[SAGGIO] “Storia economica e sociale dell’impero romano” di M. Rostovtzeff


Introduzione alla “Storia economica e sociale dell’impero romano” di M. Rostovtzeff[1]

La “Storia economica e sociale dell’Impero romano” di Rostovtzeff è una delle opere più importanti di storia antica apparse nel Novecento. Il volume è arricchito da un cospicuo materiale inedito di grande interesse, in particolare le note a margine fatte sull’edizione italiana dallo stesso Rostovzev, nonché da testi aggiuntivi nei quali lo storico russo prende posizione rispetto alle recensioni e alle critiche che l’opera aveva ricevuto.

di Lorenzo Landriscina, dottore in storia antica.


Nel 1926 venne pubblicata per la prima volta la Storia economica e sociale dell’Impero romano su Oxford University Press. In quell’epoca questo scritto venne interpretato come un vero e proprio scossone nell’ambito della Storia romana. Innovativo e pieno di spunti originali, si caratterizzò principalmente per l’ausilio, nella composizione, di fonti archeologiche.

Una delle più recenti edizioni italiane del libro, ormai quasi introvabile

Rostovtzeff proveniva da una famiglia aristocratica russa. Tale fattore, insieme alle numerose borse di studio, gli consentì di esplorare alcuni centri nevralgici del Mare Nostrum, vedendo con i propri occhi i risultati di diversi scavi che portarono alla luce elementi sui quali fondò i suoi studi. Scontato, ma sempre utile ricordare,  il fatto che il luogo nel quale è più facile rintracciare fonti per le antiche rotte commerciali,  per le civiltà che lo storico prese in esame, sia proprio il Mediterraneo[2]. Abulafia, a ragion veduta, ci dice che :

“<<Il continente liquido>>, che come un vero e proprio continente racchiude molti popoli, e molte economie all’interno di uno spazio dai confini ben precisi”[3].

Dunque, quale miglior luogo per indagare, con fonti dirette, le dinamiche economiche (dunque commerciali) e sociali di un impero che unì sotto il proprio nome tutti questi fattori eterogenei? Ricordiamo che Rostovtzeff si approcciò a questi studi in un’epoca nella quale l’utilizzo della fonte archeologica era desueto. A ciò si univa l’utilizzo delle fonti epigrafiche e papirologiche, le quali trovarono spesso riscontro nel corredo iconografico di riferimento[4]. D’altronde lo ricorda anche F. Braudel:

“Se si vuole a tutti i costi fornire una rapida visione d’insieme, bisogna scegliere un filo conduttore. A tal fine, la cosa migliore sarebbe esaminare attentamente, prima di tutto, proprio il Mediterraneo, il Mediterraneo di Oggi, cercando di scoprire l’essenza della sua vita attuale, del suo equilibrio visibile, e probabilmente dei suoi equilibri antichi”[5].

Insomma, attraverso ciò che è visibile oggi è possibile comprendere ciò che è avvenuto in passato. Questa fu il punto di partenza dello studioso russo per comprendere l’economia della grande civiltà romana.  Numerosi i suoi viaggi in luoghi come Roma o Pompei. Fondamentale anche la sua direzione negli scavi a Dura-Europus, antico punto di snodo greco-romano in Persia, dal 1928 sino al 1937.

Michael Rostovtzeff (1870-1952).

Non si può prendere in considerazione il Rostovtzeff storico senza considerare il Rostovtzeff viaggiatore. La sua attività di studio si è principalmente soffermata sulle province orientali, probabile predilezione dovuta alla sua origine ucraina[6]. Provenendo da un paese fondato sulla religione cristiano-ortodossa e dall’atmosfera culturale orientale e bizantina, egli, sicuramente, ebbe maggiore inclinazione verso fenomeni culturali più vicini alla sua persona. La conferma arriverebbe dai suoi continui studi del mondo greco, che maturerà nella sua monumentale opera Storia economica e sociale del mondo ellenistico, pubblicata nel 1941[7].

Andando a ritroso nel tempo, già vediamo come nel 1901 rintracciò strette corrispondenze tra Oriente ellenistico e Occidente romano, arrivando alla tesi che i romani adattarono molte caratteristiche amministrative orientali alle nuove esigenze[8]. Dopo aver studiato all’università di Kiev, si trasferì in quella di San Pietroburgo, dove, in seguito, insegnò. Le vicende politiche, sociali e storiche della Russia contemporanea furono profondamente influenti anche nella sua interpretazione storica del mondo antico. Rostovtzeff subì personalmente delle conseguenze di tali stravolgimenti, infatti fu costretto all’esilio nel 1918, in seguito alla Rivoluzione Bolscevica.

“Oggetto principale di questo volume è stata l’indagine delle condizioni sociali ed economiche della prima età imperiale, la delineazione del processo che progressivamente mise capo all’annullamento dalla parte rappresentata dalle città nella storia del mondo antico. Il nuovo Stato poggiato sui contadini e sulla campagna fu un fenomeno storico nuovo, e il progressivo sviluppo di esso richiede un’investigazione accurata quanto  quella che noi abbiamo cercato di fare per la genesi di esso”[9].  

La tesi fondamentale del volume è che fu proprio la contrapposizione tra campagna rurale e mondo urbano che, per lo storico, portarono alla fine del mondo antico. I detrattori a lui contemporanei non poterono fare a meno di vedere proiettata sulla sua visione storica ciò che egli subì a causa della rivoluzione russa. Pagò a caro prezzo la fragilità della borghesia del suo paese contro l’avanzare della massa proletaria. La sua preoccupazione riguardo a questo è espressa nelle ultime righe del suo scritto:

“E’ possibile estendere una civiltà elevata alle classi inferiori senza degradare il contenuto di essa e diluirne la qualità fino all’evanescenza? Non è ogni civiltà destinata a decadere non appena comincia a penetrar nelle masse?”[10].

Le osservazioni degli storici che si opposero alle sue teorie, però, avevano fondamento scientifico. Ciò emerge anche dai suoi passati studi sull’Egitto e di come questo utilizzasse la centralizzazione e la nazionalizzazione dell’industria e dell’agricoltura[11]. Tutto ciò che scrisse sul mondo orientale dell’antichità non furono nient’altro che le premesse di ciò che troveremo nel suo volume dedicato al mondo romano.

Michael Rostovtzeff (sulla destra) durante la stagione 1933-1934 degli scavi di Dura Europos, Archivio dell’università di Yale.

Il modo di affrontare per Rostovtzeff la riflessione storica è quello di muovere da grandi idee di base, perpetrate, fase dopo fase, nella sua carriera di studioso. Il paese dove ebbe maggiore successo fu la Germania, infatti qui entrò in contatto con grandissime personalità come il filologo U. von Wilamowitz-Möllendorf, il papirologo U. Wilcken e lo storico antichista Ed. Meyer. Quest’ultimo lo invitò copiosamente a scrivere la storia economica e sociale sia dell’universo ellenista che dell’ecumene romana. Nonostante ciò, quando egli fu costretto all’esilio, non si recò in Germania, bensì ad Oxford. Ciò non gli consentì di mantenere strette relazioni in terra teutonica.

Tramite una serie di incontri gli venne offerta una cattedra negli USA, infatti nell’agosto del 1920 si trasferì presso Madison, università del Wisconsin. Da qui completò il suo lavoro, che venne dato alle stampe nel 1926, dall’Oxford University press. Nonostante le premesse, la traduzione in tedesco ebbe larga fortuna, come quella in italiano. La fortuna dell’edizione italiana fu dovuta al legame di amicizia che legò lo studioso russo a Gaetano De Sanctis, il quale ne fece una illustre presentazione e recensione[12]. Fondamentale è l’edizione italiana del 1933[13], tradotta da Giovanni Sanna. Questa ripubblicazione è considerata una opera autonoma, dato che l’autore fece numerose integrazioni all’opera originale.  L’autore stesso affermò che:

“alla prova dei fatti la traduzione italiana sarà una nuova edizione del mio libro […]”[14].

Sempre per il nostro discorso appare fondamentale la presenza del corredo fotografico con testimonianze degli scavi di Ercolano, Ostia e Leptis Magna. L’archeologia continua ad essere una componente fondamentale delle sue riflessioni. Al di là delle questioni filologiche, in questa ultima edizione cerca, ancora una volta, di respingere le accuse dei detrattori riguardo alla sua teoria relativa alla fine del mondo antico. Ribadisce la sua teoria della contrapposizione tra mondo rurale e mondo urbano. Non si può attribuire a mere cause economicistiche. L’opera, al di là del punto di vista teorico, è reputata l’ultima di una tradizione che comprende quelle di Gibbon, Grote, Eduard Meyer, Beloch e Busolt[15]. Insomma, ai grandi classici della storiografia di fine Ottocento ed inizio Novecento.

Arnaldo Marcone, curatore dell’ultima edizione italiana.

Per concludere, fin dal momento della sua pubblicazione, l’opera venne acclamata come un lavoro che avrebbe portato in avanti gli approfondimenti sul mondo antico, e come tale è riconosciuta dai nostri contemporanei. Uno dei maggiori storici contemporanei, ovvero P. Heather, insiste sull’attribuire la caduta dell’Impero Occidentale più a fattori esogeni piuttosto che endogeni[16]. Facendo ciò, in accordo con una folta schiera di studiosi, non fa altro che porsi in opposizioni alle teorie di Rostovtzeff e di chi venne prima di lui. Chiaramente le teorie degli studiosi sono variegate e hanno assunto altri connotati, ma una delle basi di partenza per comprendere il passaggio dal mondo antico a quello medievale è sicuramente l’opera dello studioso russo, senza il quale non avremmo sviluppate le teorie a noi contemporanee.


[1] Essendo estremamente lusingato di presentare tale opera: mi venga perdonato qualunque tipo di inesattezza o giudizio “affrettato”.

[2] D. Abulafia, “Il grande mare”, Mondadori, Milano, 2016. Il grande studioso ci ricorda nell’introduzione alla sua opera che: “Noto in inglese e nelle lingue romanze come il <<mare tra le terre>>, il Mediterraneo ha avuto e ha molti nomi: <<Mare Nostro>> (Mare Nostrum) per i romani, <<Mar Bianco>> (Akdeniz) per i turchi, <<Gran Mare>> (Yam gadol) per gli ebrei, <<Mare di mezzo>> (Mittelmeer) per i tedeschi e, probabilmente, <<Grande Verde>> per gli Egiziani. F. Braudel, “Il Mediterraneo. Lo spazio la storia gli uomini le tradizioni”, Bompiani, Milano, 1994, pag. 7: “Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. [..] Significa sprofondare nell’abisso dei secoli […]”.

[3] Ibid., pag. 9.

[4] In a cura di A. Marcone, M. Rostovtzeff, ”Storia economica e sociale dell’Impero Romano”, Sansoni, Milano, 2003. Il Prof. A. Marcone afferma: “Nella prefazione a <<Iranians and Greeks in South Russia>> (Oxford, 1922), Rostovtzeff aveva scritto che si stava ormai imparando a scrivere la storia con l’aiuto dell’archeologia”.

[5] F.Braudel, “Il Mediterraneo. Lo spazio la storia gli uomini le tradizioni”, pag. 101.

[6] Nato a Zytomir, nei pressi di Kiev, il 10 novembre 1870.

[7] In Italia pubblicato con La Nuova Italia, Firenze, 1966.

[8] Ciò emerge dalla traduzione tedesca della sua tesi di dottorato elaborata nel 1899.

[9] In a cura di A. Marcone, M. Rostovtzeff, ”Storia economica e sociale dell’Impero Romano”, pag. 780.

[10] Ibid, pag. 784.

[11] Ciò emerge da una conferenza che lo studioso russo tenne ad Oxford, “The foundations of social and economic life in Egypt in Hellenistic times”, ora in A cura di A. Marcone, M. Rostovtzeff, “Scripta caria. Ellenismo e Impero romano”, Bari, 1995.

[12] Come fa notare A. Marcone in “Introduzione” di M.Rostovtzeff, ”Storia economica e sociale dell’Impero Romano”   La recensione venne pubblicata in <<Rivista di Filologia e d’Istruzione Classica>>, 54 (1926), pag. 537 – 554, rist, in  G. De Sanctis, “Scritti Minori”, vol VI/1, Roma 1972, pag. 295 – 313.

[13] Con integrazioni relative alla Tripolitania e ad un nuovo capitolo sulla Cirenaica, grazie all’esperienza maturata in un viaggio del 1930.

[14] Cf. M.A.Wes, “The Correspondence between Rostovtzeff and Westermann. A note on Gaetano De Sanctis”, Historia, 42 (1993), pag. 125 – 128.

[15] https://dbcs.rutgers.edu/all-scholars/9076-rostovtzeff-michael-mikhail-ivanovich-rostovcev

[16] P. Heather, “La caduta dell’Impero romano. Una nuova storia”, Garzanti, Milano, 2005, pag. 539 – 540: “A mio parere, invece di parlare delle presunte <<debolezze>> interne al sistema romano che lo avrebbero fatalmente predestinato al crollo, almeno per quanto riguarda la sua metà occidentale, ha più senso parlare dei <<limiti>> – militari, economici e politici – che gli impedirono di affrontare e risolvere la particolarissima crisi del V secolo. Limiti interni che indubbiamente dovevano esserci, se l’impero si dissolse; ma che di per sé non erano sufficienti. Senza i barbari, non ci sono prove del fatto che nel V secolo l’impero avrebbe comunque cessato di esistere. […] Lo shock esogeno cui ho fatto riferimento aveva due componenti: gli unni che lo generarono ei gruppi sostanzialmente germanici che si misero in movimento per sfuggire agli unni e che le loro invasioni finirono per aprire una falla letale nello scafo della nave-stato romana”


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