
«In quest’epoca tremenda, un’epoca di follie commesse nel nome della gloria di Stati e nazioni o del bene universale, e in cui gli uomini non sembrano più uomini ma fremono come rami d’albero e sono come la pietra che frana e trascina con sé le altre pietre riempiendo fosse e burroni, in quest’epoca di terrore e di follia insensata, la bontà spicciola, granello radioattivo sbriciolato nella vita, non è scomparsa».
Anno di uscita edizione italiana: 2008
Pagine: 982
Formato: ebook e cartaceo
Editore: Adelphi
Nella recensione di Stalingrado, prima parte di questa dilogia di Grossman sulla “Grande guerra patriottica”, ho definito questo un ottimo romanzo mentre Vita e destino, seconda parte della dilogia, un capolavoro. Queste valutazioni sono in realtà relative, come quando si ha a che fare con due diamanti, solo che uno è più grosso e brillante dell’altro: pur sempre di diamanti si tratta. Per altre considerazioni sulla censura che subì l’opera e sulla vita dell’autore, rimando alla recensione del primo romanzo di Grossman (LINK).
Vita e destino costituisce il seguito diretto del primo romanzo, ma rispetto a questi è profondamente diverso in almeno due importantissimi aspetti. Il primo è, ovviamente, la presenza di aperte critiche al sistema sovietico e al regime di Stalin. Ciò che in Stalingrado era intuibile solo ad un lettore addentro al periodo storico, in Vita e destino diventa esplicito. Laddove, ad esempio, le persecuzioni staliniane degli anni ’30 erano appena accennate, qui diventa tema ricorrente parlare e riflettere sul “Trentasette”, ovvero l’anno delle grandi purghe; un’espressione idiomatica che sembra quasi esprimere lo shock subito dai sovietici durante quel periodo. Inoltre, nel romanzo Grossman tratta anche dell’inizio dell’antisemitismo nell’Unione Sovietica.
Il secondo aspetto, che fa del romanzo il capolavoro assoluto che dicevo, è che i personaggi e i fatti narrati in Vita e destino trascendono ogni contingenza legata al periodo e agli eventi storici e si ergono invece come messaggeri di insegnamenti profondi sull’animo umano e più in generale sul concetto di umanità quando essa è, mi si passi il termine, “torturata” dalla violenza della contemporaneità. Questo è il motivo per cui, in effetti, sono rimasto personalmente affascinato da Vita e destino, romanzo che mi ha commosso come pochissimi altri nel corso della mia vita. Del resto, un rapido sguardo all’elenco dei personaggi, che sono suddivisi per località, ci fa subito capire la tragicità di ciò che ci apprestiamo a leggere: un gruppo è riportato sotto la voce “Nel lager russo”; un altro, addirittura, è definito come “Verso la camera a gas”.

Coincidenze pericolose
Stalingrado esprimeva in modo chiaro la differenza tra il nazismo tedesco e il comunismo sovietico: sopraffattore il primo, egualitario di fondo il secondo. Queste differenze si dissolvono in Vita e destino. Uno degli “eroi” del precedente romanzo a metà libro viene imprigionato e condotto alla Lubjanka, il temuto palazzo moscovita della polizia segreta, dove viene interrogato, torturato e ridotto a larva umana e avrà come solo conforto il ritorno, a sorpresa, della moglie, che sarà l’unica a continuare a chiedere di lui.
Esemplificativa è poi la vicenda di Mostovskoj, il vecchio bolscevico di Stalingrado, che qui ritroviamo prigioniero dei tedeschi e chiuso in un campo di concentramento, nel quale cerca di organizzare un movimento clandestino e di resistenza. Durante un interrogatorio Liss, ufficiale delle SS, invece di ricorrere alla consueta violenza fisica, mostra al prigioniero gli scritti di un compagno di detenzione – considerato dai sovietici stesso come un “pensatore alternativo” – ed inizia a discuterne con Mostovskoj, con cui si avventura poi in riflessioni che, senza dubbio, rappresentano la voce di Grossman stesso.
«Quando io e lei ci guardiamo in faccia, non vediamo solo un viso che odiamo. È come se ci guardassimo allo specchio. È questa la tragedia della nostra epoca. Come potete non riconoscervi in noi, non vedere in noi la vostra stessa volontà? Il mondo non è forse pura volontà anche per voi? Vi si può forse indurre a esitare? Vi si può fermare?».
Liss avvicinò il viso a quello di Mostovskoj.
«Mi segue? Non parlo bene la sua lingua, ma vorrei che mi capisse. Voi credete di odiarci, ma è solo un’impressione: odiando noi odiate voi stessi. Tremendo, vero? Mi capisce?»
…..
«Siamo i vostri peggiori nemici, è vero. Ma se noi vinciamo, vincete anche voi. Mi capisce? E se anche vinceste voi, noi saremmo spacciati, sì, ma continueremmo a vivere nella vostra vittoria. È una sorta di paradosso: se perdiamo la guerra, la vinciamo e ci sviluppiamo in un’altra forma pur conservando la nostra natura».

Verso la camera a gas: l’irragionevole bontà dell’essere umano
Il nazista Liss fa così vacillare la fede bolscevica di Mostovskoj, il quale giunge persino a dubitare di Lenin. La lettura di questi appunti rivela, probabilmente, quale fosse il pensiero più recondito di Grossman, ovvero il frutto delle sue riflessioni nel corso della guerra e nel dopoguerra, durante il crepuscolo dello stalinismo. La domanda da cui parte è, socraticamente, cosa sia il “bene”. Grossman rigetta ogni politica, ogni religione, ogni ideologia, insomma, in favore di una scintilla irriducibile dell’essere umano.
È la bontà dell’uomo per l’altro uomo, una bontà senza testimoni, piccola, senza grandi teorie. La bontà illogica, potremmo chiamarla. La bontà degli uomini al di là del bene religioso e sociale.
L’esempio più forte di questo Grossman lo offre descrivendo la fine, in una camera a gas, della dottoressa Levinton, amica della matriarca Saposnikova e personaggio già apparso già in Stalingrado: donna intraprendente ed emancipata, diremmo oggi, però catturata dai nazisti. Le pagine a lei dedicate sono tra le più alte della letteratura del XX secolo e in esse Grossman esplicita ciò che pensa: che l’umanità è irriducibile al potere. Ovvero, qualsiasi cosa il potere faccia, anche la distruzione fisica di un avversario, l’umanità può sopravvivere. Nella camera a gas, infatti, la dottoressa offre ad un bimbetto rimasto da solo di fargli da “madre” negli ultimi istanti.
David, i suoi gesti: che pena provava! Era talmente semplice, ciò che sentiva per lui, che non aveva più bisogno di parole né di occhi. Respirava ancora, quel ragazzino più morto che vivo, ma l’aria che riceveva non gli allungava la vita, la allontanava da lui. Continuava a voltare la testa, David, aveva ancora voglia di guardare. E vedeva chi già si accasciava, vedeva bocche spalancate e senza denti, bocche con denti bianchi e denti d’oro, vedeva rivoli di sangue uscire dalle narici.
In questo sta la vittoria finale dell’uomo su ogni regime terreno.
La libertà dell’uomo
Grossman offre quindi, anche nelle condizioni più disperate, un messaggio di speranza. Da questo, l’autore fa conseguire che non solo l’uomo ha una speranza, ma possiede anche un libero arbitrio; questo, rende l’uomo responsabile di ciò che fa. L’esempio di questo è il fisico Strum che nel corso del romanzo compie una grande scoperta scientifica, viene perseguitato dal regime e infine riabilitato dallo stesso Stalin: non è un lieto fine, perché la riabilitazione implica l’adesione al regime e di fare ad altri, quindi, ciò che egli ha subito poco prima: l’indifferenza, l’ostilità, le critiche, l’ostracismo e la pura delazione politica.
Ebbe la percezione concreta, fisica della differenza di peso tra un corpo umano fragilissimo e uno Stato possente e gli parve di sentirserli addosso, gli occhi chiari, enormi dello Stato pronto a scagliarsi contro di lui. Uno scricchiolio, un gemito, un grido e addio per sempre, Strum.
Conclusioni
Il fascino di Vita e destino è comprendere come l’autore di Stalingrado abbia potuto avere questa evoluzione. L’apparato critico di Stalingrado ci avvertiva di quali fossero le parti inserite dalla censura e dalle autorità sovietiche; questo però non cambiava il fatto che Grossman avesse davvero descritto cosa fu la guerra per il popolo sovietico: o almeno il suo lato epico ed eroico commisto all’aspetto popolare. Tutto questo è ribaltato in Vita e destino. Gli eroi di Stalingrado finiscono nella polvere, vengono criticati, perseguitati, ingannati. L’epica guerra tra due ideologie diventa una lotta tra due facce della stessa medaglia, che usano gli stessi mezzi spietati per reprimere ciò che di umano c’è nell’uomo al di là di ideologie e religioni. La quale umanità però, ci dice Grossman, ha sempre la possibilità (che non è facile da seguire, anzi spesso è dolorosa, ma esiste) di trionfare sul potere.
La recensione di Stalingrado
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