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TRAMA: Fine del I secolo dopo Cristo. L’imperatore Domiziano, che si fa chiamare con l’appellativo di “dominus et deus”, annuncia la sua visita in una città del nord Italia. Per festeggiare l’evento, ordina che siano preparati in suo onore dei giochi tra gladiatori. Il nobile Gaio Valerio, organizzatore dei giochi, deve soddisfare la volontà dell’imperatore di veder combattere una gladiatrice. La prescelta è Eilis, schiava di origini britanniche che nell’arena si è guadagnata il soprannome di Fenice. Le richieste imperiali però non si fermano qui…
Gladiatrici!
Ecco cosa ne scrive Giovenale nella sesta delle sue Satire:
Che pudore può mostrare una donna
con l’elmo in testa, che abdica al suo sesso?
L’attira la forza, eppure diventar uomo
non vorrebbe, sapendo quanto breve
è il piacere nel maschio.
Bell’onore se mettessero all’asta
gli arnesi di tua moglie:
cinturone, bracciali, elmo
e mezzo cosciale della gamba sinistra!
E che gioia se la tua sposa,
passata ad altro tipo di tenzone,
vendesse gli schinieri! Donne!
Tra i numerosi difetti in cui, secondo lui, il sesso femminile indulgeva ai suoi tempi e di cui ci informa per esteso, è riportata anche la passione di alcune donne per il combattimento nell’arena! La questione del realismo di Giovenale è molto discussa tra storici e filologi: Giovenale esagerava e deformava i fatti o li riportava fedelmente? La descrizione dell’armamento di questa gladiatrice concorda con quello che i gladiatori maschi effettivamente indossavano e con il rilievo di Alicarnasso che vedremo più oltre.
Esaminiamo le altre testimonianze.
Riferimenti letterari
L’attestato più antico, che io sappia, è la Tabula Larinas, dove è riportato il testo di un senatoconsulto del 19 d.C. Questo provvedimento legislativo si inquadra nelle politiche di restaurazione dei “buoni costumi antichi” di cui Augusto e Tiberio furono grandi promotori. L’epoca delle guerre civile aveva visto, evidentemente, il diffondersi di costumi considerati “immorali” dai Romani; la gladiatura femminile era uno di questi (giudizio che non impediva il grande successo di pubblico).
Ecco le righe 7-8-9 del testo del senatoconsulto. Tra parentesi le aggiunte di Claudia Ricci (vedi bibliografia) per colmare le lacune:
(pl)acere ne quis senatori filium filiam nepotem neptme pronepotem proneptem neve que(m cuius patri aut avo) vel paterno vel materno aut fratri neve quam cuius viro aut patri aut avo paterno ve(l materno aut fratri ius) fuisset unquam spectandi in equestribus locis in scaenam produceret auctoramentove rog(aret)
Che nella traduzione della Ricci diventa:
che nessuno presenti sulla scena il figlio, la figlia, il nipote, la nipote, il pronipote, la pronipote di un senatore, né un uomo (il cui padre o nonno) paterno o materno, o il cui fratello, né alcun donna il cui marito o padre o nonno paterno o materno o il fratello abbiano mai avuto il diritto di assistere agli spettacoli dai posti riservati ai cavalieri, nessuno li presenti sulla scena né li faccia lottare dietro auctoramento
Il testo prosegue specificando che tale divieto si estende alle attività connesse al combattimento e che inoltre riguarda anche i parenti degli equites (la classe sociale dei cavalieri, seconda solo a quella dei senatori per ricchezza ed importanza). I gladiatori sono equiparati ad attori e prostituti: persone che hanno abdicato il proprio status giuridico (hanno fatto “auctoramento”).

Le testimonianze letterarie non si esauriscono e proseguono per tutto l’Alto Impero. Tacito (Annales XV, 32) racconta che, al tempo di Nerone:
Si tennero in quell’anno spettacoli di gladiatori con uno sfarzo pari ai giochi del passato. Ma molte donne nobili e molti senatori si degradarono scendendo nell’arena.
Lo stesso episodio è riportato da Cassio Dione. Giungiamo poi al tempo di Domiziano, un altro imperatore non ben visto dai letterati. Così scrive Svetonio nella Vita dei Cesari:
Diede spesso spettacoli assai dispendiosi e magnifici, non solo nell’anfiteatro, ma anche nel circo dove, oltre alle corse tradizionali delle bighe e delle quadrighe, fece anche rappresentare due tipi di combattimenti, uno tra fanti e l’altro tra cavalieri. Nell’anfiteatro diede pure una battaglia navale. E organizzò poi cacce, lotte di gladiatori, che avevano luogo perfino di notte, al lume di torce, e infine battaglie sia di uomini, sia di donne.
Nel particolare di “donne che combattono al lume delle torce” si può leggere una certa morbosità, visto che le donne combattevano a petto nudo.
Giungiamo al tempo di Settimio Severo. Accade un “fattaccio” raccontatoci da Cassio Dione (perdonate la traduzione antiquata, non ho trovato di meglio):
Verso quel tempo fu eseguito un combattimento di donne, nel quale si raccolse un così gran numero di atleti, che tutti stupivamo come lo stadio potesse contenerli. In questo certame avendo pugnato le donne furibonde – cosicché per quella cagione anche contra le altre femmine nobilissime motti frizzanti si profferivano – fu stabilito che più alcuna donna in avvenire alla foggia dei gladiatori non combattesse.
Un passo brevissimo ma denso di significato. Il problema erano gli insulti rivolti alle donne di classe nobile. Il governo romano temeva quindi non il combattimento tra donne in sé, ma l’effetto che questo poteva avere sul decoro e sul rispetto verso le classi superiori. Un effetto tale da indurre il divieto assoluto di tali combattimento. Non sappiamo quanto questo divieto abbia avuto effetto, anche se le testimonianze sulle gladiatrici sembrano diminuire dopo questa data.
Riferimento iconografici
I riferimenti visivi sono più scarsi, soprattutto in rapporto all’abbondanza di reperti per i gladiatori maschi (lapidi, mosaici, graffiti). Il reperto principale e di sicura attribuzione è la cosiddetta stele di Alicarnasso, attualmente conservata al British Museum.

Si possono intuire un sacco di cose. Le due donne combattono come secutores ma senza elmo. Il petto è nudo, per il resto abbiamo schinieri, scudo, spada e protezione per il braccio. Le due teste in basso possono essere sia gli elmi delle due combattenti, sia il pubblico che assiste. Ancor più interessante è l’origine di questo reperto, ritrovato nell’area sacra del Mausoleo di Alicarnasso. Una cosa di questo genere sarebbe stata impensabile nel mondo romano, dove i gladiatori per quanto famosi, erano molto in basso nella gerarchia sociale. Il reperto quindi deve essere interpretato, secondo me, come la testimonianza di un evento eccezionale, al seguito del quale le due combattenti (di cui non sappiamo null’altro, essendo i nomi probabilmente pseudonimi) furono liberate. Chissà quale era la loro storia…
C’è un altro reperto dall’attribuzione però incerta. E’ la gladiatrice tracia, conservata ad Amburgo in Germania. Secondo alcuni è una gladiatrice che sorregge una spica, la classica spada corta ricurva del mestiere. Secondo altri però quello è semplicemente uno strigile per l’igiene. Altri ancora hanno suggerito trattarsi di una statua erotica che rappresenta una prostituta travestita da gladiatrice, cosa che non mi stupirebbe considerando la grande diffusione dell’arte erotica romana.

D’altra parte la donna sembra avere una buona muscolatura, adatta per combattere nell’arena. L’attribuzione rimane incerta.
Ritrovamenti archeologici
Abbiamo due reperti.
La prima è un’iscrizione proveniente da Ostia. Un magistrato locale si vanta così:
qui primis omnium ab urbe condita ludus cum (…)or et mulieres ad ferrum dedit.
che, secondo me, si traduce così (molto bella l’espressione ad ferrum dedit, dedicò al ferro):
che primo tra tutti dalla fondazione della città fece combattere …. e donne.
Poi, la famosa tomba di Southwark, a Londra, ritrovata nei pressi dell’anfiteatro dell’antica Londinium nel 1996. Sempre dal lavoro di Claudia Ricci:
Sepolti con la donna, infatti, sono stati rinvenuti un significativo gruppo di elementi di arredo funebre, costituito da otto lampade di ceramica, di cui alcune decorate con raffigurazioni tipiche del mondo della gladiatura…una in particolare mostra un gladiatore seduto, un Sannita/secutor che indossa il suo elmo piumato. Le altre tre lampade raffigurano il dio egizio Anubi, che controllava l’ingresso nel mondo dei defunti. Tale divinità è associata a quella romana di Mercurio…che è colui che conduce le anime e trasporta i morti fuori dalla Porta Libitina, l’ingresso attraverso il quale venivano fatti uscire i gladiatori caduti in combattimento.
Ulteriori indizi provengono dalla collocazione della tomba: vicino l’anfiteatro ma fuori dalla zona cimiteriale. Una donna quindi bollata come infames, come capitava ad attori, gladiatori e prostituti, ma abbastanza ricca da permettersi un buon corredo.
Archeologi e studiosi concordano che la donna fosse sicuramente legata, in qualche modo, al mondo della gladiatura; meno certo è che fosse essa stessa una gladiatrice. La suggestione, comunque, rimane.

Conclusione
L’esistenza delle gladiatrici è certa. La loro presenza nell’arena non era un fenomeno generalizzato o abituale ma è stato sufficientemente diffuso da giungere fino a noi. La prevalenza di fonti letterarie sulle altre indica, secondo me, anche un certo atteggiamento scandalizzato e tendente all’irrisorio da parte degli intellettuali e della élite dell’epoca, elementi che non sono invece presenti nella stele di Alicarnasso, dove si possono intuire meraviglia e rispetto per le due protagoniste.
Voglio sottolineare altri aspetti. In una società come quella romana, la presenza di donne nell’arena doveva avere un significato di trasgressione da quello che era l’ordine costituito. D’altra parte, bisogna pensare dal punto di vista di queste donne: in una società in cui l’emancipazione, intesa rispetto alla media dell’epoca, poteva aversi solo in pochi casi (donna vedova, liberta, ricca o una combinazione di questi elementi), la presenza di donne che combattevano doveva avere un effetto dirompente sul pubblico, spingendo all’emulazione anche (soprattutto?) donne di condizione elevata.
BIBLIOGRAFIA
Annales, Publio Cornelio Tacito, http://www.progettovidio.it/tacitoopere.asp
Gladiators 100 BC – AD 200, Stephen Wisdom e Angus McBride, Osprey Publishing, 2001.
Gladiatori e attori nella Roma giulio-claudia. Studio sul senatoconsulto di Larino, Claudia Ricci, LED Edizioni universitarie, 2006.
L’editto di Settimio Severo del 200 d.C., Lucio Castagneri, rivista online “il Senecio“.
Un giorno al Colosseo, Fik Meijer, Laterza Editore, 2006.
Vita dei Cesari, Gaio Svetonio Tranquillo, http://www.progettovidio.it/svetonioopere.asp
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