Sono lieto di presentare il primo articolo della collaborazione di Narrare di Storia con Carlo Cavazzuti, maestro di scherma storica, autore del saggio Gladiatoria e del romanzo storico Jean (di cui ho parlato qui e che presto andrò anche a recensire). Ripercorreremo origine, nascita e genesi del cavaliere medievale. Se è vero che l’uomo ha combattuto a cavallo prima e anche dopo il medioevo, è anche vero che la morale e l’etica che ebbe questa figura nell’epoca di mezzo fu del tutto unica, tanto da differenziarla rispetto agli altri “guerrieri a cavallo.”
L’articolo è già apparso diviso in parti più brevi sulla pagina Facebook del blog, che invito ovviamente a seguire per non perdere niente di ciò che scrivo.
DEL CAVALIERE MEDIEVALE
1. Cavaliere o guerriero a cavallo?
La prima cosa che bisogna chiarire è la differenza tra il guerriero o soldato a cavallo, che già si trova nelle popolazioni germaniche a combattere contro gli eserciti romani, e il Cavaliere che tutti hanno presente grazie a romanzi, saghe e film.
Questa distinzione oltre che essere di tipo puramente etico, è anche una differenza dal punto di vista politico. I vecchi miles o caballarius romani non sono stati altro che la base di partenza di quello che diventò, poi, un ordine militare, sociale e politico.
Dobbiamo quindi dire che utilizzare la parola Cavaliere per i guerrieri a cavallo del IX e X secolo può essere comodo, ma fondamentalmente sbagliato e fuorviante; l’unica cosa che li accomuna con il vero cavaliere è il fatto che entrambi combattessero a cavallo (cosa che spesso un cavaliere del XIII non faceva in battaglia), ma essi mancano dei valori etici, politici e sociali che a breve andremo a illustrare.
Il cavaliere fu un guerriero che, oltre a combattere sulla sella del suo destriero, aveva anche una propria etica, una mentalità che sarebbero poi sbocciate in una vasta cultura che avrebbe ispirato letterati, filosofi e signori del loro tempo tanto da far sì che oggi noi possiamo veramente chiederci se la domanda che si pose Perceval alla vista del suo primo cavaliere: «Sei tu Dio?» non sia il vero perno della questione.

I cavalieri furono per il vero una sorta di dei di una supposta e mai esistita religione?
La posizione del cavaliere medioevale è assai complessa: egli ereditò dai suoi “avi” romani la posizione sociale di un mecenate e il potere politico della guardia pretoriana. Questo anche se le sue origini furono barbare, e i suoi ideali, nati dai secoli di anarchia tra la caduta dell’impero d’occidente e l’ascesa della dinastia carolingia furono in netto disaccordo con l’ordine delle cose romano.
La cavalleria fu usata da molti eserciti ben prima del Medioevo, ma mai si sviluppò come élite; fu solo con l’arrivo dei Goti che il guerriero a cavallo assunse un ruolo di rilievo, in quanto il loro principali nemici erano nomadi e il popolo goto abbisognava della velocità e prontezza dei guerrieri a cavallo per inseguire e attaccare gli assalitori. Anche se inizialmente utilizzarono i cavalli solo come puro mezzo di trasporto e scendevano da essi per combattere, con il tempo (IV secolo) essi si convinsero che fosse più onorabile una vittoria o un duello in sella e così continuarono a sviluppare le loro forme belliche sempre in più stretta relazione con il cavallo.
Anche se può sembrare un inizio di ciò che cerchiamo, bisogna dire che fino all’avvento degli Unni la cavalleria come reparto militare si diffuse solo nelle terre d’oriente. Solo i Visigoti, i Franchi e i Longobardi furono cavalleggeri efficienti tra le popolazioni occidentali.
Il problema della cavalleria militare in occidente fu quello che mancava di mobilità e forza d’urto necessari a farsi valere contro le numerose schiere di fanti che abitualmente prendevano il campo in una battaglia del IV o V secolo.
Questo si risolse grazie all’invenzione delle staffe, apparse per la prima volta nella Cina del V secolo; esse permettevano al cavaliere di essere più saldo sulla sella e muoversi con più disinvoltura senza il pensiero di una rovinosa caduta a un movimento sbagliato o sbilanciandosi nell’uso delle proprie armi. Ci vollero secoli perché il loro uso si diffondesse oltre i confini della Cina, tanto che solo nel VII secolo si hanno tracce di esse in Europa.

2. Si intravede la nascita della cavalleria
Negli anni che precedettero l’ascesa dei carolingi, vere e proprie battaglie campali erano pressoché dimenticate ed esisteva solo una forma alquanto arcaica di assedi. La forma di guerra più diffusa erano le scaramucce locali in cui truppe stanziali combattevano a piedi con faziosi altrettanto locali; questo era dovuto al fatto che non vi era necessità di guerre ad ampio raggio, ma soprattutto perché il trasporto dei materiali e degli eserciti era costoso e solo pochissimi uomini facoltosi potevano permetterselo.
Fu solo con l’avvento di Carlo Magno che la guerra prese un aspetto diverso: egli, infatti, abbisognava di truppe scelte che potessero muoversi lungo tutto l’impero ed essere richiamate nei luoghi dove vi era necessità in ogni momento. La cosa si rese possibile grazie all’ormai rinsaldata economia e alla formazione di una classe di combattenti semiprofessionisti che si potevano permettere di abbandonare le proprie terre, in quanto queste coltivate da schiavi o da contadini al loro servizio.
La guerra quindi divenne non solo il mezzo per difendere i propri territori, ma, come era stato con Roma, tornò ad essere guerra di conquista ed espansione. Per rimanere legati ai Romani aggiungiamo subito, per chi dovesse chiederselo, che i catafratti bizantini non erano Cavalieri se non per il solo fatto di combattere a cavallo: avevano le qualità per questo “nuovo” tipo di guerra, ma non raggiunsero mai il rango che ebbero i cavalieri nel Medioevo avanzato.

Le guerre divennero più mobili e il fulcro della battaglia divenne un maestoso scontro tra i reggimenti di cavalleria appoggiati dalla fanteria e dagli arcieri reclutati per lo più tra il basso popolo. Tutto questo comunque non permise alla cavalleria di sopravanzare la fanteria in alcune situazioni, come su terreni aspri o fangosi (restò comunque un problema combattere su questo tipo di territori, ma la situazione migliorò alquanto).
Una parziale soluzione a questo problema fu l’ingresso nella vita del guerriero a cavallo della resta, diffusasi nell’anno 1000, che permise di utilizzare lance più pesanti e più lunghe oltre a favorire il cavaliere aumentandone la stabilità durante la carica in sella. Si afferma che i primi ad utilizzare questo nuovo oggetto siano stati i Normanni, ma non si hanno prove certe sul fatto, anche se possiamo dire con certezza che la resta non si diffuse pienamente fino al 1140. L’utilizzo della lancia in resta portò a un riordino generale dei combattenti: essi, infatti, iniziarono ad attaccare in ranghi serrati e la loro dotazione in fatto di protezioni cambiò notevolmente. S’iniziò a utilizzare l’armatura e lo scudo grande, di solito a punta e bardato per proteggere il cavaliere anche quando utilizzava la spada, le selle mutarono notevolmente e alcune furono dotate di un secondo pomo per l’appoggio e un sostegno nella parte posteriore per poter meglio attutire il colpo e non far disarcionare il soldato, infine, non da dimenticare, i cavalli iniziarono ad essere ferrati rendendoli così in grado di affrontare meglio i terreni accidentati o le lunghe distanze.

3. Signori e guerrieri di origini barbare
La figura del cavaliere come la conosciamo inizia quindi a delinearsi almeno dal punto di vista militare, ma non bisogna dimenticare il fattore politico ed etico che lo contraddistingueva.
Come già detto le origini della cavalleria sono barbare in quanto l’equestres ordo romano aveva perso ogni sua attinenza al mondo militare: i suoi appartenenti erano diventati facoltosi mercanti, amministratori o finanzieri completamente assorti nella nuova politica economica.
Le pratiche militari furono lasciate a mercenari nominati bucellarii che godevano di una posizione autorevole solo in tempo di guerra o di disordini e non venivano affatto considerati come compagni (comes in latino), ma solamente come semplice seccatura da dover sopportare per una vita tranquilla e dignitosa. Figure del genere erano presenti anche nelle popolazioni barbare, come nei merovingi i gasindi, anche se in condizioni diverse, al servizio del re: gli Antrustiones. Essi erano legati al loro sovrano tramite un giuramento e da lui ricevevano cariche di stato, di governo o prettamente militari a seconda delle loro attitudini personali.

Durante il tardo impero a Roma era consuetudine una pratica di tipo politico-militare nella quale i magnati patrizi si circondavano di una sorta di guardia personale alle loro dipendenze. Non si trattava di una forma di schiavitù, ma era considerata dignitosa da ambo le parti in quanto giovava a entrambe: la guardia riceveva un sostentamento dal cliente al quale offriva protezione.
Nel corso dei secoli VI e VII questa istituzione si rafforzò sotto il nome di commendatio; il legame tra signore e sostenuto agli inizi fu poco chiaro e poco istituzionalizzato, ma presto divenne un giuramento solenne, di solito su una reliquia, in un complesso rituale pubblico.
Tale pratica rimase in uso con pochissime varianti territoriali e con diversi gradi di legazione tra signore e sottoposto fino al XIV secolo con il nome di vassallaggio.
Con Pipino il Breve nacque l’usanza di pagare i militari più meritevoli non in oro bensì in appezzamenti di terreno (alcuni grandi come province), confiscandoli alla Chiesa, e offrendo loro un servizio di vassallaggio. Il motivo di questa scelta era dovuto al fatto che il soldato doveva provvedere da sé al proprio sostentamento in tempo di pace e alla propria attrezzatura in tempo di guerra e risultò sempre più difficile creare armate potenti e ben equipaggiate. Fornendo al condottiero un mezzo di sostentamento permanente, il sovrano si assicurava il suo servigio e la sua fedeltà. Così facendo l’economia di base dello stato si spostò dalle città, vecchie sedi, alle campagne con i loro nuovi vassalli e contadini.
Questa situazione si mantenne pressoché invariata fino al XII secolo, quando ormai il vassallaggio era pratica comune e diffusa in tutta Europa. I vassalli reali avevano preso il sopravvento aggiudicandosi i territori più vasti e migliori offrendo a loro volta un servizio di vassallaggio ad altri spesso con condizioni svantaggiose per i più bassi di rango, i quali come unico servigio da offrirvi avevano il servizio all’interno della milizia del loro signore il quale aveva anche il possesso dell’intera dotazione bellica del sottoposto.
L’equipaggiamento che prima era relativamente semplice, a causa delle possibilità economiche scarse, si fece più pregiato e complesso. Nel X secolo il soldato vestiva un usbergo e un camaglio di maglia, un elmetto con nasale, lancia, spada e scudo erano semplici e funzionali. Nel XIV secolo l’attrezzatura cambiò radicalmente: il cavaliere indossava un giubbotto di cuoio imbottito detto giaco, usbergo, camaglio e una serie di piastre in acciaio allacciate tra loro a formare un’armatura detta a Brigantina, piastre per le braccia e le gambe; l’elmo da semplice calotta con nasale si fece più complesso ed andò a coprire anche il viso con i più svariati tipi di celata e cimieri, le lance vennero rinforzate in punta con l’acciaio e gli scudi di solito in legno rivestito di cuoio divennero molto più piccoli, ma si svilupparono anche in forme più complesse.
In alcuni paesi come l’Inghilterra furono istituite imposte come lo scutagium, una tassa sull’uso dello scudo, facendo sì che le guerre potessero essere combattute solo da pochi facoltosi o da milizie al servizio di un vassallo, facendo così nascere una élite di guerrieri di professione il cui prestigio derivava dal loro comportamento in campo.
Fino a questo punto lo status della famiglia del guerriero era stato un problema trascurabile, ma ora che non esistevano quasi più persone libere in grado di permettersi l’attrezzatura per la guerra, se non i nobili, questo problema si fece più importante.

4. Quando il feudalesimo entra nella vita del cavaliere
I territori venivano ereditati dal primogenito maschio facendo sì che i restanti figli maschi si trovarono in uno stato di isolamento quasi totale. In conseguenza di ciò il tipico guerriero a cavallo divenne sempre più un uomo legato a un vassallo o addirittura un suo figlio cadetto. Quando il rapporto tra signore e vassallo diventò un vincolo prettamente commerciale, un vassallo poteva trovarsi alle dipendenze di più signori creando per questo non poche beghe ad entrambi; venne quindi a formarsi l’omaggio ligio in cui il vassallo prendeva uno dei due, o più, signori come il prediletto giurando di servire in primis lui poi gli altri.
In questa società il guerriero non fu solo semplice soldato, ma assunse un ruolo anche come amministratore dei propri territori e in parte di quelli del suo superiore, facendo sì che attorno a un signore si venisse a formare una sorta di piccolo habitat autosufficiente in cui il guerriero a cavallo aveva non solo il compito di mantenere la pace, ma il compito sociale di mantenere la gerarchia e di amministrare i territori.

Anche se il guerriero, come un piccolo signore, aveva diritto all’amministrazione della bassa e media giustizia sulle sue terre, non si trova ancora una correlazione tra questo e il fatto di portare le armi. L’unica differenza tra loro e i cittadini più ricchi era il fatto che essi dovevano prestare servizio al loro signore in guerra o nelle scaramucce di potere tra feudatari maggiori.
Il guerriero a cavallo manteneva ancora un rapporto stretto con la sua terra anche se si trovano alcuni di essi al seguito delle famiglie nobili e mantenuti da esse, ma passerà ancora molto tempo prima di trovare il classico cavaliere di corte.
Bisogna tenere anche conto che esistevano, ed erano anche numerosi, guerrieri a cavallo che in miseria o privi di territori propri erano raminghi e cercavano fortuna affidandosi alle proprie doti pur non diventando mai veri e propri mercenari. Alcuni di questi guerrieri erranti potevano appunto essere rimasti privi di oro per amministrare i propri territori, perdendoli di conseguenza; figli cadetti di un qualche signore o addirittura esiliati dal proprio paese d’origine. Ecco i cavalieri solitari dei romanzi che molti conoscono.
Il grado di coinvolgimento tra guerrieri a cavallo ed il proprio signore poteva variare a seconda del posto in cui si ci trovava: in Germania essi erano a uno stato poco diverso da quello dei servi della gleba, conosciuti come dienestman, l’unica differenza era che invece di coltivare combattevano; in Francia, specialmente nei territori più a sud, erano molto più liberi e il contratto di vassallaggio, come i suoi vincoli, era molto meno costrittivo, mentre in Inghilterra erano conosciuti con la parola cniht (da cui il knight inglese moderno) che significava servitore in quanto come in Germania erano soggetti a uno stretto controllo da parte del signore. È interessante notare che in Germania e in Inghilterra i guerrieri al servizio del signore fossero nominati come servi esattamente come in estremo oriente: in Giappone, il feudalesimo presentava situazioni analoghe e i guerrieri al servizio di un Daimyo o uno Shogun (Grande Nome e Signore della Guerra, rispettivamente tradotti in italiano) venivano chiamati Samurai, che significava appunto servire.

5. Quando possiamo parlare davvero di cavalieri
La prima data in cui si trova la parola latina miles a identificare un cavaliere come noi lo conosciamo è il 1166 su di un censimento dove si fa notare che, se un cavaliere perdeva tutto il suo denaro poteva tenere il proprio cavallo come simbolo del suo status, mentre se esso era al servizio sotto un signore questi avrebbe provveduto a lui consentendogli di tenere tutta la sua attrezzatura bellica per meglio servirlo. La prima data, però, in cui c’è certezza assoluta di trovarsi davanti ad un Cavaliere è quando si trova la dicitura facere caballarius che implica appunto l’aspetto rituale e formale in cui si colloca la figura del cavaliere che invece non si ha quando si trova scritto fare un soldato. Tale data si colloca in maniera non del tutto precisa nell’ultimo quarto del XII secolo.
Si fa di solito risalire l’usanza dell’investitura alla tradizione germanica di consegnare le armi al giovane che fa il suo ingresso nel mondo degli adulti, anche se un cavaliere non doveva necessariamente essere un giovane in quanto si trovano tracce di scudieri al servizio per decine d’anni prima di diventare cavalieri.
Dato questo parallelismo non si può giudicare e assegnare una data certa sul quando la cavalleria iniziò a essere un segno distintivo. Bisogna basarsi su cambiamenti di costume e della società in genere. Parti di questi cambiamenti sono a carico della Chiesa altri a carico della società stessa e dettati da nuovi stili di vita, specialmente nelle corti. L’inizio di un’etica cortese, le Tregue di Dio e la situazione economico-sociale sono alcune di queste. Possiamo quindi affermare che la nascita della cavalleria come élite di persone con un preciso comportamento etico, una precisa posizione sociale e una militare si ha con l’inizio delle crociate, o comunque nel periodo limitrofo a esse, in cui la rigida visione sociale in cui ognuno compiva il suo lavoro per il bene della società inizia ad essere più pratica che ideale, anche grazie alle spinte clericali, che come tutti sanno in quell’epoca erano molto potenti.
In questa società in cui vigevano tre ordini ben precisi: clero, uomini liberi e servi, o se la si vuole vedere da un punto di vista diverso clero (in cui si classificano impropriamente anche gli ordini monastici del tempo) e laici, il guerriero a cavallo diviene un punto a sé, una sorta di nuovo ordine collegato al mondo degli uomini liberi, del clero ad anche in un certo senso a quello dei servi. I cavalieri iniziano a esercitare un ruolo politico ben preciso che possiamo assimilare in una via di mezzo tra il giudice e il possessore terriero. Come già scritto essi detenevano diritto di media e bassa giustizia sulle terre del loro signore e lo esercitavano in pieno diritto anche sulle terre che questi donava loro per i servigi svolti rendendoli oltre che propri cavalieri anche vassalli. Si ritagliarono quindi un ruolo molto importante nella società medioevale, ambito da molti per gli sgravi fiscali concessi e per il prestigio che ne derivava. Come già detto essi avevano il compito, in tempo di pace, di mantenere l’ordine costituito dirimendo le piccole questioni, agendo come messaggeri di rango e ambasciatori.

Per motivi puramente politici, il diritto di ogni cavaliere di nominarne un altro a suo piacimento venne revocato quasi in tutta Europa a partire dalla seconda metà del 1200 facendo sì che il cavaliere potesse essere solo figlio, o in alcuni casi nipote, di cavaliere creando così una vera e propria casta che mai prima di allora era esistita.
Dal XIII secolo l’ideale cavalleresco diventa inscindibile dal cavaliere che sia esso a servizio a corte, in battaglia o errante e lo seguirà sino ai giorni nostri.
Alle origini il cavaliere non era però del tutto connotato dal possesso di terre, dal suo comportamento, ma da un’idea generale e sociale di ordine parallelo con precisi obblighi sociali e morali verso la società che proteggeva e dalla quale traeva sostentamento, il tutto dovuto al fatto che egli aveva il diritto di portare le armi cavalleresche con la benedizione del proprio signore, ma soprattutto della Chiesa.
Possiamo dire che il cavaliere nei secoli evolve, ma purtroppo non è adattabile come molte specie viventi, quindi giunti alla fine del Medioevo, con l’avvento delle prime armi da fuoco il cavaliere perde di necessità d’essere e via via scompare dalla società lasciando il suo nome come titolo puramente onorifico.
L’addestramento e la vita del cavaliere variano notevolmente da epoca a epoca ed è quindi sbagliato definire un suo unico modus operandi. Basti pensare alle diversità che vi potevano essere tra un figlio cadetto di un nobiluomo costretto a vagare in cerca di fortuna e la vita di un cavaliere a corte come nei romanzi di Mallory o di De Troyes. Nonostante questo andremo a dare un’idea generale di quello che doveva essere la vita in ciascuno di questi aspetti.
La vita di un cavaliere inizia molto presto: già in tenera età iniziavano a venirgli impartite le prime nozioni di etica e di bellica. Molto spesso il giovane ragazzo era affidato a un istitutore che provvedesse alla sua istruzione di base, che purtroppo in rare volte non consisteva nel saper leggere, scrivere e fare di conto, bensì nell’etichetta, nell’etica e nella storia.
Parallelamente a questo il giovane seguiva una serie d’insegnamenti prettamente scelti per favorirne l’attitudine fisica al combattimento e la tenacia. Essi consistevano per lo più in lezioni di equitazione con la conseguente di tutto ciò che bisognava a un cavallo di un guerriero: selle, staffe, briglie, morso per ogni occasione; corsa di resistenza, cacce e giochi d’armi ma soprattutto lezioni con uno o più maestri d’armi. L’addestramento alle armi era di solito molto lungo e poteva richiedere parecchi anni: inizialmente il cavaliere doveva conoscere l’uso della spada, dello scudo e della lancia, ma con l’andare del tempo e l’evoluzione bellica, egli doveva riuscire a impugnare qualsiasi tipo di arma, dall’arco alla lancia per la resta.
Questo si deve al fatto che molto spesso la cavalleria era utilizzata in guerra negli scopi più svariati, dalla ricognizione alle cariche in ranghi, davanti ai nemici più disparati, e al fatto che nel tempo, specialmente con l’avvento della cortesia, il cavaliere iniziò a partecipare ai tornei in cui, in epoca tarda, erano previste diverse categorie a seconda dell’arma con cui volessero cimentarsi i contendenti.
Non ci attarderemo in merito a questo addestramento perché richiederebbe probabilmente uno o più scritti e di diverse pagine ciascheduno, ma possiamo accennare che essi furono inventati come un grande addestramento collettivo.

Tutti i cavalieri di una zona si riunivano a “giocare” assieme per conoscersi, imparare uno dall’altro tecniche, tattiche e strategie belliche in modo tale che una volta chiamati a guerreggiare potessero innanzitutto fidarsi dei loro compagni non più sconosciuti, ma fossero anche tutti quanti ben consci di un metodo comune di combattimento.
Sono giunti fino a noi parecchi manuali di etichetta o etica cavalleresca dovuti alla fervente corrente della cortesia, ma essi ci dicono ben poco su come ci si dovesse comportare per “essere” cavalieri; molto spesso, infatti, sono manuali di comportamento riguardanti l’amore ed il modo di tenersi con le dame. Uno dei più noti e più apprezzati è il De Amore di Andrea Cappellaro scritto alla corte di Champagne nel 1180 in cui si parla dei vari tipi di amore e della loro natura.
Il primo manuale trattante tutti gli aspetti della cavalleria è L’Ordene de Chavalerie di Raimond Llull(cavaliere e mistico poi) in cui si mettono soprattutto a fuoco la cerimonia di investitura e il suo significato, i doveri di cortesia, generosità e giustizia che un cavaliere deve possedere, ma anche il fatto che il cavaliere debba partecipare a tornei, cacce per non trascurare l’allenamento all’armi ed evitare tutto ciò che può metterlo in una situazione di trascuratezza verso i suoi doveri e verso l’ordine stesso della società.
Esso ha un’importanza notevole in quanto tutto ciò che vi si trova è stato scritto da qualcuno che ha vissuto e viveva come cavaliere. Non sono quindi nozioni di seconda mano o enfatizzanti come le si trovano nei più famosi romanzi cortesi che di solito portano a un’analisi errata o comunque sviante. Non si deve pensare al cavaliere come uno dei membri della tavola rotonda che tanto i romanzi arturiani declamano, bensì a qualcosa di diverso, più pratico e per quanto riguarda la mentalità odierna molto meno etico e spirituale.
Si trovano, infatti, manuali in cui il cavaliere è tanto più onorevole quanto più cortese, altri in cui il suo onore deriva dalle sue gesta o dal suo comportamento davanti alla Chiesa.
Al suo apice, a dispetto di ogni romanzo, il Cavaliere era un soldato d’élite estremamente tenace, preparato ad ogni tipo di scontro su ogni terreno, con doti di comando e amministrazione degne di un ammiraglio dei giorni attuali. Era, per il tempo, un uomo ricco di cultura, che nella maggior parte delle volte sapeva leggere e scrivere più di una lingua oltre la propria e il latino. Rapportato al resto della popolazione coeva era oltre ogni modo ricco: possedeva libri, cavalli, castelli, terre e intere famiglie di servi e schiavi che governava con un pugno di ferro che ad oggi sembrerebbe impensabile.
Adesso lo si potrebbe identificare con aggettivi come violento e sanguinario, e molti sicuramente lo sono stati nonostante l’etica che li connotava, ma nei tempi in cui è vissuto i suoi contemporanei lo temevano e lo rispettavano come legame necessario tra essi e un signore che probabilmente non avrebbero mai visto in tutta la loro vita.
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