volenti o nolenti, lo abbiamo letto e perchè conosciamo il contesto dell’opera. Spiegherò subito dopo perchè ho sottolineato alcune parti e ne ho evidenziate altre.
Che i due descritti di sopra [i bravi] stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui. Perchè, al suo apparire, coloro s’eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt’e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s’era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l’altro s’era staccato dal muro; e tutt’e due gli s’avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a sè stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s’avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un’occhiata, al di sopra del muricciolo, ne’ campi: nessuno; un’altra più modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorchè i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perchè i momenti di quell’incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d’abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarità che potè, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi. “Signor curato,” disse un di que’ due, piantandogli gli occhi in faccia.
Le parti sottolineate sono quelle del Narratore Onnisciente. Le parti non evidenziate in alcun modo sono scritte in Terza Persona (a volte Esterna a volte Interna). Le parti in grassetto sono in Prima Persona. Il narratore è considerato nel suo complesso Narratore Onnisciente perchè ha la libertà di muoversi dove vuole. In questa scena Manzoni si limita a muoversi da dentro e fuori don Abbondio: avrebbe anche potuto entrare nella testa dei bravi e riportarci i loro pensieri.
Quali sono i privilegi del Narratore Onnisciente? Egli può dare il giudizio su una persona, una cosa, un avvenimento in modo diretto. Esempio se ne trova nell’ultima parte sottolineata: “perchè i momenti di quell’incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d’abbreviarli.” E’ uno dei vantaggi del Narratore Onnisciente: si può rivolgere direttamente a noi. Stessa cosa accade nella prima parte sottolineata, dove Manzoni ci dice: “ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui.” In questa frase c’è dentro un giudizio: don Abbondio non si preoccupa troppo della violenza che i bravi possono fare contro uno sconosciuto. Si preoccupa quando capisce d’essere lui l’atteso. L’effetto è acuito dal mostrare soltanto dopo gli “atti” da cui don Abbondio ha capito ciò. E’ il Narratore Onnisciente che prima ci mostra la reazione e dopo cosa l’ha provocata. Bisogna rendersi conto, insomma, che in questa scena compaiono non tre ma quattro personaggi: don Abbondio, i due bravi e Manzoni stesso!

Qual è il problema, allora, con questo tipo di narrazione? Perchè nel corso degli ultimi due secoli il Narratore Onnisciente è stato progressivamente abbandonato dai narratori? Perchè la sensazione di essere in un romanzo viene meno se l’autore, sotto forma di Narratore Onnisciente, interviene direttamente a raccontarci un fatto o darci un giudizio. L’immersione nel romanzo è minore. Perchè accade ciò? Molto semplice: la presenza esplicita del Narratore Onnisciente ci ricorda che quello che stiamo leggendo è solo un romanzo. Questo, secondo me, è il più grosso peccato che un autore contemporaneo possa commettere nei confronti del lettore.
Dunque, che fare? Riscriviamo il brano eliminando il Narratore Onnisciente.
I due bravi lo videro. Si guardarono l’un l’altro in viso e fecero un cenno come a dire: è lui. Don Abbondio capì che stavano aspettando proprio lui e si preoccupò. Quello che stava a cavalcioni s’era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l’altro s’era staccato dal muro; e tutt’e due gli s’avviavano incontro. Don Abbondio, tenendo sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spinse lo sguardo in su, per spiar le mosse dei due; fu assalito da mille pensieri quando se li vide venire incontro. Si domandò subito se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no. Si chiese se aveva peccato contro qualche potente, contro qualcuno di vendicativo. No, non aveva fatto nulla. Si rassicurò. I bravi però s’avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un’occhiata, al di sopra del muricciolo, nei campi: nessuno; un’altra più modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non poteva schivare il pericolo. Provava troppa pena ad aspettare. Pensò che era meglio sbrigarsi. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarità che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini pensò: ci siamo; e si fermò su due piedi. “Signor curato,” disse un di quei due, piantandogli gli occhi in faccia.
Ecco la Terza Persona Esterna. Manzoni prima ci diceva che “i momenti di quell’incertezza erano così penosi per lui, che non desiderava altro che d’abbreviarli”; adesso abbiamo un più diretto “provava troppa pena ad aspettare. Pensò che era meglio sbrigarsi.” Anche nelle prime righe il giudizio è stato sostituito da una constatazione più diretta: don Abbondio capisce che aspettano proprio lui e si preoccupa. Prima era Manzoni stesso a dirci questa caratteristica pavida del carattere del curato: ora è il curato stesso a mostrarcela attraverso i suoi pensieri. Noi lettori ci convinciamo da soli che don Abbondio è pavido.
Si può fare di più, cioè rendere questo convincimento ancora più profondo e incisivo per il lettore? Certamente. Nel prossimo articolo continueremo a modificare Manzoni, passando dalla Terza Persona Esterna a quella Interna e infine alla Prima persona.

Voglio ribadire perchè facciamo un simile sforzo. Il Narratore Onnisciente ha la libertà di dare giudizi e comunicarceli direttamente, con artifici retorici o altri trucchi. Essendo Manzoni il testo ci sembra buono già nella sua forma originale (esistono centinaia di autori del XIX secolo oggi illeggibili). Si può fare di meglio secondo me. Che vuol dire? Che uno scrittore moderno deve avere la capacità di far in modo che questi giudizi emergano da sé nella testa del lettore. E’ lo stesso discorso del produrre immagini cui ho accennato negli articoli precedenti. Questa è la mia definizione di “buona scrittura.”
Finisco con una nota personale. Da quando ho acquisito della dimestichezza con le principali tecniche di scrittura ho iniziato a leggere in modo critico i romanzi. Qualche volta mi sono divertito a riscrivere certi passaggi o incipit per vedere se era possibile ottenere un risultato migliore (almeno secondo me). Consiglio questo tipo di esercizio a tutti gli aspiranti scrittori.
A presto con il secondo articolo sul POV. Buona lettura e buoni esercizi di scrittura!
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Aggiornamento del 2021: l’articolo che hai appena letto risale al 2018. Da allora ho pubblicato tre romanzi storici di successo. Se vuoi un esempio pratico di gestione del punto di vista ti consiglio di consultare la pagina dei Miei Romanzi, dove ci sono le anteprime (il primo capitolo di ogni opera) scaricabili in formato Pdf.
Quante lezioni al liceo su Manzoni e sul narratore onnisciente!
Per la mia ancor minima esperienza nel campo della scrittura, ho appurato che non è gradito dalla case editrici un narratore onnisciente, non bisogna esprimere i propri pensieri opinioni, perché, come dicevi tu, è il lettore che deve trarre le sue conclusioni, giuste o sbagliate che siano per l’autore
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Esattamente! Con il narratore onnisciente il rischio di infastidire il lettore diventa molto alto. L’autore offre uno strumento al lettore, che poi si fa l’idea che vuole.
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Ottimo articolo, il problema del narratore onnisciente è che non genera empatia coi personaggi e non li fa sentire “vivi” come invece fa, ad esempio, la narrazione interna che è la mia preferita. Possiamo dire che la narrazione esterna ed onnisciente sia un po’ più facile sia da scrivere che da leggere, in quanto il lettore non deve fare nulla per “capire” il personaggio, le informazioni gli vengono semplicemente dette (come nel tuo esempio della pavidità di Don Abbondio) e che, anche per questo, nell’epoca moderna sia proprio come stile solo delle fiabe e dei libri per i più piccoli.
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Grazie! Concordo sulla “facilità” di scrivere/leggere il narratore onnisciente e la terza persona esterna, io stesso ho faticato parecchio nei miei tentativi di scrittura per abbandonarli. La narrativa, soprattutto quella di genere, non può prescindere da un narratore interno.
Nel prossimo articolo avremo la prima persona del nostro povero curato.
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