Dal risvolto di copertina: Che cos’è la guerra? Il semplice “proseguimento della politica con altri mezzi”, come riteneva l’illuminista barone von Clausewitz, oppure una necessità profonda e oscura, legata a quell’irrazionale istinto di morte cui Freud condanna la specie umana?
La grande storia della guerra di John Keegan non è un semplice saggio di storia militare. La narrazione e la ricostruzione di battaglie non occupano la parte centrale di questo libro. E’ invece un’opera multidisciplinare in cui si fa ricorso ad un ampio spettro di conoscenze, fonti, studi: dall’economia all’antropologia, dalla psicologia alla geografia. Obiettivo: esplorare ogni aspetto con cui la guerra si è manifestata e studiare le possibili cause della sua origine.
L’opera è lunga (ma non lunghissima) ed estremamente densa di informazioni, teorie, fatti; pertanto suddivido l’articolo in ben 5 parti (!), tante quanti sono i capitoli del libro:
- La guerra nella storia dell’uomo.
- La pietra.
- La carne.
- Il ferro.
- Il fuoco.
Questi articolo sono quindi riassunti del libro con, di tanto in tanto, un mio commento o una mia opinione.
Qui ho trattato del primo capitolo.
LA PIETRA
Perchè gli uomini combattono?
L’uomo è violento per natura oppure il suo potenziale di violenza – che non può essere messo in discussione, se non altro perchè l’uomo può tirare calci e mordere – si traduce in atto per l’intervento di fattori materiali?
Su questa differenza si dividono sociologi e antropologi. I materialisti propendono per la seconda. Sulla intrinseca violenza dell’uomo, invece, credono i naturalisti; che a loro volta si dividono in due posizioni. Una minoranza, di ispirazione religiosa cristiana, vede la violenza come proveniente dal peccato originale; la maggioranza invece considera il comportamento violento come un’aberrazione di individui degeneri da una norma pacifica. Se si potessero eliminare le molle della violenza l’umanità sarebbe pacifica e la guerra diventerebbe solo un ricordo.
Da questa posizione è venuta fuori un incontro all’università di Siviglia del maggio 1986, sotto il patrocinio dell’UNESCO, la cui dichiarazione finale condanna fermamente la tesi della natura violenta dell’uomo. L’eventuale successo di questa tesi significherebbe che l’uomo è avviato verso un futuro pacifico e cooperativo. La guerra diventerebbe presto studio dell’archeologia, studio del passato.
Riporto le cinque affermazioni di quell’incontro:
- E’ scientificamente scorretto dire che noi abbiamo ereditato una tendenza a fare la guerra dai nostri antenati animali.
- E’ scientificamente scorretto dire che la guerra, o qualsiasi comportamento violento, sia geneticamente programmato nella natura umana.
- E’ scientificamente scorretto dire che nel corso dell’evoluzione umana c’è stata una selezione del comportamento aggressivo più che di altri tipi di comportamento.
- E’ scientificamente scorretto dire che gli esseri umani hanno un “cervello violento”. Il cervello fa parte del nostro corpo come le gambe e le mani, possono essere tutti usati per la cooperazione come per la violenza.
- E’ scientificamente scorretto dire che la guerra è causata dall’istinto o da qualsiasi altri singola motivazione.
Personalmente, questo breve capitolo mi ha colto totalmente impreparato. Davo per scontato che anche gli esperti del settore considerassero l’uomo come intrinsecamente violento e come certe leggi sulla storia vista come ascesa, scontro e caduta di elitè, enunciate da Pareto e Mosca, fossero universalmente accettate. La mia banalissima esperienza di insegnante mi fa vedere come uno studente si comporta in modo radicalmente diverso se fa lezione in classe, cioè in gruppo, o in privato. E se la guerra fosse una caratteristica intrinseca non dell’uomo ma della società? Dove la mia definizione di guerra non è solo il conflitto violento e armato (clausewitziano) ma anche asimmetrico (un embargo che provoca migliaia di morti è più violento di una guerra). Le guerre e certi avvenimenti degli ultimi 25 anni mi fanno pensare che ho ragione.
Ammetto però di non aver mai avuto grande fiducia nei sociologi, quindi magari sbaglio io per un mio pregiudizio.
La guerra e la natura umana
L’approccio è riduzionistico: da quale parte del corpo e del cervello ha origine il comportamento violento? Secondo i neurologi l’aggressività è una funzione del cervello inferiore, suscettibile di controllo da parte del cervello superiore. Le diverse parti del cervello comunicano anche tramite gli ormoni. Il livello di testosterone, nel maschio, è correlato all’aggressività; un suo livello basso, tuttavia, non è correlato alla scarsa aggressività. Molte guardie del corpo, nel corso della storia, sono state composte da eunuchi.
Risultati non migliori, nell’identificare l’origine della violenza, sono stati registrati dai genetisti e dagli studi legati alla teoria dell’evoluzione di Darwin. E’ stata trovata una correlazione tra il maschio con geni XYY e i livelli di aggressività; ma si tratta di eccezioni.
La scienza non può però prevedere quando un dato individuo manifesterà la violenza. Infine, la scienza non spiega perchè gruppi di individui si uniscano per combatterne altri.
La guerra e gli antropologi
Per lungo tempo, gli antropologi si sono rifiutati di riconoscere, nei loro studi, un ruolo importante alla guerra e in generale alla violenza. Gli etologi, al contrario, hanno saputo riconoscere tale ruolo.
Secondo Konrad Lorenz, la guerra nacque nel momento in cui l’uomo, scoprendo le armi, non usò più il meccanismo di sottomissione proprio degli animali quando riconoscono un loro simile superiore e gli cedono il territorio. L’arma distanziò emotivamente l’uomo e gli permise di uccidere con più facilità (tecnica e non). La sovrappopolazione e la lotta per le risorse fu il casus belli.

Gli antropologi, invece, partendo dal dibattito ottocentesco tra “natura e cultura” e forniti del pregiudizio di voler rintracciare società primitive che anticipassero i moderni stati liberali, si fecero fuorviare. Essi si concentrarono quasi esclusivamente sui rapporti di parentela e sulla formazione della famiglia, invece che sulla nascita dello stato.
A questo punto negli studi antropologici si era arrivati a concentrare ogni osservazione delle società sul tentativo di spiegare come esse restino stabili e si perpetuino, a scapito di tutti gli altri angoli visuali.
Come reazione a questo clima, nel 1949 uscì una fondamentale opera di Harry Turney-High, Primitive Warfare.
Era deciso a far capire ai confratelli antropologi il lato oscuro e violento della vita dei popoli che studiavano, il fatto che le armi esibite nelle cerimonie avevano lo scopo di fracassare le ossa e trafiggere la carne, e le conseguenze letali dell’interruzione di quei meccanismi di scambio con cui si presumeva mantenessero in perpetuo equilibrio i loro sistemi di parentela.
Turney-High descrisse con dovizia di particolare la violenza – tortura dei prigionieri, cannibalismo, scotennamento, caccia di teste, sventramento rituale – nelle società di ogni angolo del pianeta: Polinesia, Rio delle Amazzoni, Zululand, America delle pianure, Africa Occidentale.
Egli definì anche il cosidetto “orizzonte militare” al di sotto del quale la violenza è endemica ma non organizzata, mentre lo è al di sopra. La formazione di stati e di eserciti è un altro indizio del superamento dell’orizzonte militare. Le idee di Turney-High sono state quanto mai feconde per l’antropologia della guerra.
Alcuni popoli primitivi e la loro guerra
Keegan riporta quattro esempi per illustrare la guerra secondo i primitivi: gli yanomano, i maring, i maori e gli aztechi. Approfondisco proprio quest’ultimo.
I popoli pre-colombiani sono stati caratterizzati da violenze e brutalità difficilmente riscontrabili altrove. I resoconti dei missionari gesuiti presso le popolazioni native americane ci raccontano di orrori senza fine, come nel famoso caso di un prigioniero seneca (un popolo nativo americano) nel 1637. Tali orrori sono incomprensibili se non si comprende il substrato mitico e religioso degli huroni. Questo è l’approccio per capire la guerra presso gli aztechi.
Il sacrificio umano era una necessità religiosa, la guerra lo strumento principale per ottenere vittime sacrificali e gli stessi prigionieri di guerra, al pari dell’eroico seneca, fedeli complici del culto che richiedeva la loro prolungata agonia prima della morte.
C’è un aspetto straordinario della civiltà azteca. L’autolimitazione che essi imposero alle proprie capacità belliche. Pur essendo straordinari orefici, non scoprirono mai l’uso del bronzo e del ferro. L’arma da mischia principale era una spada di legno costellata di pezzi di ossidiana lungo il filo; un’arma per ferire e non per uccidere. Scopo del guerriero azteco era sferrare un colpo alle gambe dell’avversario, così da poterlo catturare con facilità. Ovviamente, questo nel momento di massima espansione della civiltà azteca. Nella fase di ascesa, la guerra era di tipo “normale.”
L’esercito, come la società, era fortemente gerarchizzato secondo l’esperienza e il rango del guerriero. Nella mischia, ognuno cercava un avversario di rango simile o poco superiore al suo. Un esempio noto è quando, durante la repressione della rivolta huaxtechi, gli aztechi condussero 20mila prigionieri nella loro capitale.
Ancor più significativa è la cosiddetta “battaglia del fiore” o “fiorita”, un tipo di guerra combattuta tra gli aztechi e gli altri vicini di lingua nahuatl con lo specifico scopo di fare prigionieri di massimo rango per la morte sacrificale nella festa di Tlacaxipeaualiztli (o anche “festa dell’uomo scorticato”, trovate tutti i particolari in questo articolo di Riccardo Mardegan).
In sostanza, la guerra azteca non era prosecuzione della politica con altri mezzi: non vi erano stati rivali da sottomettere, ma solo prigionieri da catturare per avere un flusso ininterrotto di vittime sacrificali. Un qualsiasi approccio di tipo moderno alla storia e all’arte della guerra azteca è destinato a fallire nell’incomprensione.

Gli inizi della guerra
E’ molto difficile rispondere alla domanda esiste una guerra preistorica? L’Australopithecus portava il cibo dal posto in cui lo trovava a quello in cui lo mangiava, costruiva ripari e forgiò il primo utensile. Con l’Homo Erectus si ha la probabile nascita del nucleo familiare: i neonati Erectus hanno bisogno di tempi lunghi di crescita e sviluppo perchè dotati di un cervello più grande che in passato. La donna, che lo cresceva, aveva bisogno di riparo e assistenza in tutta questa lunga fase.
Gli scheletri dell’epoca ci dicono che l’uomo primitivo era un cacciatore coraggioso e abile che si procacciava il cibo in condizioni estreme. L’uomo, in questa fase, possedeva ancora molte caratteristiche animali: sensi sviluppati, azione rapida e risoluta, elevata resistenza fisica. Tutte cose che oggi i moderni addestramenti militari cercano di far riemergere nelle reclute.
Non esistono prove risolutive che l’uomo del Paleolitico cacciasse e uccidesse deliberatamente, in scontri organizzati tra tribù e piccoli gruppi, gli altri uomini: i graffiti rupestri possono essere interpretati in molti modi differenti. E’ con il Neolitico che si realizza una scoperta fondamentale: l’arco. Quest’arma, la prima macchina della storia, trasformò il rapporto tra l’uomo e l’animale e quello tra uomo e uomo. Non bisognava più avvicinarsi a contatto con la preda per ucciderla. Una nuova dimensione morale investì l’uomo: si poteva uccidere da lontano. L’arte del Neolitico è la prima a mostrarci gruppi di arcieri in lotta tra di loro.
Il cosidetto Sito 117, in Egitto, è uno dei ritrovamenti più importanti: 59 scheletri morti in modo violento, probabilmente nello stesso momento, maschi e femmine in eguali proporzioni. Con tutta probabilità, i morti di uno scontro tra bande per il controllo di un territorio di caccia. Senza dubbio, i cambiamenti climatici (che resero l’attuale zona del Sahara un deserto) furono gli indiretti responsabili della strage. Tuttavia questo e altri esempi non sono sufficienti per definire “guerra” le azioni di questi nostri lontani progenitori. Combattevano con incursioni e scorrerie e non esisteva, probabilmente, una classe di guerrieri distinguibile dal resto del gruppo. Usando la definizione di Turney-High, erano al di sotto dell’orizzonte militare.

Esiste tuttavia una differente interpretazione per il Sito 117: non una lotta tra cacciatori, ma una lotta tra un gruppo di cacciatori e uno di “raccoglitori-allevatori”, ovvero quanto di più vicino esistesse all’epoca ai successivi agricoltori, stanziali veri e propri.
L’affermazione dell’agricoltura, nel periodo compreso tra il 10000 a.C. e il 3000 a.C., fu lenta ma definitiva e rivoluzionò ogni cosa. I due principali siti di questo periodo sono Çatal Hüyük in Turchia e Gerico: due vere e proprie città, abitate da migliaia di persone, che implicavano commercio, organizzazione e stratificazione sociale e, soprattutto, un senso di appartenenza alla città. Le case esterne di Çatal Hüyük sono disposte in modo da rivolgere un fronte compatto verso l’esterno: una protezione contro scorrerie e predoni occasionali, ma non contro attività militari vere e proprie. Gerico è ad un livello superiore: possiede un muro vero, cioè una struttura adibita proprio a questo scopo, lunga 600 metri, spesso tre e altro quattro, innumerevoli torri e altri accorgimenti difensivi.
La guerra sorse dunque prima della comparsa dei grandi imperi. E’ vero che all’epoca la Terra era spopolata e ovunque c’erano territori liberi; eppure le colture dell’epoca erano così misere (e il trasporto del bottino difficile) che in quei pochi posti produttivi sorse la guerra.
La rapina, in particolare quella accompagnata da violenza, giustifica i rischi che comporta solo se il ricavato ha una struttura compatta e un alto valore intrinseco.
Cioè vale per le scorte di cibo accumulate dagli agricoltori in magazzini. Una delle poche regioni del mondo che, a quell’epoca, produceva scorte extra di cibo era la Mesopotamia. Ed è proprio qui che i sumeri lasciarono le prime indicazioni scritte sulla guerra.
Guerra e civilizzazione
I sumeri, come gli aztechi, pervennero alla civiltà entro i limiti di una tecnologia della pietra. A gettare le basi del loro modo di fare la guerra, sia come difensori sia come aggressori, non furono però i loro utensili bensì la capacità di organizzarsi.
Quando gli uomini occuparono la pianura alluvionale dell’attuale Iraq, l’elevata disponibilità d’acqua obbligò questi uomini a collaborare tra di loro. Questo portò ad un modello di sviluppo completamente diverso dai primi europei impegnati nel disboscamento delle foreste per ottenere nuova terra coltivabile. Prosciugare gli acquitrini e irrigare la terra secca, invece, richiedeva un lavoro costante e da svolgersi ogni anno.
Le prime città-stato sumere nacquero come teocrazie, in cui i re-sacerdoti regolavano i lavori e intercedevano presso le divinità per ottenere una piena del fiume adatta. I templi divennero centri amministrativi e commerciali e la scrittura nacque per registrare i prodotti agricoli.
I sumeri però non erano fortunati geograficamente. La pianura mesopotamica era infatti esposta ad invasioni dal nord e da est, dalle cui montagne gli invasori potevano dominare la pianura sottostante. I re-sacerdoti furono presti sostituiti da condottieri. La necessità della difesa obbligò i re-condottieri a mantenere eserciti stabili: una caratteristica fondamentale della guerra. Questi popoli erano al di sopra dell’orizzonte militare.
Più fortunato fu l’Egitto. La sua favorevole posizione geografica lo mise per lungo tempo al riparo da invasioni straniere. Questo e la scarsità di metalli risparmiarono, per molti secoli, gli orrori della guerra. L’armamento dell’esercito egizio, infatti, si mantiene estremamente arretrato fino alle prime invasioni degli Hyksos. Solo con il Nuovo Regno è attestato un esercito stabile. Addirittura, è possibile (non certo) che la guerra fosse del tutto assente nell’Antico Regno e che fosse invece diffusa una guerra “rituale”, quando diversi contendenti reclamavano il trono.
Il periodo del Collasso dell’età del Bronzo vide la fine di queste civiltà a causa dell’arrivo di popoli dotati di una tecnologia superiore: il carro da guerra, di cui parleremo nella terza parte di questo lungo riassunto de La grande storia della guerra di John Keegan.
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Fine del I secolo d.C. L’imperatore Domiziano, che si fa chiamare con l’appellativo di “dominus et deus”, annuncia la sua visita in una città del nord Italia. Per festeggiare l’evento, ordina che siano preparati in suo onore dei giochi tra gladiatori. Il nobile Gaio Valerio, organizzatore dei giochi, deve soddisfare la volontà dell’imperatore di veder combattere una gladiatrice. La prescelta è Eilis, schiava di origini britanniche che nell’arena si è guadagnata il soprannome di Fenice. Le richieste imperiali però non si fermano qui…
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