[STORIA] I catafratti bizantini nell’epoca d’oro dell’impero

Illustrazione in copertina tratta da qui

L’immagine del cavaliere interamente ricoperto dalla corazza lamellare, due fessure nere come occhi, la lancia che spunta verso l’alto, sopra un cavallo anch’esso pesantemente bardato è associata in modo inestricabile all’impero bizantino, come se esso avesse fatto parte dell’esercito imperiale lungo tutto l’arco della sua storia millenaria.

Non è così. I catafratti, intesi nel senso prettamente moderno di “cavalieri interamente ricoperti dall’armatura” furono utilizzati solo nel tardo periodo romano (IV-V secolo d.C.)  e in seguito nel periodo d’oro dell’impero bizantino (a cavallo tra X e XI secolo), cioè dal regno di Niceforo Foca in poi fino a scomparire, forse, dopo la battaglia di Manzikert (1071). Il tipico cavaliere bizantino dall’epoca di Giustiniano fino ai Comneni (XII secolo), infatti, pur con le dovute differenze ed evoluzioni, era solo parzialmente corazzato e contava su due armi tra loro complementari: l’arco e la lancia. Il kataphraktos di cui voglio parlare qui, invece, avevano compiti e potenzialità differenti.

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Il tipico cavaliere bizantino dal VI al IX secolo, largamente descritto nello Strategikon di Maurizio: un lanciere-arciere veloce, versatile e ispirato ai cavalieri della steppa. Notare la presenza di un fodero per riporre l’arco, che è del tipo composito ricurvo. 

I bizantini, al contrario dei romani, svilupparono un’ottima manualistica militare, che ci viene in soccorso per la descrizione di questi cavalieri. Il testo cui faremo riferimento è quello dei Praecepta militaria, scritto con tutta probabilità dall’imperatore Niceforo Foca stesso (di cui ho parlato qui), colui che reintrodusse i kataphraktoi interamente corazzati.

Diamo prima un inquadramento storico. Ci troviamo alla metà del X secolo. L’impero, dopo essere stato sulla difensiva per tre secoli, scoppia di salute: economicamente e demograficamente è la prima potenza del Mediterraneo. I regni arabi sono divisi. Le legislazioni degli imperatori della dinastia macedone hanno rafforzato la piccola proprietà terriera dei contadini-soldato, i famosi stratiotai, che sono la base della potenza bizantina. Niceforo Foca è il primo imperatore che passa decisamente alla controffensiva (conquistando Creta, Cipro, la Cilicia e Antiochia). L’istituzione dei kataphraktoi può quindi essere vista come lo sforzo di una grande potenza di dotarsi di una “superarma” che i rivali non possono contrastare in campo aperto.

L’esercito bizantino era diviso grossomodo in due: i reggimenti imperiali (tagmata) di stanza a Costantinopoli costituiti da soldati professionisti e mercenari e gli eserciti provinciali dei themata. L’impero bizantino era diviso a livello amministrativo in themata. Ogni thema aveva la sua amministrazione e forniva, in caso di necessità, una consistente leva militare. I kataphraktoi furono inquadrati nell’esercito dei themata. Solo i contadini più ricchi, veri e propri benestanti con decine di servi, potevano permettersi l’armamento da kataphraktos. 

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Un kataphraktos bizantino così come descritto nei Praecepta militaria ma con una importante mancanza: la mazza ferrata. Sul perchè appaia il nome klibanophoros tornerò a fine articolo.

Armamento

Nei Praecepta militaria troviamo la descrizione completa di un kataphraktos. La protezione di base del busto è costituita dal klivanion, una corazza di tipo lamellare. Essa lascia scoperti solo gli avambracci e le gambe sotto il ginocchio. E’ composta da lamelle di metallo fissate su una base di cuoio per mezzo di rivetti. E’ raccomandato ai soldati di indossare, sopra il klivanion, una spessa epilorika (letteralmente “sopra la corazza”) di cotone o lana grezza, che ha il compito di proteggere il metallo dall’umidità.

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Riproduzione moderna di un klivanion bizantino, basato sugli affreschi della chiesa di san Nicola a Castoria, in Grecia. Più informazioni qui.

Gli avambracci sono protetti da lamelle più lunghe di quelle del klivanion unite per avvolgere l’avambraccio (mankellia). Le gambe sotto il ginocchio sono protette da schinieri ampi e lunghi, detti chalkotouba.

La protezione della testa aveva un ruolo fondamentale.Praecepta riportano chiaramente che il kataphractos deve lasciare liberi solo due fessure per gli occhi. Sotto l’elmo di ferro troviamo così due o tre strati di cotta di maglia, detta zabai.

La protezione del cavallo è non meno importante. Una delle differenze principali tra i kataphraktoi di Niceforo e quelli precedenti è l’estensione della protezione dell’animale. L’armatura è fatta di strati di feltro o cuoio bollito occasionalmente rinforzati con lamelle di ferro o di corno. E’ divisa in tre placche: una per il muso, che lascia scoperti solo occhi e orecchie, una per il collo e una più grande per il dorso dell’animale con un buco per la sella. Il petto può essere protetto con pelle di bisonte.

Passiamo all’armamento offensivo. Il cavaliere bizantino tipico descritto nello Strategikon dell’imperatore Maurizio, quattro secoli prima, è essenzialmente un lanciere-arciere in grado di primeggiare sia nello scontro ravvicinato che nel tiro da lontano. I nostri kataphraktoi invece, pur mantenendo una certa varietà di armi offensive, sono specializzati in un compito ben preciso. L’armamento di questi cavalieri ci riserva qualche sorpresa. L’arma principale non è la lancia pesante, ma la mazza ferrata che esiste in due versioni: una pesante, detta sidirorabdia, con tre, quattro o sei angoli affilati, da maneggiare in mischia; altre leggere da lancio dette vardoukion. In alternativa troviamo due tipi di spade: la parameri, sciabola ricurva, e la spathia, lunga e diritta. Non tutti i cavalieri erano armati in modo così pesante. All’interno della formazione trovavano spazio giavellottisti (akontistai) e arcieri (toxotai).

L’assenza esplicita della lancia pesante da carica, da impugnare con due mani, è controversa. Secondo alcuni essa era comunque dotazione obbligatoria di tutti i kataphratoi. Per altri invece era del tutto assente. Non è una differenza da poco. Nel primo caso avremmo una cavalleria che basa la sua potenza sulla carica, quindi sull’urto frontale contro il nemico; nel secondo invece una cavalleria dedita al corpo a corpo (la mazza è più efficace in mischia di una lancia lunga) e al lancio (mazze leggere).

Organizzazione, schieramento e impiego

kataphraktoi erano inquadrati all’interno di unità di 504 o 384 uomini, di cui 150 nel primo caso e 84 nel secondo erano arcieri a cavallo (armati alla leggera con elmo e klivanion). La formazione è descritta con precisione in entrambi i casi. Con 504 cavalieri abbiamo un cuneo triangolare con profondità dodici: 20 uomini in prima fila, 24 in seconda, 28 in terza eccetera fino ai 64 uomini della ultima. Se i cavalieri sono solo 384, allora ne abbiamo 10 in prima, 14 nella seconda e così via. Gli arcieri sono presenti dalla quinta fila in poi, ma non viene specificato se compatti al centro o sparsi tra i ranghi. Da notare che il cuneo, in qualsiasi epoca storica, non ha mai previsto un singolo uomo in prima fila, poi tre, cinque eccetera: verrebbero facilmente uccisi. Il cuneo deve essere immaginato come un triangolo spuntato o un trapezio isoscele, cioè un fronte lungo e compatto che si allarga ai lati.

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Cuneo di 384 cavalieri come descritto da Niceforo nei Praecepta. La posizione degli arcieri a cavallo non è esattamente specificata, se non che devono essere posizionati all’interno, in posizione riparata. K = catafratto, A = arciere a cavallo. Un’alternativa, secondo me, è disporre alternativamente un arciere e un catafratto.

L’unità tattica di base dell’esercito, per ogni reparto, è il bandon, circa cinquanta uomini, che in guerra devono vivere assieme e devono avere legami di sangue o di affinità etnica. In sostanza, l’unità da combattimento è costituita da guerrieri dello stesso tipo; la sinergia è creata quando unità di tipo diverso vengono combinate, sempre a partire dal bandon.

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Non ho trovato l’autore di questo storicamente accurato disegno. Dovrebbe trattarsi, tuttavia, della battaglia di Sirmio (guerre bizantino-ungheresi, anno 1147).

Come venivano schierati i kataphraktoi? Come da tradizione dell’esercito bizantino, il loro uso otteneva effetto massimo se combinato all’impiego di formazioni di cavalleria più leggera, i cosiddetti prokoursatores. Niceforo prescrive che il cuneo dei kataphraktoi sia disposto sempre tra due unità di prokoursatores, ciascuna costituita da 300 a 500 cavalieri, di cui un quinto arcieri. Ne La grande strategia dell’impero bizantino, Edward Luttwak descrive bene la tattica combinata di queste unità.

Il formidabile cuneo triangolare dei kataphraktoi può caricare le formazioni nemiche nella loro disposizione di combattimento, magari riuscendone a scompaginarne i ranghi, gettando nel panico la cavalleria avversaria e spingendola alla fuga, ma solo i veloci prokoursatores possono sfruttare la favorevole situazione che si è creata gettandosi dietro ai nemici, infilandoli con le lance e colpendoli con i fendenti delle loro sciabole. Se poi anche la fanteria nemica si mette a correre, allora i kataphraktoi possono compiere un massacro con le spade e le mazze, ma anche gli arcieri a cavallo possono usare le loro lunghe spade.

E se la fanteria nemica serra i ranghi per resistere alla carica di cavalleria? In questo caso, essa diventa facile bersaglio per gli arcieri nemici: tutte le formazioni di cavalleria bizantina hanno una quota importante, come abbiamo detto, di arcieri a cavallo. Se la formazione nemica è a ranghi serrati, l’arciere non perde tempo a prendere la mira e può scaglia salve con regolarità. Gli archi dell’epoca, soprattutto quelli bizantini, sono mortalmente letali fino ad un centinaio di metri di distanza. Al contrario i kataphraktoi, in virtù del loro armamento pesante, subiscono pochissimi danne dalle frecce nemiche alla stessa distanza.

kataphraktoi in battaglia

Riportiamo un caso in cui l’impiego di questi cavalieri coincise con una grande vittoria bizantina: la conquista di Tarso del 965. Per farlo, ci baseremo sul resoconto di Leone Diacono.

Antefatto. Niceforo Foca guidò l’esercito a Tarso, la principale città della Cilicia che, da quando era caduta in mano agli Arabi sul finire del VII secolo, era diventata la principale base dei raids in territorio imperiale. La città era pesantemente fortificata: una trincea di legno attorno ad un muro di pietra. Il terreno circostante era però pianeggiante, ideale per le truppe a cavallo. Niceforo ordinò di devastare la campagna ed erigere un accampamento di fronte la città. I soldati di Tarso reagirono con arroganza: abbandonarono le mura e si schierarono in campo aperto (mossa non suicida perchè l’alternativa era subire un lungo assedio).

L’imperatore stesso guidò i più forti e robusti soldati fuori dal campo, e dispose i reparti sul campo da battaglia. Schierò davanti i catafratti e ordinò agli arcieri e ai frombolieri di tirare al nemico da dietro. Egli stesso prese posizione sull’ala destra, portando con sé un vasto squadrone di cavalieri, mentre Giovanni, che aveva il soprannome Zimisce ed era onorato con il titolo di dux, combatté sulla sinistra… quando l’imperatore ordinò di suonare la carica, si videro i reparti romani gettarsi nell’azione con incredibile precisione, come se l’intera pianura scintillasse con il bagliore delle loro armature. I soldati di Tarso non poterono resistere a questa carica furiosa; ricacciati indietro dalla spinta delle lance e dai proiettili degli arcieri che tiravano da dietro, essi si volsero immediatamente alla fuga e ingloriosamente si rinchiusero in città, dopo aver perso molti dei loro uomini in questo assalto.

Impossibilitati ad una sortita, gli abitanti di Tarso subirono l’assedio e, costretti ben presto dalla fame, si arresero. Un racconto estremamente interessante che dimostra l’impatto psicologico dei kataphraktoi sul nemico. Resistere alla visione di centinaia di kataphraktoi che avanzano in modo inesorabile non è solo questione di disciplina, saldezza morale e coordinazione tra i reparti; la presenza di arcieri a cavallo, infatti, infligge danni proprio al tipo di formazione (chiusa, ranghi serrati) che potrebbe opporsi ad una cavalleria armata in modo pesante. Notare l’accenno alle lance. Secondo me, è un riferimento alla cavalleria leggera, che aveva il compito di sfruttare la breccia creata dai pesanti kataphraktoi.

Un’altra battaglia in cui i kataphraktoi furono fondamentali è la sconfitta dei Russi nella battaglia (e poi assedio) di Dorostolon, nel 970, ad opera di Giovanni Zimisce, assassino e successore di Niceforo Foca. Uno scontro che pose fine alle mire russe sull’Impero.

kataphraktoi operarono ancora a lungo, ma non c’è consenso tra gli studiosi fino a quando. Probabilmente la crisi che seguì al disastro di Manzikert (1071) colpì anche l’organizzazione e il reclutamento di questi reparti, anche se la presenza di cavalieri corazzati è attestata ancora nell’epoca dei Comneni (a cavallo tra XI e XII secolo).

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Kataphraktoi bizantini alla battaglia di Silistra (970), illustrazione di Giuseppe Rava.

Conclusione

Per sintetizzare, la forza dei kataphraktoi era la loro capacità di rimanere in presenza del nemico grazie al loro armamento pesante così come, azzardo un paragone, un moderno carro armato da battaglia può stare in presenza di semplici truppe di fanteria leggera. La semplice minaccia di una carica era sufficiente a ridurre il nemico in una condizione di inferiorità: se avesse allargato i ranghi, sarebbe stato esposto alla carica; se li avesse serrati, sarebbe finito preda delle frecce degli arcieri a cavallo. Da non sottovalutare è l’effetto di terrore psicologico che una unità di kataphraktoi disposti in cuneo poteva incutere.

Nota finale. Rimangono alcune incertezze in quello che ho trovato tra i diversi autori, quindi ciò che ho scritto è suscettibile di correzione. La prima confusione nasce dall’uso di due diversi termini: kataphraktos klibanophoros. Secondo alcuni autori si tratta di unità distinte, per altri sono la stessa cosa. Alcuni collocano i kataphraktoi solo nei tagmata, i reggimenti professionisti di stanza a Costantinopoli, altri nelle truppe provinciali dei themata. Secondo altri, infine, i klibanophoroi non erano altro che gli inservienti addetti a portare la corazza ai cavalieri (traduzione letterale del loro nome è “portatori di klibanion“). In sostanza, non c’è una visione unitaria su molti aspetti delle unità di kataphraktoi, in parte per la scarsità di fonti letterarie e iconografiche, in parte per la differente interpretazione del materiale a disposizione.

Un fatto rimane però innegabile: con l’imperatore Niceforo ebbe iniziò un grande periodo di conquiste per l’Impero. Ritengo di poter attribuire almeno parte del merito alle sue riforme militari, tra cui la nascita (o rinascita) di questi cavalieri pesanti fu una delle più importanti. Niceforo dedica infatti loro molto spazio nel suo manuale, i Praecepta militaria, e anche nelle leggi riguardanti la tutela dei proprietari terrieri sufficientemente da servire in questi ranghi o armandone uno in loro vece.



BIBLIOGRAFIA
Cataphracts: Knights of the Ancient Eastern Empires, di Erich B. Anderson, Pen&Swords Books Ltd.
Periodic Revival or Continuation of the Ancient Military Tradition? Another Look at the Question of the KATÁFRAKTOI in the Byzantine Army, Michał Wojnowski, Studia Ceranea 2, 2012, p. 195–220.
La grande strategia dell’impero bizantino, Edward N. Luttwak, BUR.
Le grandi battaglie del medioevo, Andrea Frediani, Newton&Compton.
Byzantine Armies 886-1118, Ian Heath e Angus McBride, Osprey Series.
http://www.imperobizantino.it/kataphraktoi-e-kabalarioi/
http://www.imperobizantino.it/lesercito-romano-del-x-e-xi-secolo/
http://www.hellenicarmors.gr/en/armor/klivanion-of-saint-nestor/
https://deremilitari.org/2013/09/the-siege-of-tarsos-in-965-according-to-leo-the-deacon/


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5 pensieri su “[STORIA] I catafratti bizantini nell’epoca d’oro dell’impero

  1. Articolo super!
    Per me che adoro i soldati medioevali è musica per le mie orecchie.
    Conoscevo i cavalieri e la tattica militare, ma non il nome, che non saprei tutt’ora riscrivere o pronunciare.
    Probabilmente questi accorgimenti militari hanno permesso ai bizantini di giocare ad armi pari contro eserciti formidabili che puntavano sulla rapidità e sullo sfinimento del nemico, come i Mongoli e i Tartari.
    Mentre la forza dei numeri ottomana è stata, alla lunga, imbattibile

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