
Venezia, fine del Cinquecento: una città tentacolare e spietata in cui anche i muri hanno gli occhi, il doge usa il pugno di ferro e il Sant’Uffizio sospetta di tutti e non ci pensa due volte a mandare a chiamare un poveraccio e a dargli due tratti di corda. La Serenissima osserva, ascolta e condanna. Anche ingiustamente. Ed è proprio per sfuggire a un’accusa infondata che Michele, giovane muratore, è costretto a imbarcarsi su una galera lasciando tutto e senza nemmeno il tempo per salutare la sua bella moglie Bianca, appena diciassettenne. Bandito da Venezia, rematore su una nave che vaga per il Mediterraneo carica di zecchini e di spezie e senza speranza di ritornare a breve, Michele vivrà straordinarie avventure tra le onde, sulle isole e nei porti del mare nostrum, fino ad approdare nelle terre del Sultano. Per sopravvivere, con il pensiero sempre rivolto a Bianca, da ragazzo ignaro e inesperto dovrà farsi uomo astuto, coraggioso e forte. Nel frattempo, Bianca rimane completamente sola in città, tra i palazzi dei signori e il ghetto. Il suo temperamento tenace e orgoglioso dovrà scontrarsi con prove se possibile più dure di quelle toccate a Michele, e incontri non meno terribili e importanti l’attendono nel dedalo di vicoli e calli, tra i profumi intensi delle botteghe di speziali, quello del pane cotto nel forno di quartiere, il torso dell’acqua gelida in cui lavare i panni e i pagliericci pidocchiosi che sono il solo giaciglio per la povera gente.
Alessandro Barbero è senza dubbio uno storico ben conosciuto al grande pubblico grazie alle sue apparizioni televisive (SuperQuark e RaiStoria). E’ un personaggio che trasuda amore per la storia e immediatezza da tutti i pori. Imperdibili sono le presentazioni che fa ai documentari della serie “a.C.d.C.” su RaiStoria: se il documentario contiene errori o scelleratezze, lo dice tranquillamente. Ho avuto anche la fortuna di seguire alcuni suoi interventi in radio (biografia di Federico II di Prussia e una serie sull’Impero Ottomano per la vecchia trasmissione “Alle 8 della sera”). Racconto un aneddoto. Ricordo una puntata della trasmissione “Il tempo e la storia”, su RaiTre, in cui si parlava dell’ammiraglio giapponese Yamamoto e dove il nostro Barbero era invitato. A fine puntata Barbero doveva indicare un film o un’opera a tema. Che fa allora il nostro? Cita un’anime giapponese di storia alternativa!

Passiamo al romanzo. Il principale pregio e al tempo stesso difetto è che il Barbero narratore è uguale al Barbero divulgatore. Narrare però non è divulgare. Tornerò su questo concetto a fine recensione.
L’ambientazione originale è uno dei punti forti del romanzo. Barbero la storia ovviamente la sa e non ha problemi a districarsi tra Venezia, le isole del Mediterraneo, l’entroterra Balcanico, le navi e le galee, le calli, gli edifici, le chiese, il ghetto eccetera. A fine lettura, in sostanza, si è fatto un bel viaggio in terre, località e luoghi molto diversi tra di loro.
La trama. L’inizio è ottimo. Abbiamo una vicenda semplice ma realistica di quell’epoca che porta alla condanna ingiusta di Michele. L’idea di seguire in parallelo le vicende su mare di Michele e quelle di Bianca rimasta a Venezia è anch’essa ottima. Soprattutto le vicende di Bianca sono interessanti, perché la ragazza, assieme alla suocera, deve sopravvivere in una società che è maschilista e in cui le donne senza un uomo di riferimento se la passano male. Le due donne soffrono, sono costrette ad adattarsi e vivono una discesa sociale che le porta a cambiare interiormente. Con le loro vicende, Barbero ci illustra bene il mondo dell’assistenza sociale di quell’epoca, in cui la Chiesa era quasi l’unica ad occuparsi delle masse di poveri, derelitti e miserabili. Le vicende di Michele sono un po’ più prevedibili, ma comunque interessanti. Il nostro si adatta senza troppa fatica alla vita su mare. Ho trovato molto ben descritto l’ambiente di bordo, tra galeotti liberi (i buonavoglia) e forzati, tra ufficiali e sottufficiali (il parone).

I problemi cominciano quando le coincidenze e le casualità iniziano a farsi troppo ricorrenti e, infine, ad essere il vero motore della trama. Ci sono almeno un paio di grossi svolte narrative che non sono altro che deus-ex-machina. Si arriva, ad un certo punto, alla sensazione bruttissima che i nostri trionferanno “perché sono i buoni” e non per le loro qualità morali messe in difficoltà dagli eventi.
Molto debole, a mio giudizio, l’ultima parte del libro (non il finale), dove le vicende di Michele e Bianca vengono interrotte per seguirne altre che, sì, sono strettamente collegate alla trama principale e contribuiscono alla sua risoluzione, ma tuttavia sono un riempitivo lungo ed estenuante che poteva essere notevolmente accorciato senza cambiare di molto la trama.
Lo stile. Barbero adotta un punto di vista da narratore onnisciente. Personalmente non amo questa soluzione, soprattutto quando si accompagna ad una gestione della telecamere che, a volte, zoppica un po’, con salti improvvisi da un punto di vista all’altro e a qualche sporadico intervento diretto del narratore (del tipo “e ora la nostra storia torna da…”). Le descrizioni, ricche ed efficaci, e i dialoghi realistici (ogni personaggio ha il suo registro linguistico in base a status, età eccetera) compensano questo difetto.
Dunque, cosa vuol dire che il Barbero narratore è uguale al Barbero divulgatore? Che, mia impressione, la voglia di Barbero di comunicarci le sue vaste conoscenze sul periodo soffocano e piegano la trama, oltre ad influire sullo stile. Ho già detto dei fastidiosi interventi del narratore onnisciente; aggiungo certe spiegazioni che a volte appesantiscono i dialoghi, con personaggi che si dicono cose perché “il lettore le deve sapere”; infine, ma è solo una mia impressione, penso che certe svolte della trama abbiano più il compito didattico di illustrarci caratteristiche di quell’epoca (vedasi l’ultima parte). Il che sarebbe lodevole, visto che è un romanzo storico; il problema è quando la Storia è mostrata con aggiunte, deviazioni o peggio deus ex machina. Si tratta pur sempre di un romanzo in cui la trama e l’intreccio dovrebbe avere la precedenza su ogni intento didattico. In qualche caso ho proseguito la lettura non per interesse verso i personaggi ma solo per la voglia di scoprire qualcosa sull’epoca.
Ambientazione, descrizioni e informazioni storiche sono punti positivi, la trama e a volte lo stile sono un punto debole. Lo consiglio agli appassionati del periodo storico (o a chi, digiuno di quell’epoca, vuole tentare un primo approccio) ma non a chi considera la trama e l’intreccio come punti fondamentali di un romanzo.
VOTO: 3+/5