Anno 37 dalla fondazione di Roma: il re Romolo decide di dettare le sue memorie allo scriba fenicio muto Himelqart. Un racconto che parte dall’infanzia del re, vissuta ad Albalonga con il fratello Remo, sotto l’ala protettrice del saggio re Numitore. È proprio quest’ultimo, in punto di morte, a suggerire ai due giovani di lasciare Albalonga per fondare una nuova città su cui regnare insieme. Molti altri giovani si uniscono ai due, quando partono in cerca del luogo prescelto. È l’inizio della storia della più grande città dell’antichità. Una storia fatta di guerre e tradimenti.
Giulio Castelli fonde storia e leggenda per creare un romanzo epico e appassionante, il racconto definitivo della fondazione e dei primi decenni di vita di quella che diventerà la Città Eterna.

Editore: Newton Compton
Pagine: 480
Formato: Cartaceo ed ebook
Il libro sul sito dell’editore
Giulio Castelli non è per me un autore nuovo. In passato lessi e apprezzai la sua opera prima Imperator – L’ultimo eroe di Roma antica, dedicata alla sfortunata figura dell’imperatore Maggioriano, e anche Il guerriero del mare, ambientato nella prima guerra punica, che mi convinse di meno.
Del romanzo di oggi, Un solo re, mi ha attratto l’ambientazione della Roma arcaica e l’interesse per come essa fosse stata resa. Dunque, la prima domanda a cui bisogna rispondere è: l’autore ha saputo restituire il clima culturale e sociale della Roma arcaica? La risposta è un convintissimo sì. La descrizione delle pratiche religiose, con la differenza tra i riti incruenti dei latini e quelli cruenti dei Rasna, cioè gli Etruschi; il forte credo degli uomini nelle divinità definite correttamente, dal punto di vista storico, non dèi ma Numi. Socialmente, Castelli azzecca anche nel dipingere la “mascolinità primitiva” dell’epoca, comprensibile perché molto più vicina alla preistoria che non alla nostra epoca moderna. Le donne sono (quasi) tutte ridotte in condizioni di oggetto, vittime spesso delle attenzioni maschili, così come sono oggetto di scambio e commercio e, nelle guerre, preda. E non poche volte, le donne muovono l’interesse e le azioni degli uomini.
Ho grandemente apprezzato anche l’efficace descrizione dello sviluppo sociale di Roma: da un nucleo di capifamiglia, cioè i seguaci dei due fratelli, assistiamo nel corso delle pagine ad una successiva stratificazione sociale, con l’emergere dei ceti ricchi e possidenti, che l’autore chiama stirpe (traducendo, immagino, il termine gens).

La correttezza storica la ritroviamo anche nell’uso dei termini: gli Etruschi sono Rasna, i Greci definiti Ionii eccetera; lo stesso vale per le divinità, per cui l’autore usa i termini arcaici. Marte, ad esempio, diventa Mamers. In sostanza, per far comprendere il mio apprezzamento verso l’aspetto ricostruttivo del romanzo, dirò questo: da scrittore, se dovessi in futuro scrivere qualcosa ambientato in quest’epoca, prenderò ispirazione da quanto Castelli ha scritto.
Questo è il principale merito del romanzo. Per quanto riguarda, invece, i personaggi e il ritmo narrativo, esprimo qualche perplessità, pur promuovendo nel complesso il romanzo, che ho infatto letto con gusto e interesse. I primi capitoli sono i più interessanti: abbiamo infatti una dialettica molto costruttiva tra Romolo e Remo, ben descritti nelle loro differenze con interessanti sfumature psicologiche, che conferiscono tridimensionalità al loro rapporto, assieme ad alcuni interessanti personaggi secondari: la giovane Aula, al centro di un triangolo amoroso; la matrigna Attia; il vecchio e saggio Numitore. Un difetto è che il “setting” dei primi capitoli viene poi, nella sostanza, rapidamente messo da parte quando i due fratelli, esiliati, fondano Roma e… Romolo ha un ruolo nell’uccisione di Remo (non penso questo si possa considerare spoiler!). Da questo punto in poi, la narrazione si dilata su un vastissimo arco di tempo – decenni – e le vicende di metà romanzo, dove assistiamo alla “evoluzione sentimentale” (o involuzione) di Romolo, mi hanno convinto di meno. Per fortuna, come detto prima, la ricostruzione storica è rimasta brillante e, per me, tale da mantenere interesse nella lettura.

Passiamo allo stile. La narrazione è saldamente, per i primi tre quarti di libro, una prima persona al passato. Il rischio, che si concretizza in effetti alla fine, è una certa “monotonia” di ritmo, che viene evitata quando l’ultimo quarto del romanzo è narrato da un punto di vista esterno a quello di Romolo. D’altra parte, la prima persona permette di raccontare l’evoluzione sociale e culturale della città appena fondata, il che è importante per la storicità del libro.
In definitiva, a chi consiglio il romanzo? Non è un romanzo d’azione dal ritmo rapido e dalla prosa secca, ma sicuramente offre un grande affresco storico ottimamente documentato e che immerge nel “sentire” dell’epoca arcaica di Roma.