Ogni anno, in occasione della data del 21 aprile, mi son sempre trovato a scrivere qualcosa di nuovo sul tema delle origini di Roma; eppure, non avevo sinora scritto un articolo. Quello che leggete adesso dunque rielabora un paio di post scritti su Facebook nel corso degli anni con, però, l’aggiunta sostanziosa e preziosa delle parole scritte da due storici contemporanei di grande spessore e portatori di visioni differenti (ma non così opposte come si potrebbe pensare) sull’argomento: l’inglese Tim Cornell, autore di The beginnings of Rome e l’italiano Andrea Carandini, che è anche archeologo, le cui parole traggo da La nascita di Roma ma che alla questione ha dedicato anche molte altre opere.
Alcune fonti antiche
“Per prima cosa [Romolo] prese gli auspici, che furono favorevoli, e successivamente accese alcuni roghi davanti alle tende e spinse il popolo a saltare sopra le fiamme per purificarsi dalle proprie colpe. Quando ritenne che fosse stato fatto tutto quanto a suo avviso era gradito agli dèi, chiamò tutto il popolo nel luogo designato e qui tracciò il perimetro in cima alla collina di una figura quadrangolare, tracciando con un aratro tirato da un toro e da una mucca un solco continuo su cui era destinato a sorgere il muro.”
Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane

Così l’erudito e uomo politico Terenzio Varrone racconta nel I secolo a.C. la fondazione dell’Urbe:
“Nel Lazio molti erano soliti fondare le città attenendosi al rito etrusco: con due buoi aggiogati, un toro e una vacca, tracciavano tutt’intorno un solco con la parte interna dell’aratro (lo facevano per motivi religiosi, in un giorno di auspici favorevoli), per essere protetti da una fossa e da un muro. Chiamavano «fossa» il luogo da dove avevano scavato la terra e «muro» la terra gettata all’interno. Il perimetro che risultava dietro questi due elementi era considerato il principio della città; e poiché esso si trovava dopo il muro [post murum] venne chiamato postmoerium; lì era il limite degli auspici urbani.”
Il periodo arcaico di Roma fu un’epoca sostanzialmente oscura già da quando gli stessi Romani iniziarono ad occuparsene dal III secolo a.C. Secondo alcuni storici moderni il racconto della fondazione è reso confuso dall’esistenza di due tradizioni molto diverse: quelli che vedevano Roma fondata da elementi provenienti dal mondo greco (da cui poi venne il mito di Enea) e quelli che invece optavano per una fondazione “locale” (da cui venne il mito di Romolo). Solo in epoca augustea si avrà la congiunzione ufficiale tra le due tradizioni, che fino ad allora convissero a fatica l’una con l’altra. L’indagine moderna, ricorrendo a metodi multidisciplinari (come la filologia e l’archeologia) ha potuto soltanto inferire alcune cose, ma non ricostruire l’intero periodo. Sembra però ormai attestato che il sito del Palatino sia stato abitato permanentemente almeno dall’anno 1000 a.C. Difficile però è dire quando questi primi centri abitati divennero una vera e propria comunità; altrettanto difficile è provare la veridicità del racconto tradizionale.

Cornell vs Carandini
Di questa opinione è Tim Cornell, uno dei massimi storici inglesi sull’argomento, che negli anni ’90 ha scritto il famoso The beginnings of Rome, in cui scrive (la traduzione è del sottoscritto perché non mi risulta l’opera sia giunta in Italia):
In generale, i racconti narrativi sulle origini di Roma, da Enea a Romolo, non possono essere considerati storici. Essi rappresentano un complesso intreccio di leggenda popolare, tradizioni folkloriche e congetture dotte, e sono importanti soprattutto per lo studio della storiografia romana e dello sviluppo della coscienza identitaria dei Romani.
Infine, la data “tradizionale” della fondazione della città — che storici e antiquari della tarda Repubblica collocavano a metà dell’VIII secolo a.C. — non va presa troppo alla lettera. Tutto lascia intendere che essa sia stata fissata attraverso un processo artificiale di calcolo meccanico. Le evidenze archeologiche dimostrano chiaramente che il sito era già stabilmente occupato secoli prima del 754 a.C.; d’altro canto, fu soltanto molto tempo dopo che si verificarono cambiamenti significativi nell’organizzazione e nella struttura della comunità, tali da poter essere associati ai processi fondamentali di urbanizzazione e formazione statale.
Questi sviluppi, che si possono legittimamente definire come la vera fondazione di una città-stato, non possono — sulla base dei dati attualmente disponibili — essere retrodatati oltre la metà del VII secolo a.C., cioè più di cento anni dopo la cosiddetta data “tradizionale”.

Vale la pena notare, senza approfondire, che la visione di Cornell è tutto sommato “moderata” rispetto a quello di altri storici, del passato recente e anche contemporanei, più radicali nella negazione della storicità del racconto tradizionale.
Proprio a queste parole di Cornell fa diretto riferimento Andrea Carandini, famoso archeologo che ha compiute scoperte importanti nella stessa Roma e da sempre sostenitore di una visione “più che possibilista” sull’autenticità della fondazione romulea. Così scrive nell’ultimo capitolo de La nascita di Roma, forte delle recenti scoperte sulle “mura palatine”.
La discontinuità rappresentata dalle prime mura, oltre ai dati che emergono dalla rilettura dei vecchi scavi, consente di considerare l’età romulea non piú come una semplice coda, piú o meno progressiva, dell’età proto-urbana, ma come un periodo a sé stante, coincidente con la prima età regia, in cui avviene la fondazione e la formazione degli elementi necessari a comporre la città e lo stato, che appariranno in sé compiuti solo al tempo della seconda età monarchica, culminante con la rifondazione di Servio Tullio, primo allargatore delle mura e del pomerio e creatore delle tribú urbane e dei compita. Ammettere una fondazione/formazione di Roma precedente i Tarquini non significa ovviamente accettare in tutto la vulga- ta, per la quale, ad esempio, Romolo fonda la città dal nulla (salvo i precedenti dell’età eroica).
La questione è ancora oggi dibattuta. Personalmente, per quel che vale, ritengo i racconti tradizionali sulla fondazione di Roma interessanti oltre che per l’eventuale storicità del fatto in sé, soprattutto per l’insieme di valori che essi esprimono; lo stesso si può dire per l’intera storia del periodo monarchico e per i primordi della repubblica. L’età arcaica, pur ignota nei dettagli agli stessi romani, fu il fondamento di Roma in età classica, come riconosce Cicerone in apertura del II libro del dialogo De re publica:
Egli [Catone il censore] soleva ripetere che la costituzione della nostra città era superiore a quella degli altri Stati, perché in questi quasi sempre furono singoli personaggi che posero i fondamenti ciascuno per il proprio Stato con proprie leggi e istituzioni, come a Creta Minosse, a Sparta Licurgo, ad Atene, molto spesso soggetta a mutamenti politici, ora Teseo, ora Dracone, ora Solone, ora Clistene e poi molti altri, e infine, quando era ormai esangue e stremata le aveva dato nuova linfa il sapiente Demetrio di Falero; mentre il nostro Stato non si era costituito grazie all’ingegno di uno solo, ma di molti, né durante una sola vita umana, ma nel corso di varie generazioni e di epoche. Diceva inoltre che mai vi fu un uomo di ingegno così grande, a cui (se pure una volta fosse esistito), non potesse sfuggire qualcosa e che neppure tutti gli ingegni riuniti insieme potrebbero ontemporaneamente cedere così lontano da abbracciare tutto, senza l’esperienza degli eventi e l’apporto del tempo.
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