Secondo appuntamento della mia collaborazione con la Newton Compton Editori, che ogni settimana mi fornisce gentilmente romanzi o saggi in uscita che ritengo adatti a questo blog. Quindi, un doveroso grazie alla Newton Compton.
Il libro di cui vado a parlare oggi è I segreti tecnologici delle antiche civiltà di James M. Russell, in uscita oggi giovedì 4 aprile.
Qui il libro sul sito della Newton Compton Editori.
All’uomo moderno piace pensare di essere particolarmente intelligente. Le scoperte scientifiche si susseguono ogni giorno, i viaggi nello spazio non sembrano più impossibili e ci stiamo persino abituando all’idea di un’auto con il pilota automatico. La verità, però, è che non siamo più intelligenti dei nostri antenati, abbiamo solo accumulato secoli di conoscenza rispetto a loro. Questo libro ci racconta alcune delle scoperte più incredibili fatte nell’antichità. Alcune anticipano in modo straordinario le conoscenze attuali, dimenticate per intere epoche. Dalla neurochirurgia dell’età della pietra, ai fiammiferi cinesi del VII secolo a.C., passando per l’acciaio di Damasco (uno dei metalli più resistenti al mondo, che purtroppo non sappiamo più produrre), questo libro racchiude le storie di numerose scoperte e invenzioni provenienti da tutto il mondo, in un affascinante viaggio che rivela come gli antichi fossero tecnologicamente molto più avanzati di quanto possiamo immaginare.
Il libro è un elenco variegato e vasto di scoperte e invenzioni risalenti alle epoche più antiche. Per certi versi ricorda un altro libro di cui ho parlato qualche tempo fa (Pillole di storia antica del giovane Costantino Andrea De Luca) con la differenza che qui ci si concentra sull’aspetto tecnologico e materiale. La maggior parte degli argomenti non supera le due-tre pagine di esposizione. Quasi sempre, sono sufficienti per fornire una panoramica rapida e dettagliata sulla scoperta/invenzione.
Un’assenza che si fa sentire è la bibliografia. Delle note sotto ogni scoperta/invenzione avrebbero grandemente aiutato per avere qualche indizio, suggerimento o comunque un qualcosa da cui partire per approfondire. Un numero minimo di riferimenti e citazioni sono contenute all’interno dello stesso testo, ma a mio giudizio non sempre sono sufficienti.
Apprezzabile invece è l’approccio non eurocentrico od “occidentale-centrico” visto che sono riportate un buon numero di scoperte ad opera di cinesi (le quattro grandi invenzioni), indiani (la chirurgia plastica) ed arabi (l’algebra). Leggevo critiche in inglese per un eccesso di scoperte europee-occidentali sulle altre, ma posso assicurare che questo è assolutamente falso.
Il libro è diviso in sei parti:
- Vita quotidiana
- Tecnologia meccanica e industriale
- I misteri degli antichi
- Invenzioni militari
- Conoscenze mediche
- Scoperte scientifiche
Il primo è anche il capitolo più “debole”, mentre gli altri traboccano di argomenti, curiosità, scoperte, invenzioni, ritrovati estremamente interessanti. Il terzo, in particolare, è quello con gli elementi più misteriosi, cioè tutti quei ritrovati il cui uso non è chiaro e che quindi sono diventato oggetto di speculazioni.
Non c’è modo migliore di illustrare il libro che riportando un paio di esempi che mi hanno colpito.
La gru
Prima apparizione: Grecia
Anno: VI secolo a.C.Tradizionalmente, la ruota è una delle sei “macchine semplici” elencate come oggetti antichi da scrittori come Erone di Alessandria. Erano gli strumenti di base che permettevano all’uomo di esercitare una forza superiore a quella che sarebbe riuscito a trovare da solo. Gli altri erano: la leva, il cuneo, il piano inclinato o rampa, la carrucola e la vite (vedi p. 78). Tra questi, la leva e il cuneo erano già in uso dall’Età della pietra, mentre la rampa sicuramente esisteva già quando fu costruita la piramide di Cheope in Egitto (2600 a.C.) e probabilmente veniva usata ancor prima per progetti più semplici.
Tuttavia, spostare oggetti pesanti con un piano inclinato è un metodo poco efficiente che richiede una quantità concentrata di forza lavoro umana; l’invenzione della carrucola è stato un grande passo in avanti. Si pensa che le prime pulegge con corda fossero già in uso in Mesopotamia attorno al 1500 a.C., ma la prima prova certa viene dall’antica Grecia. Archimede (287-212 a.C.) descrive l’uso di una combinazione di carrucole in un paranco. Questo aumentava l’efficienza della puleggia, quindi era necessaria meno forza per sollevare un peso. Blocchi di pietra utilizzati nei templi greci a partire dal VI secolo a.C. presentano segni e fori che indicano l’utilizzo di una gru nel processo di costruzione.
La gru greca più semplice era il trispastos (gru a tre pulegge). Era formata da un braccio (un puntello inclinato fatto con due montanti su cui passava la corda), un verricello (una leva che girava e tirava la corda) e un blocco di tre carrucole. Questo dava il triplo dei vantaggi all’operatore: un solo operaio poteva sollevare fino a centocinquanta chili. Le gru vennero utilizzate per costruzioni imponenti come il Partenone. Per i carichi più pesanti, forse i greci utilizzavano versioni a cinque pulegge (pentaspastos), o persino più complesse, con un meccanismo tre per cinque (polyspastos).
I romani adottarono la gru e la utilizzarono per carichi ancora più gravosi. Alcuni dei blocchi usati per il tempio di Giove a Baalbek, che pesano fino a cento tonnellate, sono stati portati a un’altezza di circa diciannove metri, il che di sicuro ha richiesto un macchinario molto più alto.

L’acciaio Damasco
Luogo della creazione: Damasco (Siria)
Anno: 300 d.C.Uno degli esempi più antichi della nanotecnologia antica è l’acciaio damasco, fabbricato in Medio Oriente tra il 300 e il 1700. Le armi costruite con esso possedevano una resistenza straordinaria, erano infrangibili e affilate a livelli impareggiabili nell’era che precede la rivoluzione industriale. Le conoscenze necessarie alla sua forgiatura andarono perdute dopo il XVIII secolo. Solo di recente alcuni scienziati sono riusciti ad analizzare il metallo al microscopio.
Peter Paufler, cristallografo dell’università di Dresda, ha scoperto che possiede una microstruttura detta “a nanotubi di carburo”. Sono cannule o cavi molto resistenti fatti di carbonio che si estendono fino alla superficie del metallo. La ricerca ha identificato numerose sostanze presenti in quantità microscopiche, che probabilmente sono alla base delle reazioni chimiche responsabili dei nanotubi. Comprendevano: corteccia di Senna auriculata, cromo, asclepiade, vanadio, manganese, nickel, cobalto e alcuni elementi non ancora identificati. È possibile che l’ingrediente fondamentale fosse proprio uno di questi ultimi e che il segreto dell’acciaio sia caduto nell’oblio una volta che i minatori ne hanno esaurito le scorte.
Quindi, anche se lo studio di Paufler ci ha rivelato molto sul processo di produzione dell’acciaio damasco, ancora non sappiamo tutto e probabilmente non lo sapremo mai.
Se cercate altre immagini, attenti ai coltelli moderni venduti con il nome di “acciaio damasco”: probabilmente è meglio limitarsi alle foto dei musei che identificano una spada o altra arma fatte con questo materiale.

Il libro quindi è un buon elenco di curiosità, molto amplio ed efficace, senza fronzoli, ma non va oltre questo. Anche l’introduzione e la postfazione non si spingono oltre brevi riflessioni.
Per finire, consiglio il libro a tutti gli appassionati di storia e anche agli aspiranti scrittori di romanzi storici: le curiosità contenute, infatti, sono ottimi elementi per caratterizzare in modo interessante la trama di un romanzo.
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Il libro sul sito ufficiale della Newton Compton Editori.
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