Storia politica e storia letteraria di Roma
Il contributo che presentiamo oggi – decimo di una lunga serie firmata da Stefano Basilico – continua il nostro percorso dedicato al rapporto, nel mondo romano, tra letteratura, potere e cultura. Non si tratterà soltanto di osservare come gli intellettuali abbiano dialogato con l’autorità politica, ma anche di cogliere come ogni autore abbia elaborato idee capaci di lasciare un segno profondo, che ancora oggi continua a parlarci.
Questa pagina accoglie dunque un lavoro che unisce chiarezza e profondità, in cui rigore critico e sensibilità divulgativa si intrecciano con naturalezza. Da Sallustio a Livio, da Tacito a Virgilio, fino a Cicerone e Lucano, incontreremo alcuni dei grandi protagonisti della classicità latina, scoprendo come le loro opere abbiano posto domande che ancora oggi ci riguardano da vicino: dal cesarismo alle trasformazioni della sovranità, dal ruolo degli intellettuali alla costruzione della memoria collettiva.
Senza la pretesa di esaurire un tema tanto vasto, gli articoli offriranno un itinerario ampio e suggestivo, pubblicato a puntate nelle prossime settimane e destinato ad accompagnarci fino all’autunno inoltrato: un invito alla lettura e alla riflessione, capace di far risuonare voci antiche in chiave sorprendentemente attuale.
Piano dell’opera
- Gaio Sallustio e la concordia perduta
- Tito Livio e la sacralità della “res publica”
- Tacito, analisi politica e passione tragica
- Lucrezio, ragione e angoscia
- Cicerone, tra otium e negotium
- La crisi dell’arte retorica
- Petronio, arguzia ed estetica
- Velleio Patercolo, Pompeo Trogo, Curzio Rufo: Celebrazione e dissenso
- “La satira, che è tutta nostra…”
- Lucano, crasi tra epica e storica
- Astrologia, filosofia e magia
- Ammiano Marcellino, soldato un tempo e greco per educazione

10. Marco Anneo Lucano, la crasi tra epica e storia
Nella fase del tramonto dell’epoca della dinastia giulio-claudia, il poeta andaluso Marco Anneo Lucano (39-65 d.C.) ci ha lasciato un poema che è al tempo stesso grande opera poetica e profonda riflessione storica e politica.
Da un lato, in Lucano appare il tentativo di risolvere un dilemma letterario antico: cioè se tema dell’epica dovesse essere solo una vicenda dai contorni sfumati o leggendari, e non fatti realmente accaduti e documentati; questione che come ben noto nasce da lontano: nel solco della dicotomia tra poesia e storia, come formulata nella Poetica di Aristotele (I, 1451b). Nella letteratura latina c’è un precedente importante, rappresentato dagli Annales di Quinto Ennio (239-169 a.C.), dove il poeta cantava la storia di Roma con criterio annalistico dalle origini fino all’anno 171 a.C.; l’opera di Pater Ennius, che per primo usò il latino come lingua letteraria – autonoma e degna di competere con l’idioma greco – è stato il poema nazionale di Roma prima dell’Eneide virgilana. D’altro canto, nella Pharsalia (che ha per tema la guerra civile tra Cesare e Pompeo) si intravede ancora una sorta di reazione anti-virgiliana: non solo la esecrazione per il sangue fratricida sparso (che fa da eco a quella degli Epodi oraziani), ma la parabola che porta dalla repubblica al cesarismo e poi al principato.
Proprio questo “epos storico-politico” rappresenta un genere nuovo. Non più il mito ma la storia: nell’affrontare un argomento storico recente, il potersi basare su basi e fonti annulla quella compenetrazione tra storia e leggenda che ritroviamo in Virgilio e – prima di lui – in Nevio e Ennio. Alla componente divina si sostituisce il fatto umano, agli interventi degli dei la virtù o il destino: il poema epico storico- mitologico aveva celebrato l’origine e la grandezza di Roma, ritrovandone nel mito la dimostrazione e giustificazione; Lucano ci parla di un cammino di dissoluzione, al cui termine intravede la fine stessa di Roma. In un’interpretazione nella quale arriva netta un’eco sallustiana: per Lucano non vi è quindi necessità di nessun intervento o apparato sovrumano, perché sono gli uomini – i Romani stessi – che attraverso avidità, corruzione e discordia hanno portato l’Urbe alla tragedia e dissoluzione della guerra civile.
Già dal Proemio c’è il senso dell’orrore della strage, la guerra civile come rottura del foedus: Farsalo, Modena, Perugia, Munda. È una follia, offrire il sangue latino ai nemici invece di dirigere verso il Regno dei Parti, dove a Carrhae, ancora invendicata, si aggira l’ombra di Crasso (I, 8-12):
‹‹Quis furor, o cives, quae tanta licentia ferri? gentibus invisis Latium praebere cruorem cumque superba foret Babylon spolianda tropaeis Ausoniis umbraque erraret Crassus inulta bella geri placuit nullos habitura triumphos››
[Che follia, o cittadini, che sfrenato arbitrio delle armi offrire il sangue latino alle genti nemiche! Mentre si sarebbe dovuto spogliare la superba Babilonia dei trofei Ausonii, e l’ombra di Crasso vagava ancora invendicata. Avete dunque preferito scatenare guerre che non avrebbero avuto alcun trionfo?]
Mai nessun nemico esterno, neanche il più terribile ed agguerrito ha lacerato così profondamente il tessuto della società e dello stato romano («non tu, Pyrre ferox, nec tantis cladibus auctor Poenus erit» – I, 30-31).

Per inciso, analoghe considerazioni aveva espresse Sallustio nelle Historiae (Oratio Lepidi, I, 19), dopo aver constatato lo scoppio delle guerre civili come uno sconquasso tellurico che scuote una «res publica, quae media fuerat, dilacerata», dove «Paucorum arbitrio belli domique agitabatur» (BJ, XLI)
Lucano, giovane poeta, rivendica con orgoglio il valore della sua opera:
«Pharsalia nostra vivet, et a nullo tenebris damnabitur aevo» (IX, 985-986)
[“La nostra Pharsalia vivrà e da nessuna epoca sarà condannata all’oblio”];
Inevitabile riandare con la memoria al «non omnis moriar» di Orazio (III, 30), in nome del «exegi monumentum aere perennius». Grande poeta, uomo e letterato di spiccata sensibilità politica, nella narrazione degli avvenimenti traspare tutta la sua lacerazione interiore; non la «indignatio» di Giovenale, ma uno struggimento angoscioso che non gli dà pace: «Victrix causa diis placuit sed victa Catoni» (I, 128).
La sua opera, interrotta bruscamente dall’episodio della Congiura dei Pisoni (65 d.C.), un avvenimento che segnò nel sangue una autentica falcidie della intellighentzia romana durante l’epoca di Nerone, rimane in sospeso; quei puntini di sospensione, mentre infuria il combattimento sotto le mura di Durazzo, colpiscono il lettore con la stessa forza di quelli con cui termina ciò che ci è pervenuto degli Annales di Cornelio Tacito (XVI, 35: «post lentitudine exitus gravis cruciatus adferente, obversis in Demetrium…» [Poi, arrecandogli la lentezza della morte gravi patimenti, rivolti gli occhi a Demetrio…]. Quella di Lucano è arte vera: la storia che diventa oggetto di poesia; una poetica che dà voce a un tormento interiore, quello dell’uomo e del cittadino che si interrogano su potere e libertà.
È per contro stridente il contrasto con Silio Italico (25-101 d.C.), autore che può essere assunto a paradigma di erudito che tenta una vana alchimia letteraria. Nello scrivere i Punica (opera rimasta incompiuta) egli sovrappone, in modo meccanicistico, la terza decade di Tito Livio all’Eneide: rilegge così la guerra annibalica inserendo le profezie, le discese agli Inferi, i giochi funebri, interminabili elenchi di personaggi. Ma il tutto rimane un vuoto esercizio, una piatta e scolastica rilettura di fonti – che l’autore dimostra di conoscere in profondità – dove non emerge mai un vero afflato poetico, capace di impattare l’animo del lettore. Di tutto ciò si era avuta viva percezione già presso i suoi contemporanei, come emerge nitidamente dal passo di una lettera di Plinio il Giovane (Epist., III, 7): dopo averlo definito “philokalos”, affermò che Silio Italico «scribebat carmina maiore cura quam ingenio».
Ma, come nel caso di Aulo Persio, su Silio Italico pesa la lapidaria stroncatura espressa da Concetto Marchesi nella sua Storia della Letteratura Latina, un giudizio che suona come una inappellabile condanna: “Silio non è un piccolo poeta, ché tra i piccoli poeti ce ne sono di armoniosi e di piacevoli; è tra i poeti mediocri, vale a dire inutili”…
Prosegue con “Astrologia, filosofia e magia”
Piano dell’opera
- Gaio Sallustio e la concordia perduta.
- Tito Livio e la sacralità della “res publica”.
- Tacito, analisi politica e passione tragica.
- Lucrezio, ragione e angoscia.
- Cicerone, tra otium e negotium.
- La crisi dell’arte retorica.
- Alcuni storici minori.
- Petronio, arguzia ed estetica.
- “La satira, che è tutta nostra…”
- Lucano, crasi tra epica e storica.
- Astrologia, filosofia e magia
- Ammiano Marcellino, soldato un tempo e greco per educazione
Lascia un commento