10-19 settembre 1950: Gli sbarchi di Incheon – La divisione della Corea

Nell’estate del 1950 la situazione delle forze ONU in Corea era disperata. L’offensiva condotta dal Nord aveva schiacciato sudcoreani, americani e soldati di molte altre nazionalità nell’angolo sud-est della penisola coreana, intorno alla città di Busan. Decine di migliaia di uomini rischiavano di essere catturati.

Le varie fasi della guerra di Corea (1950-1953)

Il generale Douglas MacArthur, veterano della guerra nel Pacifico, fu chiamato per risolvere la situazione. La sua mossa fu senza dubbio geniale ed audace e ricorda, in parte, quanto fece l’imperatore romano Eraclio contro i Persiani Sasanidi nel 626-627 d.C. Invece di contrattaccare dalla sacca di Busan, dove i nordcoreani erano in superiorità numerica e in cui una sconfitta avrebbe potuto essere fatale, decise per un coraggioso sbarco alle spalle del nemico.

Il generale Douglas MacArthur (1880-1964)

La zona prescelta per vari motivi fu Incheon, città non molto lontana da Seul. Lo sbarco presentava difficoltà logistiche immense. L’alta marea, necessaria per evitare i banchi di fango (estesi fino a 5 km dalla costa) che avrebbero impedito l’avvicinarsi delle navi e dei mezzi da sbarco, si verificava soltanto per sei ore al giorno, tre al mattino e tre al pomeriggio; settembre era inoltre il mese dei tifoni.

Un temporale improvviso avrebbe potuto sconvolgere i piani delle forze a guida americana.

Gli sbarchi del 15 settembre

La città e la costa di Incheon erano difese da poche e male armate, anche se ben motivate, forze nord coreane, i cui alti comandi non pensavano ad un’offensiva in quel settore. Come si può notare dalla mappa, la posizione chiave era costituito dall’isola di Wolmido e dalla sua collina, alta un centinaio di metri, che dominava l’area. Qui era schierato il 918° reggimento di artiglieria costiera, costituito da circa 500 uomini e dotato di deboli cannoni da 76 mm. Proprio su quest’isola e i suoi difensori si concentrò il bombardamento preventivo degli americani. Il 10 settembre 43 aerei sganciarono bombe al napalm sulla postazione. Il 12 settembre una flotta di cacciatorpedinieri e incrociatori bombardò l’isola per l’intera giornata. I nord coreani rispose aprendo il fuoco e colpendo svariate volte alcune navi minori ma senza fare alcun danno notevole.

I bombardamenti dal mare e dall’aria andarono avanti fino all’alba del 15 settembre, quando la prima ondata d’attacco diede l’assalto all’isola. Sulla “Spiaggia Verde” si affollò il 3° battaglione (5° reggimento, 1° divisione) dei marines, dotato di 9 carri M26 Pershing di cui uno lanciafiamme e due bulldozer. I nord coreani non avevano i mezzi per potersi opporre efficacemente agli americani. I dati ufficiali riportano soltanto 17 feriti e nessun morto tra i marines, 200 uccisi e 136 prigionieri tra i nordcoreani. L’avanzata americana si arrestò fino al pomeriggio, quando la nuova alta marea permise lo sbarco di altre truppe e la defintiva conquista di Incheon.

La battaglia fu un disastro per la Nord Corea. La sconfitta tattica si trasformò in un catastrofe strategica che ribaltò le sorti della guerra. Nonostante ciò, il mito della resistenza della guarnigione dell’isola di Wolmido che, rimasta per cinque giorni al suo posto sotto le bombe ameriane, è ben vivo in Nord Corea ed è usato come propaganda dal regime. Nel piazzale antistante il “Museo della Guerra Vittoriosa” di Pyongyang c’è un complesso di statue dedicato proprio agli eroi di Wolmido, sulle cui vicende fu anche realizzato nel 1982 un film.
Anche il Sud ha realizzato di recente un film (“Operation Chromite”) strettamente collegato a questo eventi.

Lo sbarco di Incheon rimane, in sostanza, uno degli eventi fondativi della Corea moderna.


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