[INTERVISTA] Marco Cappelli, la “voce” della Storia d’Italia

Marco Cappelli, 40 anni, è nato in Abruzzo, si è laureato in Bocconi e lavora a Bruxelles nel marketing di un’azienda americana. Ma la sua grande passione da sempre è la storia, che non ha mai smesso di studiare e che lo ha portato a dar vita a un podcast di grande successo con l’ambizione di narrare non solo grandi personaggi ed eventi ma anche l’evoluzione di economia, società e cultura del nostro Paese con un linguaggio diretto e accattivante.

Il 9 novembre del 2020 è arrivato l’annuncio che Storia d’Italia ha vinto il prestigioso premio Best non-English podcast dei Discover podcast awards, uno dei più prestigiosi premi del podcasting mondiale. Si tratta del primo podcast italiano a vincere un premio internazionale.

A luglio del 2020 ha ricevuto una telefonata inaspettata dall’editore del Corriere della Sera – Solferino – che lo invitava a scrivere un libro con loro. Ha scelto di realizzare un saggio sulla “crisi del III secolo”, il periodo trasformativo nel quale l’Impero Romano discese nell’abisso della crisi più buia, per poi trovare le energie per reagire e riemergere, rinnovato e profondamente cambiato. Il libro si intitola Per un pugno di barbari, è uscito a maggio del 2021.

E sarà a breve recensito da Narrare di Storia!


  • Buongiorno Marco, benvenuto a Narrare di Storia. Complimenti anzitutto per il podcast e il libro! Hai per noi qualche aneddoto giovanile su come nacque la passione per la storia? Un libro che ti ha illuminato? Un parente che ti ha introdotto alla materia? O magari un professore?

Grazie a te Vladimiro, è un vero piacere! Non ricordo neanche quando iniziò davvero la mia passione per la storia. Però un episodio lo ricordo. I miei genitori, visto che ero un vero onnivoro nella lettura, mi regalarono una collana di scrittori antichi: forse la ricorderai, erano i libri della Fabbri editore. All’improvviso fui sommerso ogni mese da due-tre libri di autori come Tucidide, Cicerone, Cesare, Erodoto…per me il loro mondo era altrettanto alieno di quello dei libri fantasy che tanto mi appassionavano, e alla fine mi trovai a fantasticare sulla Roma imperiale o della Grecia antica almeno altrettanto quanto sognavo della Terra di Mezzo.

  • Sono curioso, quanto tempo al giorno dedichi alla creazione dei contenuti per il tuo podcast? Io scrivo i miei romanzi con “il favore delle tenebre”…

Anche per me è la notte il tempo ideale! Ho dovuto ahimè tagliare tutto il superfluo: le serie TV, i film, i giochi…in generale una puntata del podcast prende, secondo i miei calcoli, da 12 a 16 ore tra ricerca, scrittura, registrazione ed editing.

  • Quale difficoltà hai incontrato nel processo di documentazione storica? Reperibilità delle fonti (primario o secondarie che siano), inaffidabilità delle stesse, necessità di filtrare una grande quantità di dati?

Sicuramente a volte è difficile trovare le fonti primarie. Di recente, ho dovuto documentarmi su Agazia, Menandro Protettore e Teofilatto Simocatta: trovare una traduzione di questi storici è un’impresa, visto che per me sarebbe troppo complicato leggerli nell’originale greco. La sfida più grande è però andare oltre le fonti primarie: filtrare quello che ci dicono e cercare di intuire quello che non vogliono o non possono dirci. Per questo, leggere le fonti secondarie è indispensabile. Trovo sia inoltre importante stare sempre al passo con la ricerca storica e non affidarsi ai “grandi storici” del passato: spesso ottimi scrittori, ma la cui ricerca è superata.

  • Passiamo al lato tecnico. Il tuo lavoro ti ha aiutato per la creazione e l’espansione del podcast, anche dal punto di vista promozionale e commerciale?

Lavorare nel marketing mi ha abituato ad affrontare l’enorme problema di come far conoscere il proprio lavoro. Sono convinto che, ovviamente, è la qualità di quello che si produce il miglior marketing, ma di solito non basta. Ho quindi usato i social, ad esempio, per integrare quello che andavo producendo in podcast. Ogni giorno posto delle pillole di storia su Facebook e Instagram, relative al periodo che sto coprendo con il podcast. Serve a generare curiosità, allo stesso tempo producendo dei contenuti aggiuntivi e spero interessanti per il pubblico.

  • Capitolo voce. Hai dovuto curare il timbro, la dizione ecc. o eri già “ben impostato” vocalmente?

Il podcast è una continua battaglia con i propri limiti in termini vocali! Ho provato più volte a cambiare il metodo di dizione o le tecniche di registrazione. Credo che continuerò a farlo per sempre! Di solito noi podcaster non amiamo i primissimi episodi perché c’è una curva di apprendimento delle tecniche audio, di registrazione e di vocalizzazione, come per tutto il resto. Detto questo, ho un mio stile sin dal primissimo episodio e spero di essere rimasto al concetto originale, pur sforzandomi di migliorare ad ogni episodio.  

  • Quale è stata, tra le tante puntate del podcast, quella che ti ha divertito di più registrare? Hai qualche aneddoto?

Quelle più divertenti da registrare sono sempre le interviste! Ho intervistato Luigi Gaudio che è un mio precursore in podcast, Matteo Saudino di Barbasophia, Galatea Vaglio, Giuseppe Concilio di Storie Romane: ogni volta, è venuto un bel duetto. Delle puntate prodotte da me, mi viene in mente l’episodio 48, “il ritorno del Re”. Per realizzare il momento importante dell’acclamazione di Teodorico, ho cercato un audio disponibile liberamente del pezzo “Zadok the priest” di Handel, il pezzo che viene utilizzato per l’incoronazione dei reali inglesi e che ha inspirato la musica che sentiamo prima di ogni partita della Champions League. Quando lo ho trovato, e non è stato facile, lo ho montato con la mia voce…ed è parso miracolosamente un’accoppiata perfetta, anche in termini di durata. Sembrava una colonna sonora realizzata appositamente. Ho avuto una sensazione simile per il primo episodio in cui un musicista – il suo nome è Riccardo Santato – ha realizzato per me pro bono una “colonna sonora”: si trattava dell’episodio sulla battaglia dei Campi Catalaunici. Il pezzo aveva una intro dedicata allo schieramento dei Romani, poi un cambio di ritmo per annunciare gli Unni e infine un mescolarsi delle due musiche nella parte finale, nel cuore della battaglia. Alla fine, è esattamente come ho scritto quella parte del podcast. Nello stesso episodio, ho anche realizzato il mio primo “dialogo”, inspirato in parte alla storia di Rohan e Gondor, che a loro volta sono chiaramente inspirati ai Visigoti e ai Romani di Ezio (Theoden è praticamente Teodorico I dei Visigoti). Un episodio a cui sono molto legato!

  • Hai incontrato difficoltà tecniche o di qualche altro tipo nella realizzazione di una delle puntate? Un computer o un pezzo della strumentazione che si rompe, un libro che non riesci a trovare, un impegno di lavoro o familiare improrogabile…

Qualche rogna c’è sempre, ma una è stata davvero una sconfitta. La mia seconda intervista fu con un luminare della storiografia italiana (non LUI), tutto centrato sull’economia del tardo impero. L’intervista fu davvero ottima, salvo il piccolo dettaglio che non registrai nulla. Mi sono sempre vergognato di dirlo al luminare.

  • Quali podcast di lingua inglese a tema storico ti hanno ispirato?

Quello che più mi ha influenzato è “The History of Byzantium” di Robin Pierson: si tratta di un podcast straordinario, realizzato con profondità e ricerca certosina, con una messe di dettagli e da una persona genuinamente in grado di immedesimarsi nel pensiero dei Romani del medioevo. Ho cercato di riprenderne il format: l’andamento cronologico, l’attenzione ai particolari e alla cultura del tempo, la solidità della ricerca. Da “A history of the Papacy and the christian church” e “Pontifacts” ho ripreso una certa attenzione ai temi della storia religiosa, spesso trattata in Italia da un punto di vista religioso. Io ritengo sia importante conoscerla e approfondirla con un punto di vista laico, come fanno questi due podcast. “Revolutions” è invece il podcast che preferisco per l’analisi degli eventi politici e sociali: mi è stato di inspirazione per cercare di andare al di là delle interpretazioni più superficiali degli avvenimenti.

  • Per un pugno di barbari fa iniziare la crisi del III secolo con il regno di Marco Aurelio e Lucio Vero. Ci puoi spiegare il perché? Eppure, stando a Il gladiatore, il malvagio era Commodo!

Perché in realtà si potrebbe iniziare con Augusto! Alla fine, molti dei problemi dell’Impero nel III secolo derivano da come è stato costruito dalle fondamenta. In generale, è vero però che durante il regno di Marco Aurelio abbiamo i primi sintomi e le prime cause della crisi: una è decisamente esogena (la pandemia che passa sotto il nome di “peste Antonina”) ma le guerre marcomanniche e la strisciante svalutazione sono anche frutto delle decisioni del mio omonimo. Nel libro, in generale, ho cercato di distogliere lo sguardo dal comportamento del singolo imperatore, scontando soprattutto i giudizi moralistici degli storici romani. Ancora oggi, siamo abituati a giudicare la storia secondo il pregiudizio cognitivo che passa sotto il nome di “credenza in un mondo giusto”: ovvero i buoni avranno successo, i malvagi saranno puniti dal karma della storia. Il mondo reale, però, non funziona così. Mi interessa molto di più vedere i trend di lungo periodo: a volte pessimi imperatori sovrintendono ad epoche di relativo benessere e sviluppo, a volte è anche vero il contrario.

Settimio Severo: il vero apice dell’impero romano.
  • Nel tuo libro la figura di Diocleziano occupa amplissimo spazio. Delle tante riforme intraprese da questo imperatore, quale fu secondo te la più importante?

Non ho alcun dubbio: la riforma fiscale. Il sistema imperiale romano dell’alto impero si basava su una tassazione che era cresciuta in modo organico, alla bisogna ed episodico. Lo stato romano non tassava in modo sistematico la ricchezza. Diocleziano riuscì a creare il più avanzato sistema fiscale preindustriale, utilizzando un dettagliatissimo censimento, una rinnovata burocrazia e dei metodi di misurazione della tassazione che sono molto ingegnosi. Tutto questo permise, per la prima volta, di creare un budget statale previsionale e raccogliere le tasse in base al budget, non in base alle capacità degli esattori.

Si trattò di un’innovazione magnifica e terribile: nelle giuste mani, permise all’Impero di riprendersi anche militarmente, finanziando l’espansione dell’esercito di Diocleziano e Costantino. Fu invece terribile nelle mani di governanti senza scrupoli, determinati a dissanguare i contribuenti a patto di restare in sella. L’Impero di Giustiniano, due secoli e mezzo dopo, ancora utilizzava questo sistema. In realtà l’Impero Romano medievale continuò ad usarlo almeno fino all’XI secolo.

  • La bibliografia del tuo libro è molto vasta. Quale titolo ci consigli, anche in lingua inglese, per la storia del III secolo?

Incredibilmente in italiano non ho trovato molte opere! Ottimo il libro di S. Williams: “Diocleziano. Un autocrate riformatore”, anche se io ho letto l’origine inglese. Molto interessante anche la biografia di Aureliano “Aurelian and the Third Century” di A. Watson. Per uno sguardo sull’intero periodo consiglio “Imperial Rome AD 193-284: The Critical Century” di C. Ando, “The Roman Empire from Severus to Costantine” di P. Southern e, in francese, “L’Empire romain du IIIeme siècle” di M. Christol.

  • Secondo la tua opinione gli imperatori romani (e in più in generale la élite che comandava) quale consapevolezza avevano dei problemi economici conseguenti la gestione di un grande impero? Erano in grado di maneggiare meccanismi come deflazione, spinta espansiva, moneta fiduciaria ecc.

In generale i Romani avevano una comprensione piuttosto rudimentale dei meccanismi macroeconomici, anche se la loro economia era già piuttosto avanzata per quanto riguarda gli scambi commerciali, il sistema del credito e gli strumenti finanziari. La crisi del III secolo fu una sorta di corso accelerato di macroeconomia, perché tante cose per noi piuttosto basilari – l’inflazione, la svalutazione, la massa monetaria etc. – non erano mai state affrontate davvero dai Romani, che per secoli avevano avuto stabilità monetaria, fin dall’inizio dell’ascesa imperiale della Repubblica. Ricercando il III secolo, mi sono reso conto come – a tentativi, spesso disastrosi – i decisori imperiali giunsero ad una maggiore comprensione dei meccanismi economici di base. Leggendo il libro, credo ci si renderà conto di come gli imperatori e chi li aiutava furono costretti ad apprendere molto rapidamente!

Esemplari di antoniniani emessi da imperatori del III secolo. L’autore segue con dovizia di particolari (e calcoli!) le vicissitudini finanziarie ed economiche dell’impero.
  • Prendendo tutta la storia imperiale, qual è secondo te l’imperatore più sottovalutato dalla critica storica (o meno ricordato dal grande pubblico)? Il mio è Costanzo III, che risistemò le cose dopo il sacco di Roma del 410.

Anche io ho una certa passione per Flavio Costanzo (o Costanzo III). Del trittico dei “generalissimi” occidentali (con Ezio e Stilicone) è il meno noto, anche se è decisamente quello che ebbe maggior successo. L’unico errore? Cedere alla vanagloria, e farsi imperatore.

Al di là di Costanzo III, ho molta stima per Gallieno. Ne parlo a lungo nel libro, ma Gallieno si ritrovò in una situazione disperata: il padre prigioniero dei Persiani, l’occidente e l’oriente in rivolta, una tenue presa sull’Italia. Che da questo sia riuscito a traghettare la barca dello stato ai suoi successori è un mezzo miracolo. Purtroppo fu molto malvisto dalla classe senatoriale, che ne ha lasciato un ritratto di imperatore inconcludente e imbelle. Va detto che la storiografia moderna lo ha da tempo rivalutato: le sue innovazioni nell’esercito e nella classe dirigente sono il vero punto di svolta della crisi del III secolo, anche se i frutti saranno raccolti soprattutto dai suoi successori.

  • Stai scrivendo un seguito di Per un pugno di barbari? Se sì, fino a quale periodo arriverà?

Non ancora! Mi sto concentrando sul podcast, che si sta per avventurare nell’epopea longobarda. Però mi piacerebbe scrivere un seguito a “Per un pugno di barbari”! Ho già in mente di coprire più o meno il periodo che va da Costantino a Giuliano l’Apostata, con magari un proemio per spiegare la storia della Chiesa cristiana dal I al IV secolo d.C.

  • Allunghiamo uno sguardo sul futuro. Il podcast è appena uscito dalla guerra greco-gotica del tempo di Giustiniano. Quale periodo successivo della storia d’Italia non vedi l’ora di narrare?

Da tempo sognavo di narrare le oscurità del periodo alto-medievale: i Longobardi, la conquista araba dell’oriente, la lenta affermazione dell’indipendenza papale, l’ascesa di Venezia. Oltre, non vedo l’ora di narrare le vicende alla base della civiltà europea occidentale: l’alleanza tra Franchi e Papato che porterà al Sacro Romano Impero. Ancora oltre: mi interessano le crociate. Al di là dell’orizzonte medievale non vado, perché per me l’epoca moderna è ancora lontanissima. Ho però una certa passione per il diciassettesimo secolo – il secolo di ferro – e per la prima guerra mondiale.

Ringraziamo Marco per la disponibilità e gli auguriamo altri grandi successi per il futuro!


Recensione di Per un pugno di barbari.

Libro consigliatissimo. L’autore avvia la narrazione della crisi del III secolo dal regno di Marco Aurelio.

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