Parigi, inverno 1302. Filippo il Bello, re di Francia, comanda l’armata più formidabile del mondo cristiano, ma il regno è sull’orlo della bancarotta. Per pagare i debiti di stato, il sovrano ha un piano che potrebbe costargli la scomunica: intende aggredire Firenze con un pretesto, per razziare le sue vaste riserve di fiorini d’oro. Ma non ha fatto i conti con Bonifacio VIII… La Signoria di Firenze, infatti, ha chiesto la protezione del pontefice, dal momento che in Vaticano abita la sola persona in grado di fermare il re di Francia: Arnaldo da Villanova, detto il Catalano, medico talentuoso benché tacciato di praticare la magia. Il Catalano può interpretare i misteriosi segni impressi nel più antico sigillo dei Templari, e così rivelare oscure verità sul leggendario Ordine combattente. Si vocifera, infatti, che nella grande torre dell’Ordine proprio fuori Parigi ci sia nascosta un’immensa fortuna aurea. I Templari potrebbero salvare la Francia, ma intendono davvero condividere il segreto della loro ricchezza?
Lo ammetto: odio Filippo IV detto il Bello, re di Francia. La persecuzione che egli attuò dell’ordine dei cavalieri Templari e la successiva rapida fine della sua dinastia – nel giro di un quindicennio morirono lui e i tre figli maschi succedutigli sul trono – hanno dato vita ad uno dei più resilienti miti della modernità (e creato in epoca illuministica): quello del lato esoterico dell’ordine del Tempio. A distanza di settecento anni dalla loro scomparsa, i Templari popolano infatti moltissimi media narrativi (libri, film, videogiochi). Insomma, i “poveri cavalieri di Cristo” fanno pienamente parte dell’immaginario collettivo occidentale.
Amando la Storia ed essendo, ormai, stufo dell’esoterismo templare non ho potuto non accogliere con interesse un romanzo con protagonisti proprio Filippo IV e i Templari e, soprattutto, scritto da un autorità del settore come Barbara Frale, nota storica del Medioevo con all’attivo ricerche sui Templari fra cui nel 2001 la scoperta, presso l’Archivio Segreto Vaticano, della famosa pergamena di Chinon.

Questa la lunga premessa. Passiamo al romanzo vero e proprio. La prima cosa che salta all’occhio già dopo qualche decina di pagine è l’assenza di un punto di vista centrale. La narrazione è corale nonostante il libro non sia lunghissimo: non c’è un vero e proprio protagonista. Proprio a causa di questo la trama, che si dipana tra Roma e Parigi, non è facile da seguire. Un banalissimo elenco dei personaggi avrebbe grandemente aiutato. Tuttavia, con un po’ di pazienza nell’andare indietro di qualche pagina e qualche arzigogolo di troppo, la trama giunge ad una conclusione soddisfacente. I temi principali del racconto sono questi: le difficoltà economiche di Filippo IV, indebitato e costretto a ricorrere ai prestiti di banchieri italiani ed ebrei; la gelosia di sua moglie, la regina Giovanna di Navarra; le indagini di Crescenzio Caetani, parente di papa Bonifacio VIII, su un misterioso omicidio avvenuto nell’Urbe; Alfino da Narni, avvocato italiano residente a Parigi coinvolto suo malgrado in vicende più grandi da Arnaldo Catalano; infine Dante Alighieri, impegnato per conto della sua città, Firenze, in un’ambasceria a Roma.

La figura meglio tratteggiata è senza dubbio quella del re francese. Filippo IV emerge come una personalità complessa e dalle mille sfaccettature. Da un lato egli è un re che cerca in tutti i modi di agire da vero cristiano, seguendo così l’esempio del nonno Luigi IX, il famoso “re santo” morto durante una crociata; dall’altra è un uomo dominato da passioni carnali e da una fortissima ambizione, per la quale è pronto a scontrarsi con il papato e con l’ordine templare.
Ho apprezzato molto questa raffigurazione del re francese perché ritengo che incarni alla perfezione lo spirito più autentico dell’epoca medievale, cioè quello di una società regolata da un “senso del Vero” (che noi contemporanei non abbiamo più) ma nonostante anche molto “terrena” e “umana.” Se leggo romanzi storici è soprattutto per confrontarmi con modi di ragionare di epoche lontane dalla nostra. In questo l’autrice riesce appieno e personalmente costituisce per me un grosso punto a favore dell’opera.

Parlando più in generale, il merito principale della Frale è restituire i Templari alla realtà storica senza sacrificare il lato esoterico che, ammettiamolo, ha pur sempre il suo fascino narrativo. Difatti se gli uomini di allora – come molti di oggi – credono all’esoterismo, allora esso fa parte della Storia ed è giusto che se ne parli in un romanzo. La Frale, fortunatamente, non lo giustifica e non scivola mai nel fantasy. Mantenendosi in equilibrio nel bilanciare i due aspetti, l’autrice riesce a fonderli. Da un lato la Storia, che ci racconta di un Filippo IV indebitato nei confronti di banchieri ebrei ed italiani (entrambi soggetti in diversi periodi ad espulsione dal regno), assediato da nobili riottosi a pagare le tasse ed impossibilitato ad emettere una propria moneta d’oro (il famoso Agnel d’Oro). La questione finanziaria ed economica è insomma uno dei temi fondamentali del romanzo. Filippo IV ha bisogno quindi di oro, molto oro, per rafforzare il suo potere. I Templari, scacciati dall’oriente dopo la caduta di Acri nel 1291, conservano le loro ricchezze proprio a Parigi. Come hanno fatto ad accumulare tutte queste ricchezze? I Templari avevano la propria sede a Gerusalemme nei pressi del tempio di Salomone, il biblico re d’Israele che trovò le proprie ricchezze nelle famose miniere di Ofir… è proprio la risposta alla precedente che fa da motore del romanzo.

Lo stile. La Frale ama uno stile che, a tratti, è barocco. A volte l’autrice ci regala delle belle immagini poetiche, ma a volte calca troppo la mano con gli aggettivi. Avrei preferito che certi passaggi fossero stati più “asciutti”; comunque non ci sono cambi repentini di narratore o altri errori elementari. Il narratore è spesso onnisciente ma, considerando l’autrice e la sua competenza nella materia, penso sia stata la scelta migliore.
Ho apprezzato la varietà di descrizioni. L’autrice si è impegnata nel descriverci abiti ed edifici (la Torre del Tempio, ad esempio) del periodo. Come esempio, riporto la descrizione di Filippo IV:
Fulcro di tale sacrario civile, ligio al proprio ruolo, Filippo IV si lasciava guardare. Appariva ai visitatori, francesi o stranieri che fossero, in una stupenda cotta di seta azzurra dello stesso tono della bandiera di Francia, a sovrastare una tunica più lunga d’inestimabile damasco purpureo; e su tutto, portato di traverso all’uso dei re antichi, un mantello di velluto blu, scuro e brillante come una notte d’estate. Più che un abito era una livrea, una divisa ufficiale della grandezza francese che lui portava con la dedizione di un martire votato alla causa. I lineamenti del volto congiuravano in suo favore. Il naso era piccolo e diritto. Gli zigomi alti e pronunciati, la fronte ampia, che dava alla sua espressione un che di aperto e di coraggioso. La bocca perfettamente disegnata, con gli angoli piegati in una smorfia di fredda cordialità che teneva così spesso da essere ormai diventata tutt’uno con il suo sembiante. Un volto stupendo e perfettamente inespressivo, come il sorriso di quegli antichi principi pagani di cui ogni tanto affiora qualche sarcofago dalla terra delle campagne d’Etruria. I maligni dicevano che somigliava sì a un angelo, ma un angelo ribelle, e che le strie violacee visibili sotto i suoi occhi, quel mattino, si dovevano a una nottata insonne guaio.
Per concludere, a chi consiglio il romanzo? Se cercate una lettura impegnativa e soddisfacente, amate il Medioevo e volete approfondire il cruciale snodo storico degli inizi del ‘300, allora questo romanzo fa per voi. L’avvertenza è che non si tratta di un romanzo leggero. Se siete come me, cioè persone che amano più di ogni altra cosa leggere ed imparare, allora questo romanzo è assolutamente consigliato.
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