
Assiria, VII secolo avanti Cristo. Ninive è la splendida e temuta capitale di un vasto impero nel quale convivono sofisticata raffinatezza e primordiale brutalità. Nel grande palazzo reale, dove regna il potente re Sennacherib, Signore dei Quattro Angoli della Terra, i due fratellastri Tiglath Assur e Asarhaddon trascorrono serenamente l’infanzia e l’adolescenza in grande amicizia, comunicandosi i loro piccoli segreti, le speranze e le illusioni. Insieme scoprono la tumultuosa vita della grande città, dalle innumerevoli vie affollate di gente proveniente da tutto il mondo. La loro amicizia viene però incrinata da un’antica profezia, secondo la quale uno dei due è destinato al trono imperiale – e al conseguente matrimonio con un’affascinante principessa – e l’altro a diventare un grande guerriero di leggendario valore.
Iniziamo in grande. “L’Assiro” è stato uno dei romanzi (storico e non) che ho amato di più. Di Nicholas Guild, autore ingiustamente poco conosciuto, avevo già letto “il Macedone”, romanzo sulla giovinezza di Filippo II, re di Macedonia e padre del grande Alessandro. Insomma, affrontavo la mole de “l’Assiro” con un po’ di fiducia, stuzzicato dall’ambientazione mesopotamica. Ogni attesa è stata ampiamente ripagata.
“L’Assiro” è un grande romanzo epico, 650 pagine scritte fitte, narrate in prima persona dal protagonista Tiglath Assur, figlio del potente Sennacherib e di una concubina ionica. Sul dorso della mano porta una macchia rosso sangue a forma di stella che tutti, Tiglath per primo, considerano il segno dell’implacabile Assur, dio degli Assiri.
Se volete battaglie, tradimenti, intrighi, passioni, vendette, profezie e il tutto calato in un contesto per certi versi “barbaro” (gli Assiri, tra eunuchi, massacri e gente fatta bollire viva non andavano tanto per il sottile) e “sensuale” (i personaggi vivono senza dubbio forti passioni in modo totalizzante) questa è l’opera che fa per voi.
Vediamo i punti di forza del romanzo. L’immersione nel periodo storico è perfetta. L’autore non commette l’errore di far parlare e agire personaggi antichi come se fossero moderni; anzi coglie appieno lo spirito con cui in quell’epoca ci si approcciava al divino e più in generale alla vita. Tiglath, lungo tutto il romanzo, è lacerato da un profondissimo travaglio interiore generato dal senso di ineluttabilità con cui vive il l’abisso che si spalanca tra il suo sedu (la profezia che un misterioso veggente gli ha fatto e che altri oracoli e sacerdoti sembrano confermare), e ciò che lui intimamente vorrebbe: ascendere al trono e sposare l’amata principessa.

Un altro pregio è la narrazione in prima persona. Tiglath è un narratore malinconico eppure fiero, sempre dolorosamente consapevole del segno del dio sulla sua mano. Il grande merito di Guild è quello di portarci quindi a ragionare come una persona di quell’epoca. Ciò è narrare la storia ai massimi livelli.
Altro grandissimo pregio è l’aver scelto un’ambientazione poco sfruttata. Greci, Romani ed Egizi hanno goduto di una letteratura molto più vasta; non così la Mesopotamia. Oggi noi siamo affascinati dal tema della caduta di Roma; ebbene ne “l’Assiro” abbiamo un’altra civiltà, più antica di Roma, che pur essendo al culmine della potenza già vede i semi della futura distruzione: i Medi e gli altri popoli della steppa. Nel romanzo sono presenti numerose descrizioni etnografiche (notevole quella sui Medi e su Ahura Mazda) a seguito di campagne militari, anche queste descritte molto bene e, pur costituendo a volte un “di più” rispetto la trama principale, sono importantissime per ricostruire l’ambiente e il contesto dell’epoca.
Per quanto riguarda il dipanarsi dell’intreccio non ci sono momenti di pausa. Gli eventi si susseguono rapidi e l’autore si concentra sulle cose importanti. In un romanzo di 600 e passa pagine che narra anni e anni di vita del protagonista c’era il rischio di ritrovarsi con centinaia di personaggi secondari, invece l’autore mantiene il controllo del timone e si concentra su ciò che è importante. I personaggi principali si evolvono nel corso della lunga narrazione e il Tiglath delle ultime pagine è un personaggio molto diverso dal giovane impetuoso dell’inizio.

La psicologia dei personaggi maschili è approfondita: non si può non sorridere per le stranezze e le manie di un Sennacherib ormai vecchio e decrepito, o per il cambiamento di Asarhaddon, il fratello amato e odiato, travolto da eventi più grandi di lui. I personaggi femminili, invece, risultano meno “tridimensionali”. C’è un certo prevalere della “femme fatale” (che spesso è anche tentatrice e/o crudele): la principessa Esharhamat stessa e la madre di Asarhaddon, Naq’ia. Questo ha però il merito, a mio giudizio, di acuire la sensualità brutale del mondo descritto da Guild.
Passiamo allo stile. La scelta della prima persona, come detto, è eccellente per l’immersione che garantisce. Guild impreziosisce il suo stile alternando diversi registri: l’epico e il realista in primis, con punte di lirismo. Anche questo contribuisce all’immersione storica.
Sono veramente affezionato a questo romanzo. La trama è molto forte così come la domanda che ronza continuamente per cinquecento pagine: cosa farà Tiglath? Accetterà il suo sedu oppure si ribellerà al padre e al fratello? E se questo sedu fosse falso? Non aggiungo altro.
Il finale risolve tali quesiti pur rimanendo aperto…avendo però il letto l’altrettanto mastodontico ed epico seguito, “Ninive”, posso assicurare che la vita di Tiglaht ha una degnissima conclusione.
VOTO: 5 / 5
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