[LA GLADIATRICE] I prezzi dei Giochi

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Oggi parliamo di soldi. Quanto costava una giornata di Giochi nell’arena? Quanto ricevevano i gladiatori per ogni combattimento? Risponderemo a queste ed altre domande. Ricordo sempre che la mia principale fonte è Un giorno al Colosseo. Il mondo dei gladiatori, edito da Laterza, dell’accademico olandese Fik Meijer.

Il reperto archeologico fondamentale per trattare di questo tema è il cosidetto “Bronzo di Italica” o Aes Italicense. E’ una lastra di bronzo su cui è inciso un dibattito svoltosi in Senato negli ultimi anni del regno di Marco Aurelio, tra il 177 e il 180. L’imperatore aveva decretato una pesante tassa del 25-30% sui profitti dei lanisti e degli organizzatori. Un senatore rispose proponendo un tetto di spesa agli organizzatori. La motivazione della legge era chiara: in un momento di difficoltà per l’impero (colpito dalla peste e invaso dai barbari) si volevano limitare le spese in questi spettacoli.

Il testo (riferimento CIL II, 6728)  è estremamente preciso sulle tariffe. Esistono quattro categorie di gladiatori il cui prezzo dipende dalla grandezza dello spettacolo (misurata in sesterzi spesi) in cui sono coinvolti. Un gladiatore di qualsiasi categoria costa di meno se coinvolto in un piccolo spettacolo. Un altro obbligo importante: metà dei gladiatori totali dovevano essere gregarii, cioè della categoria più bassa.

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Il senatoconsulto del regno di Marco Aurelio fissava i prezzi dei gladiatori in base alla loro categoria e allo spettacolo.

I giochi gladiatori erano i più costosi in assoluti. Difatti si tenevano in media quattro o cinque volte l’anno. Al contrario le corse nell’ippodromo erano molto più frequenti: si potevano svolgere anche ventiquattro corse al giorno per più giorni consecutivi.

Perchè si organizzavano i giochi? Per prestigio, anzitutto. La società romana aveva sempre condannato moralmente l’accumulo di denaro: banchetti, giochi e altre spese erano un modo socialmente accettato per “ridistribuire” le ricchezze accumulate. Anche la costruzione di edifici pubblici rientra in questo atteggiamento. L’imperatore, in quanto signore assoluto, doveva spendere più di tutti.

Esisteva anche un altro modo, più rapido, per accattivarsi la folla: far distribuire cibo, regali o direttamente denaro al pubblico. Molti imperatori ricorsero a questo espediente. Così Cassio Dione racconta a proposito di Tito (Storia Romana, libro LXVI, 25,4-5, traduzione di Alessandro Stroppa):

Questi spettacoli, offerti pubblicamente, continuarono per cento giorni, mentre [Tito] fornì alcuni doni che recavano loro anche qualche utilità: dall’alto gettava nel teatro delle piccole sfere di legno che portavano un’iscrizione, alcune indicanti un dono in viveri, altre in vestiario, altre ancora un oggetto d’argento, certe altre d’oro, oppure cavalli, bestie da soma, animali da pascolo, schiavi, e alcuni che se ne impadronivano dovevano portarle agli addetti alla distribuzione di quei [doni] ed aggiudicarsi ciò che vi era iscritto.

Nel romanzo non mi occupo in dettaglio delle tariffe dello spettacolo che il protagonista Gaio Valerio deve organizzare per soddisfare la volontà di Domiziano. C’è però una scena, quando Domiziano fa il suo maestoso ingresso in città, in cui la distribuzione di cibo e doni ricorda quanto accadeva usualmente nel Colosseo. La richiesta dell’imperatore è chiara: vuole che a combattere sia una donna, non una qualsiasi ovviamente. La nostra protagonista Eilis detta Fenice è una gladiatrice di prima categoria. Sarà proprio questo a… metterla in pericolo.

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Il nostro lanista poteva non essere bravo a fare i conti, ma realizzava lo stesso un sacco di guadagni. Illustrazione di Angus McBride.

Invece, i guadagni della nostra Fenice sono molto importanti perchè costituiscono tutto il suo mondo. Passiamo quindi ai singoli gladiatori. I loro guadagni erano assolutamente scarsi. Essendo schiavi del lanista era quest’ultimo a prendersi la quota più importante del premio del vincitore. Soltanto i migliori potevano accampare pretese più grandi. Così scrive Fik Meijer:

Solo un numero ristretto di schiavi gladiatori era in grado di pagarsi la propria libertà con i soldi guadagnati, quindi sposarsi e condurre una vita discretamente agiata al di fuori della scuola. Erano molti più i gladiatori che stipulavano con il lanista un contratto che li obbligava a esibirsi nell’arena anche dopo la loro liberazione.

I gladiatori spesso ricevevano un premio simbolico, come un ramo d’olivo o una corona d’alloro. Più raramente una somma in denaro o un bene pregiato come delle stoffe di lino. Poca roba, insomma, che tuttavia costituiva l’orizzonte di vita del gladiatore. Propongo un estratto dal romanzo: la nostra Fenice contempla la propria stanza-cella.

Entrò nella sua cella. La più lussuosa di tutta l’ala, se comparata alle altre. Il letto era una tavola di legno rialzata da un paio di sgabelli. Il materasso era imbottito di  paglia. Qualche volta veniva risvegliata dallo zampettare sulla pelle di un insetto. Però aveva un vero cuscino di stoffa e imbottito di piume. In un angolo, un vaso da notte e una spugna. In una nicchia della parete, una statuina di pietra non più grande del suo pugno raffigurava Marte con tratti rozzi e squadrati. Quella
divinità non l’aveva convinta: troppo romana per i suoi gusti. Perché non era una donna? In Britannia c’era Andrasta, dea guerriera il cui nome è vittoria. Una volta effettuato il giuramento gladiatorio e sopravvissuta al suo primo scontro, aveva rivalutato Marte. Gli parlava ogni tanto e faceva piccole offerte di
vino. Vi si era affezionata, quasi.
Su una cassapanca vi erano un paio di candele, un pettine e una bacinella d’acqua fresca. All’interno, i suoi oggetti più preziosi: quattro tuniche di lino pregiato che aveva vinto in altrettanti scontri e un sacchetto contenente una manciata di monete
d’oro. Una bella cifra ma ancora lontana da quella necessaria per comprarsi la libertà.

Un premio misero per aver messo in gioco la propria vita. Gli aurighi nell’ippodromo guadagnavano molto di più. Ho provato ad immaginare questi uomini e queste donne, ridotti in una condizione così difficile come era quella dei gladiatori, avere le proprie paure, le proprie speranze e le proprie ambizioni. Spero di aver reso bene tutte queste emozioni nel romanzo. Come tutte le persone, anche i gladiatori, pur essendo schiavi per la società, avevano una propria dignità.
Per scoprire se ci sono riuscito, non ti resta che leggere il mio romanzo!


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Ho scritto un romanzo!

Copertina

Fine del I secolo d.C. L’imperatore Domiziano, che si fa chiamare con l’appellativo di “dominus et deus”, annuncia la sua visita in una città del nord Italia. Per festeggiare l’evento, ordina che siano preparati in suo onore dei giochi tra gladiatori. Il nobile Gaio Valerio, organizzatore dei giochi, deve soddisfare la volontà dell’imperatore di veder combattere una gladiatrice. La prescelta è Eilis, schiava di origini britanniche che nell’arena si è guadagnata il soprannome di Fenice. Le richieste imperiali però non si fermano qui…

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