
Grecia, V secolo avanti Cristo: non c’è posto per un bambino storpio in una famiglia spartana, così Talos viene abbandonato in fasce e salvato da un vecchio pastore che gli insegnerà ad opporsi a un destino già assegnato. Il coraggio e l’ostinazione faranno di lui un arciere abile e possente, al servizio del prepotente ma intrepido Brithos. Senza sapere che un filo di sangue unisce il loro passato… e il loro futuro. Fino a quando Talos non scoprirà qual è davvero il sentiero del suo destino.
Ancora Valerio Massimo Manfredi, questa volta con Lo scudo di Talos, uno dei suoi primi romanzi. La vicenda è ambientata nella Grecia delle guerre persiane. Il protagonista è Talos che, a causa di un difetto al piede che lo ha reso zoppo, è stato abbandonato dal padre sul monte Taigeto, come imponeva la rigida tradizione dello stato spartano. Come può uno spartiate servire la sua città con una simile menomazione fisica? Talos viene quindi raccolto da un pastore ilota, che lo porta nella sua casa e lo cresce come figlio suo.
Le prime cento pagine sono anche le migliori del romanzo. Assieme a Talos scopriamo la vita materialmente povera e moralmente sottomessa degli iloti. In questo quadro di dura sopravvivenza (ben esplicato dalla descrizione della krypteia, una sorta di polizia segreta che terrorizzava la ben più numerosa popolazione ilota), viene efficacemente preparato quello che sarà il conflitto interiore del protagonista nel corso del romanzo. Da un lato, l’uomo che lo ha adottato come suo nipote, Kritolaos, vorrebbe fare di Talos lo strumento della rivalsa degli iloti: gli parla di Ithome, la città dei re abbandonata da generazioni e gli mostra, conservato in uno scrigno, il grande arco di corno dei re micenei, che dominavano prima dell’arrivo dei dori. Dall’altro, Talos si accorge dell’interesse che uno spartiate prima e il figlio di questi prova nei suoi confronti. Si pone domande e cresce inquieto, attratto da entrambi i mondi.
Nelle pagine seguenti il ritmo della narrazione non cala ma la sua efficacia sì. Manfredi infatti ricorre ad ampi riassunti per descrivere gli episodi salienti delle guerre persiane. Episodi importanti come la battaglia delle Termopili e quella di Platea vengono descritte troppo frettolosamente e risolte in poche pagine, un qualcosa che oggi non è più possibile (autori come Scarrow, Sidebottom o anche Guido Cervo dedicano molto più spazio agli episodi militari). Oltre a questo, il vero problema è che le vicende di Talos e degli altri rimangono in penombra o vengono sbrigate con troppa fretta. Mezza paginetta viene dedicata a spiegarci come Talos reagisca alla guerra. Può capitare che anni di vita dei personaggi siano riassunti con poche frasi non molto incisive. Manfredi, in sostanza, non riesce sempre a bilanciare la storia dei suoi personaggi con la Storia ufficiale.
Al di là di questo, comunque, la vicenda rimane godibilissima e l’intreccio è ottimamente svolto fino alla fine. Tutto ciò che viene gettato nelle prime pagine e alcuni enigmi disseminati qua e là trovano piena risposta e compimento nell’epico finale per quanto anch’esso un po’ tirato di fretta).
Passiamo allo stile. Anche qui abbiamo qualche difetto. E’ interessante notare come lo stile di Manfredi da questo romanzo (che è del 1988) ad uno più recente (L’impero dei draghi del 2005 che ho recensito qui) si sia evoluto. Lo Scudo di Talos presenta un uso a volte “stitico” della punteggiatura, ai limiti dell’errore da mancata revisione (approfondirò questo discorso con un esempio in un successivo articolo). L’uso del POV a volte è ballerino. Vi sono però anche pezzi di notevole lirismo, che sono funzionali a calare nell’atmosfera dell’epoca e a circondare i personaggi di un’aura tragica e sublime. Ad esempio, eccome viene descritta una visione di Talos dopo che il nonno Kritolaos gli rivela il passato della sua gente:
E i suoi occhi chiusi videro: una città circondata da bastioni possenti, irta di torri, una città costruita con macigni giganteschi di pietra grigia sulla cima di una montagna desolata, cinta da una nube di polvere…a un tratto si alzava un vento impetuoso che diradava la densa caligine che copriva i campi riarsi e apparivano i guerrieri, gli stessi che aveva visto nella pianura. Erano migliaia, chiusi nelle armature roventi, i volti nascosti dalle celate, avanzavano da tutte le parti salendo in cerchio verso la città che sembrava deserta. Sbucavano dalle rocce, dai cespugli, dalle buche del terreno, come fantasmi , mossi da un rullo di tamburo che giungeva dal nulla. Man mano che avanzavano, le loro file divenivano sempre più serrate, compatte, il loro passo si uniformava, gli scudi, uno contro l’altro, diventavano un muro di bronzo, una tenaglia mostruosa che si chiudeva intorno alla città solitaria e deserta…
Il voto quindi è positivo per merito della trama e di alcuni elementi dello stile. E’ consigliato a tutti gli amanti dei romanzi storici e del periodo greco in particolare; forse gli amanti dei romanzi prettamente militari troveranno scarne certe descrizioni, ma l’epica è ben presente nel racconto e l’intreccio tiene incollati fino all’ultima pagina.
Grazie mille, ho trovato questo commento molto utile e fatto veramente bene!
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Grazie dei complimenti!
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