Il 25 novembre del 1970 lo scrittore giapponese Yukio Mishima si toglie la vita compiendo il tradizionale suicidio rituale: il seppuku. Il suo devoto amico Masakatsu Morita, che fallì due volte nell’infliggergli il previsto colpo di grazia al collo, si trafisse a sua volta.
Mishima è una figura affascinante. Fu al tempo stesso il più tradizionalista e il più “occidentale” degli scrittori giapponesi della sua epoca. Nel celebre romanzo semi-autobiografico Confessioni di una maschera (1949), Mishima scopre il proprio lato omosessuale contemplando la figura di San Sebastiano dipinta da Guido Reni, martire cristiano trafitto dalle frecce e tema classico della nostra pittura:
Il tronco dell’albero del supplizio, nero e leggermente obliquo, campeggiava sullo sfondo tizianesco d’una tenebrosa foresta e d’un cielo fosco e distante. Un giovane di singolare avvenenza stava legato nudo al tronco dell’albero, con le braccia tirate in alto, e le cinghie che gli stringevano i polsi incrociati erano fermate all’albero stesso. Non si scorgevano legami d’altra sorta, e l’unico rivestimento della nudità del giovane consisteva in un ruvido panno bianco che gli fasciava mollemente i lombi.
Immaginai che fosse la descrizione di un martirio cristiano. Ma siccome era dovuta a un pittore della scuola eclettica derivata dal Rinascimento, anche da questo dipinto che raffigurava la morte di un santo cristiano emanava un forte aroma di paganesimo. Il corpo del giovane – lo si potrebbe perfino paragonare a quello di Antinoo, il favorito di Adriano, la cui bellezza fu così spesso immortalata nella scultura – non reca alcuna traccia degli stenti o dello sfinimento derivati dalla vita missionaria, che improntano l’effigie d’altri santi: questo palesa invece unicamente la primavera della gioventù, unicamente luce e piacere e leggiadria.
Quella sua bianca e incomparabile nudità scintilla contro uno sfondo di crepuscolo. Le braccia nerborute, braccia d’un pretoriano solito a flettere l’arco e a brandire la spada, sono levate in una curva armoniosa, e i polsi s’incrociano immediatamente al disopra del capo. Il viso è rivolto leggermente in alto e gli occhi sono spalancati, a contemplare la gloria del paradiso con profonda tranquillità. Non è la sofferenza che aleggia sul petto dilatato, sull’addome teso, sulle labbra appena contorte, ma un tremolio di piacere malinconico come una musica. Non fosse per le frecce con le punte conficcate nell’ascella sinistra e nel fianco destro, egli sembrerebbe piuttosto un atleta romano che allevia la stanchezza in un giardino, appoggiato contro un albero scuro.
Le frecce si sono addentrate nel vivo della giovane carne polposa e fragrante, e stanno per consumare il corpo dall’interno con fiamme di strazio e d’estasi suprema. Ma il sangue non sgorga, non ha ancora infuriato il nugolo di frecce che si vedono in altri dipinti del martirio di San Sebastiano. Qui invece, due frecce solitarie mandano le loro ombre quiete e delicate sopra la levigatezza della pelle, simili alle ombre d’un ramo che cadono su una scala di marmo.

Nel 1970, invece, ritroviamo Mishima ormai adulto, palestrato ed esperto di arti marziali, alla testa di una organizzazione paramilitare (che a qualcuno potrà apparire folcloristica più che una cosa seria) con l’intenzione di sollevare l’esercito per attuare un colpo di stato e restituire il potere all’imperatore: un intento impossibile e folle, forse un pretesto per giustificare il seppuku o forse atto necessario. Tra queste due date un lungo e sofferto percorso (che spero un giorno di poter approfondire) costellato di numerosissime opere.
Ecco alcune parti del proclama che Mishima lesse alle truppe:
Abbiamo visto come il Giappone del dopoguerra per seguire l’infatuazione della prosperità economica, abbia dimenticato i grandi fondamenti della nazione; lo abbiamo visto perdere lo spirito nazionale e correre verso il futuro, senza correggere il presente; lo abbiamo visto piombare nell’ipocrisia e precipitare nel vuoto spirituale. Abbiamo assistito stringendo i denti, al gioco della politica interna a dissimulare le contraddizioni, mentre sprofondava nell’ipocrisia e nella bramosia di potere. Abbiamo assistito alla difesa dei particolarismi e degli interessi personali. Abbiamo visto affidare a Paesi stranieri i piani riguardanti i prossimi cento anni della Nazione; abbiamo visto l’umiliazione della disfatta nascosta per non essere cancellata, e gli stessi nostri connazionali profanare la storia e le tradizioni del Giappone…
…Insorgeremo insieme e moriremo insieme per la giusta causa. Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! E’ bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! E’ il Giappone! E’ il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo. Non c’è nessuno tra voi che desideri morire per sbattere il proprio corpo contro quella Costituzione che ha evirato il Giappone? Se c’è, che sorga e muoia con noi! Abbiamo intrapreso questa azione spinti dall’ardente desiderio che voi, che avete uno spirito puro, possiate tornare ad essere veri uomini, veri samurai!
Il Giappone ha una storia incredibile degna di un romanzo utopico (o distopico): l’introduzione delle armi da fuoco nel ‘500 e l’inizio della conversione al cristianesimo che potevano minare la struttura feudale e gli antichi valori giapponesi; quindi i 250 anni di isolamento totale sotto lo shogunato Tokugawa, che repressero il cristianesimo e bandirono le armi da fuoco e ogni contatto con l’Occidente. Poi, le Navi Nere del commodoro Perry (1854) e un secolo di modernizzazione rapida e per certi versi folle. Quindi, il dramma della guerra, dove il Giappone venne piegato solo dalle bombe atomiche e poi la lunga pace e la prosperità economica… un percorso storico schizofrenico.

Mishima condensa tutta questa tensione tra influenze occidentali e richiami ancestrali. E’ proprio dei grandi scrittori l’essere sempre attuali. Mishima denunciò con la parole e infine con l’azione la direzione del Giappone nel dopoguerra. Proprio in questi anni, dopo il cosiddetto Decennio Perduto (che per molti giapponesi si è esteso fino a diventare una condizione di stagnazione/crisi permanente, non molto diverso da ciò che accade in Italia e altri paesi) molti dogmi del Giappone del dopoguerra vengono discussi: uno su tutti, il ruolo dello Jieitai, le forze di autodifesa giapponesi, da tempo oggetto di una revisione costituzionale (immaginate qui da noi una discussione per rimuovere l’articolo che recita “l’Italia ripudia la guerra”). Non si può comprendere da dove viene il Giappone se non si riflette sul pensiero di questo grande autore.
Buona lettura!
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Che personaggio incredibile!
La parte sulla foto di San Sebastiano è molto inquietante
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Di sicuro non riuscirò a vedere quell’immagine senza pensarci XD
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