Il bel romanzo Aquile nelle neve di Wallace Breem possiede, oltre alla trama, ai personaggi e all’ambientazione, su cui magari un giorno tornerò, un merito ulteriore: un’introduzione scritta da Steve Pressfield (di cui, mea culpa, ammetto di non aver ancora letto alcunché) in cui viene tratteggiato in modo efficace la finalità del romanzo storico. Per cui in questo articolo non parlerò della nascita del romanzo storico, ma di come esso dovrebbe essere al giorno d’oggi.
Non basta far indossare la toga ad un senatore o la lorica ad un legionario per poter dire che il tale romanzo è ambientato nell’antica Roma. Nemmeno la precisione cronologica nel riportare battaglie, date ed eventi è sufficiente. Scrivere un buon romanzo storico richiede qualcosa di più. Ovviamente, queste considerazioni vanno bene anche per leggere e valutare in modo critico un romanzo storico.
Ecco i principali punti del discorso di Pressfield. Le citazioni sono tratte dall’edizione italiana del romanzo.
Prima ancora di sedersi a scrivere, [lo scrittore di romanzi storici] deve aver padroneggiato il materiale storico: deve conoscere personaggi, fatti, luoghi. Il che è già abbastanza difficile. Oltre a ciò, deve saper ricostruire questo mondo a beneficio del lettore, con un’autenticità tale da trasportarlo in un altro tempo e in un altro luogo, e rendere credibile il tutto.
Il lavoro di documentazione non è alla portata di tutti. Richiede un buon atteggiamento critico, assoluta imparzialità (tantissimi finiscono per “innamorarsi” di un certo periodo storico e quindi “idealizzarlo”) e molto tempo. Cito un esempio personale: tempo fa raccolsi materiale per un romanzetto sull’assedio di Avaricum, condotto da Giulio Cesare durante la campagna di Gallia. Con mia somma sorpresa, scoprì che la ricostruzione moderna più diffusa di quell’assedio era totalmente sbagliata! Quella corretta era diffusa solo in poche riviste accademiche e pochi volumi specializzati.
La documentazione non è sufficiente se non si ha la capacità di far “percepire l’atmosfera storica”. Come detto sopra, non basta una toga per fare un senatore romano! Un senatore aveva un preciso retroterra culturale, sociale ed economico. Aveva compiuto studi particolari. La pressione sociale dell’epoca favoriva alcuni comportamenti e ne inibiva altri. Tutte cose che vanno ricostruite.
Poi deve plasmare personaggi credibili e sfaccettati, e farli muovere all’interno di una trama intrigante, appassionante e fedele all’epoca in cui è ambientata (in altre parole, deve fare tutto ciò che fa un romanziere contemporaneo, però camminando all’indietro e sui tacchi alti…).
Questo problema sembrerebbe meno rilevante. E’ qualcosa che ogni romanziere moderno deve già saper fare; però non è solo questo. I personaggi e la trama devono essere credibili per l’epoca in cui si trovano. E’ un salto mentale molto difficile da fare per un semplice motivo: noi uomini e donne moderni crediamo in altre cose rispetto al passato, spesso radicalmente differenti.
Dopodiché arriva l’ultima fase: dare alla propria storia un sincero fondamento morale, etico o spirituale, cioè far si che realmente “parli di qualcosa”, qualcosa che non sia significativo soltanto per l’epoca storica in cui è ambientata, ma che sia vitale e rilevante per la nostra era…[lo scrittore] non si rivolge al passato solo per creare qualcosa di divertente e pittoresco, ma usa il passato, un passato molto specifico, per gettar luce su un altrettanto specifico presente.
Questo punto mi trova leggermente in disaccordo. Un romanzo storico, per me, può anche essere interamente “rivolto” al passato. Se esso riesce anche a parlare al nostro presente è un bene, un di più che lo fa assurgere al rango di capolavoro, ma non è una condizione necessaria né sufficiente per scrivere un buon romanzo storico.
Le riflessioni di Pressfield sono molto interessanti. Chiunque sia intenzionato a scrivere qualsiasi cosa ambientata in un passato di cui non ha diretto ricordo dovrebbe riflettere su ogni sua parola. Adesso, provo ad aggiungere qualcosa.
A mio giudizio, la questione fondamentale del romanzo storico è l’interazione tra la fedeltà storica (che è necessaria, altrimenti non sarebbe un romanzo storico) e l’intreccio narrativo. Questione molto complessa e ricca di sfumature. Analizziamole.

Se la fedeltà storica prevale sull’intreccio narrativo, il romanzo sarà sostanzialmente poco diverso da un saggio. Un esempio recente è Il guerriero del mare di Giulio Castelli, ambientato durante la prima guerra punica. Moltissimi capitoli del libro non sono altro che un riassunto tratto dalle varie fonti dell’epoca (soprattutto Polibio). Sono capitoli noiosi. Il protagonista, con la sua storia, quasi non vengono citati. Si potrebbero fare altri esempi di prevalenza della fedeltà storica. Molti romanzieri, oggi, sono presi da una sorta di mania antiquaria, che li porta a descrivere con eccessivo dettaglio certi aspetti storici, particolari, dettagli. Il problema è il modo in cui questi dettagli compaiono: spesso in modo arraffazzonato e privo di un ruolo narrativo. La cattedrale del mare è pieno di rigurgiti didascalici in cui l’autore, nel ruolo di narratore onnisciente, racconta fatti storici come se fosse il riassunto di un testo universitario. Io queste lo sopporto perchè sono un maniaco della storia, ma un pubblico generico ha diritto ad essere informato divertendosi (uno dei motivi per cui paga un romanzo storico) altrimenti si rivolgerebbe ad un saggio divulgativo.
Il caso contrario, in cui la trama prevale sull’aspetto storico, è meno pericoloso. Ci sono esempi di buoni romanzi che io non definisco storici ma ad ambientazione storica. Penso alla serie di romanzi di Simon Scarrow dedicati all’accoppiata Catone e Macrone. Ne ho letto parecchi e mi hanno sempre divertito, però hanno un difetto: la storia potrebbe essere ambientata in quasi ogni altra epoca senza troppe modifiche. L’epoca romana (con i suoi valori, i suoi vizi eccetera) non è ben resa. C’è un forte legame virile tra i due protagonisti, avventure, intrighi e ogni sorta di battaglie eccezionalmente descritte; ma non c’è la romanità in quei romanzi.

La soluzione sta nel giusto mezzo. Il romanzo storico deve ridare vita a ciò che è stato e ora non esiste più. Il romanzo storico deve avere come teme un valore o un ideale proprio dell’epoca storica di ambientazione. Questo è il modo più interessante, affascinante e appagante di scrivere.
Supponiamo di voler ambientare la nostra storia nell’antica Roma. In cosa credevano i cittadini romani? Nella pietas, nella gravitas, nella virtus e così via. Si può anche fare una storia che neghi tali valori, ma tale valore sarà sempre presente. Tutto ciò cambierà se la protagonista è una donna, uno schiavo o un barbaro, individui che avevano un ruolo diverso nella società romana da quello del cittadino maschio.
Altre epoche hanno avuto altri valori. Ogni scrittore che sia veramente appassionato di un periodo storico non può esimersi dal conoscerlo a fondo e, tramite il romanzo, dal trasmettere questa sua passione agli altri nel modo più divertente che esista: la lettura.
Buona scrittura!
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