Dopo un articolo tecnico dedicato alla punteggiatura parliamo oggi di un argomento all’apparenza più teorico. La letteratura, avevo detto, ha l’effetto di produrre immagini nella mente del lettore. A questo proposito voglio condividere qualche riflessione sul rapporto tra due forme di comunicare: la parola scritta e il video. Grossomodo, quindi, tra la narrativa e qualsiasi opera sia in forma di video (da un film a uno spot pubblicitario, da un video di YouTube a quello che volete). Scopriremo che una riflessione di questo tipo ci permette di capire qualcosa in più circa la scrittura.
Queste due forme di comunicazione sono molto diverse tra di loro. In narrativa si scrive una frase, un dialogo, una descrizione perché il lettore possa immaginarsi una certa cosa nella sua testa. La parola, quindi, viene usata per evocare (letteralmente) un’immagine. Non c’è molta differenza tra la magia e la letteratura! Con la differenza che quest’ultima esiste e funziona. Quando si va al cinema o si apre YouTube si vedono le immagini che qualcun altro ha preparato per noi. Non ci può essere libertà d’immaginazione. Ognuno ovviamente risponderà con una sensazione diversa alla stessa immagine, ma l’immagine è data dall’esterno, è quella.
La questione, quindi, è sul dove si forma l’immagine. In un riflesso del nostro occhio (quando guardiamo un video) o direttamente nella nostra mente (quando leggiamo)? Io penso che la letteratura (immagine che si forma dentro di noi) sia più efficace del mezzo video (immagine che si forma sull’occhio) nel trasmettere un’emozione o persino un ragionamento. Il motivo è questo: la possibilità di essere noi stessi a formare l’immagine è più soddisfacente che non usare un’immagine esterna. E’ molto più bella creare una meraviglia che limitarsi ad osservarne una! Questo è il potere della letteratura.

Tiriamo le somme di queste belle parole. Come deve essere fatta la descrizione di una persona, di un oggetto, di una città, di un mondo? Se stessimo girando un film, la risposta sarebbe semplice: un attore dalla faccia adatta per il ruolo, un artigiano abile per un oggetto, computer grafica costosa per una città e per un mondo. Ci sono molti mezzi, insomma (non meno importante è l’abilità registica di mostrare certi particolari sotto una certa luce da una certa visuale, ma sempre di immagini preparate e preconfezionate si tratta).
In letteratura no. Abbiamo solo un mezzo per tutte le cose dette sopra: la parola. Dobbiamo quindi usare le parole che evocano “di più” la sensazione che vogliamo dare. Il motivo è ovvio: le nostre parole agiscono nel cervello del lettore. Dobbiamo dargli il progetto di costruzione della meraviglia, cosicché possa godere anche lui della bellezza di creare immagini.
Facciamo un esempio pratico (avevo detto che l’articolo è apparentemente teorico). Vogliamo descrivere una persona che veda per la prima volta un grande monumento come il Colosseo. Scegliamo tre o quattro sensazioni: maestosità, precisione, solidità. Ovviamente, potremmo anche scegliere sensazioni negative. Immaginate un condannato a morte negli spettacoli o un cristiano condannato ai leoni. Avrebbe ben altre sensazioni!

Maestosità. Non basta dire che il Colosseo è “grande e imponente”. Questo è barare con il lettore. Non gli stiamo dando gli strumenti per costruirsi la sua immagine, gli diamo già la sensazione bella e pronta! Questa maestosità da cosa deriva? Dall’altezza e dalle dimensioni del Colosseo. Specifichiamo meglio: quando ci avviciniamo al Colosseo, siamo costretti ad alzare la testa al cielo per vederne la sommità. Oppure: quando siamo al centro dell’arena, le gradinate ci avvolgono da ogni lato, ci circondano e non vediamo una via d’uscita. Ecco, queste sono parole che aiutano il lettore a formarsi da solo un’immagine nella sua testa.
Precisione. Il Colosseo ha tre piani costituiti da una serie di archi in cui c’erano statue, fregi, iscrizioni eccetera. Tutto questo ripetuto per ogni apertura. Un buon modo di descrivere la “precisione” sarebbe quella di descrivere una o due nicchie e dire come esse si ripetano per tutta la struttura. Ancora, ci si può concentrare sulla perfezione geometrica di archi, colonne eccetera. Oppure ricorrere a metafore. La metafora va usata con cautela (potrei dedicargli un altro articolo), perché rischia di allontanare l’attenzione introducendo altre sensazioni. Ci ritornerò.
Solidità. Una grande costruzione di marmo e pietra è ovviamente solida. Se si descrive il Colosseo attuale, si può raccontare come esso sia sopravvissuto a terremoti, invasioni e spoliazioni descrivendo l’effetto nei secoli: una parte intera è mancante, i muri sono pieno dei buchi fatti per rubare il ferro. Eppure è ancora in piedi. Le pietre sono le stesse poste duemila anni fa dai romani!
Questo era solo un esempio. Ognuno può comunicare le sensazioni che vuole, purché lo faccia bene. Un ottimo esercizio è proprio questo: di un qualsiasi oggetto, ambiente, persona ci si deve interrogare su quali sensazioni suscita in noi e sul perché le suscita. Fatto questo, potremo comunicare in modo efficace (letterariamente parlando) la suddetta immagine ad altri.
Approfondirò la descrizione di un oggetto, di una sensazione e di una persona in altri articoli.
Per concludere, una riflessione malinconica. Viviamo nella società dell’immagine. Siamo saturati di immagini. Questo, come già diceva Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane, è un rischio per l’uomo e per la sua immaginazione:
Mi resta da chiarire la parte che in questo golfo fantastico ha l’immaginario indiretto, ossia le immagini che ci vengono fornite dalla cultura, sia essa cultura di massa o altra forma di tradizione. Questa domanda ne porta con sé un’altra: quale sarà il futuro dell’immaginazione individuale in quella che si usa chiamare la “civiltà dell’immagine”? Il potere di evocare immagini in assenza continuerà a svilupparsi in un’umanità sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate? Una volta la memoria visiva d’un individuo era limitata al patrimonio delle sue esperienze dirette e a un repertorio ridotto di immagini riflesse dalla cultura; la possibilità di dar forma a miti personali nasceva dal modo in cui i frammenti di questa memoria si combinavano tra loro in accostamenti inattesi e suggestivi. Oggi siamo bombardati da una tale quantità d’immagini da non sapere più distinguere l’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto per pochi secondo alla televisione. La memoria è ricoperta da strati di frantumi d’immagini come un deposito di spazzatura, dove è sempre difficile che una figura tra le tante riesca ad acquistare rilievo.
Questo scriveva Calvino nei primi anni ’80. Ecco perchè penso che scrivere sia un modo genuino di connettersi a se stessi. E voi cosa ne pensate?
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