“Stalingrado” di Vasilij Grossman

Il “Guerra e pace” del XX secolo

L’invasione nazista dell’Unione Sovietica è stata – per la vastità del teatro operativo, per il numero dei partecipanti militari e civili e per le conseguenze politiche – uno dei più grandi conflitti del XX secolo e, credo, dell’intera storia umana. L’epicità degli eventi in corso fu da quasi subito evidente agli stessi russi, che durante la “Grande guerra patriottica” riscoprirono – se così si può dire – la propria opera epica e nazionale per eccellenza, ovvero “Guerra e Pace” di Lev Tolstoj, da cui sembra molti trassero giovamento nelle ore più cupe. Sorse quindi la necessità impellente che anche il giovane regime comunista desse prova, come e anche più del vecchio regime zarista, di poter produrre un capolavoro epico che raccontasse la resistenza delle popolazioni sovietiche all’invasore straniero, così come Tolstoj aveva fatto per l’invasione napoleonica del 1812. Incaricato di questo compito fu, nel 1945, il giornalista Vasilij Grossman, che per anni era stato al fronte, dove aveva scritti numerosi articoli di successo e aveva documentato, tra i primi, i genocidi nazisti nei confronti delle popolazioni ebraiche e slave.

Finalmente, un mattone degno di questo nome

Tuttavia, tali buoni propositi non produssero ciò le autorità sovietiche si aspettavano. Grossman scrisse difatti una dilogia costituita da un ottimo romanzo come Stalingrado (il titolo originale, imposto da altri, fu Per una giusta causa) e da un capolavoro assoluto, ovvero Vita e destino; ma tali romanzi non furono ciò che si sperava fossero in termini di “sovieticità” e propaganda e andarono incontro alla censura di stato: Stalingrado ebbe storia travagliata e fu, in diversi momenti, censurato, stampato, di nuovo censurato e proibito; Vita e destino vide la luce solo dopo la morte del suo autore e non in patria bensì all’estero, dove una copia era stato fortunosamente trafugata.

Questa, la doverosa introduzione che risponderà ad uno dei misteri di questi due romanzi: come è possibile che lo stesso autore di Stalingrado abbia poi scritto Vita e destino; cioè, mi chiedo e si son chiesti in molti: come è possibile che il pensiero di Grossman abbia subito una tale evoluzione?

Prima di addentrarci nella risposta, diamo qualche breve cenno sull’autore.

Ebreo e sovietico: Grossman

Non voglio dilungarmi più di tanto, ma alcuni dati sono essenziali. Grossman era originario di Berdychiv, città del nord dell’Ucraina a maggioranza ebraica e che, nel corso della Seconda guerra mondiale, vide la propria popolazione sterminata, compresa la madre dell’autore, che non riuscì a fuggire dopo l’invasione tedesca. Grossman compì studi scientifici e fu ingegnere chimico in ambito industriale e minerario; coltivò in parallelo l’attività di scrittore, che nel corso della guerra lo portò al giornalismo e alla riflessione sulla guerra stessa e sul mondo in cui viveva. Dopo la guerra cadde in disgrazia a causa delle sue opere.

Manoscritti ritrovati, ovviamente…

Stalingrado, come detto, fu pubblicato nel 1952 in Unione Sovietica con diverso titolo. La redazione dell’opera, fu tormentata dalle correzioni che il regime stalinista imponeva a Grossman. Esistono infatti diversi manoscritti e dattiloscritti che testimoniano le varie fasi redattive, fra cui un “terzo manoscritto”, che costituisce la bozza completa ma non rifinita del romanzo prima dell’intervento delle autorità. Le successive versioni (definite “quarta”, “quinta” e “sesta”) sono invece più coerenti a livello di trama e personaggi, ma presentano alcune diversità dalla precedente: sono cioè presenti situazioni, tematiche e figure richieste esplicitamente dalle autorità. Il traduttore e curatore dell’opera in inglese, Robert Chandler, infine, ha deciso di partire dal terzo manoscritto inserendo però ciò che riteneva opportuno dalle versioni successive.

Le vicende di Vita e destino, altrettanto complesse, saranno indagate nel prossimo articolo. Dopo questa lunga introduzione, è tempo di parlare del romanzo.

Stalingrado

Quando Pëtr Vavilov, un giorno del 1942, vede la giovane postina attraversare la strada con un foglio in mano, puntando dritto verso casa sua, sente una stretta al cuore. Sa che l’esercito sta richiamando i riservisti. Il 29 aprile, a Salisburgo, nel loro ennesimo incontro Hitler e Mussolini lo hanno stabilito: il colpo da infliggere alla Russia dev’essere “immane, tremendo e definitivo». Vavilov guarda già con rimpianto alla sua isba e alla sua vita, pur durissima, e con angoscia al distacco dalla moglie e dai figli: «…sentì, non con la mente né col pensiero, ma con gli occhi, la pelle e le ossa, tutta la forza malvagia di un gorgo crudele cui nulla importava di lui, di ciò che amava e voleva. Provò l’orrore che deve provare un pezzo di legno quando di colpo capisce che non sta scivolando lungo rive più o meno alte e frondose per sua volontà, ma perché spinto dalla forza impetuosa e inarginabile dell’acqua». È il fiume della Storia, che sta per esondare e che travolgerà tutto e tutti: lui, Vavilov, la sua famiglia, e la famiglia degli Šapošnikov – raccolta in un appartamento a Stalingrado per quella che potrebbe essere la loro «ultima riunione» –, e gli altri indimenticabili personaggi di questo romanzo sconfinato, dove si respira l’aria delle grandi epopee. Un fiume che investirà anche i lettori, attraverso pagine che si imprimeranno in loro per sempre. E se Grossman è stato definito «il Tolstoj dell’Unione Sovietica», ora possiamo finalmente aggiungere che Stalingrado, insieme a Vita e destino, è il suo Guerra e pace.

Anno di uscita edizione italiana: 2022
Pagine: 884
Formato: ebook e cartaceo
Editore: Adelphi

Quanto sopra detto sui problemi che Grossman ebbe con il potere potrebbe far pensare di trovare nel romanzo chissà quali pesanti critiche al sistema sovietico e al regime di Stalin. Tutt’altro! Accade invece l’esatto contrario. Stalingrado è quanto di più sinceramente sovietico, ancor prima che russo, che io abbia mai letto. L’affresco del romanzo è epico, il respiro ampio, lo stile variegato e a tratti lirico: questa è la tradizione di Guerra e Pace, insomma. Ma se in Tolstoj protagonista era la nobiltà, qui protagonista è il nuovo ceto medio creato dalla Rivoluzione: un ceto medio fatto di operai e minatori specializzati, direttori di fabbrica, dottoresse in carriera, giovani studenti, specializzandi e professori in discipline tecniche e scientifiche, infermiere in prima linea. Non appaiono, ovviamente, le classi sociali sconfitte dalla Rivoluzione d’Ottobre come la vecchia nobiltà, il clero religioso o i kulaki. Vi è però, ad onor del vero, qualche cenno ai bolscevichi perseguitati da Stalin durante le grandi purghe degli anni ’30.

Tutti i personaggi del romanzo, a modo loro, sono ben consapevoli degli incredibili progressi fatti negli ultimi decenni sotto il comunismo. Ed è proprio da questo sentimento comune che Grossman fa poi discendere la risposta morale del popolo sovietico all’invasione nazista e ai terribili eventi del 1941 (cioè le continue sconfitte, la ritirata, la quasi caduta di Mosca). Ciò traspare dalle parole di un vecchio bolscevico, Mostovskoj, che vorrebbe scrivere un libro di memorie per raccontare il vortice di eventi iniziato con la Rivoluzione d’Ottobre.

“La Russia aveva raggiunto un livello di alfabetizzazione senza precedenti, paragonabile solo a un’esplosione solare di potenza astronomica; se la luce dell’alfabetizzazione che si era accesa in Russia avesse potuto essere tradotta in onde elettromagnetiche, nel 1917 gli astronomi delle altre galassie avrebbero registrato la nascita di una nuova stella che continuava tenacemente a dare luce. La gente semplice, il «quarto stato», operai e contadini avevano portato la loro forza, la loro semplicità, le loro peculiarità nelle alte sfere, ed erano diventati Marescialli dell’Unione Sovietica, generali, responsabili di province e regioni, padri di città gigantesche, direttori di miniere, fabbriche e grandi appezzamenti agricoli. Centinaia di nuove industrie avevano generato migliaia di professioni nuove, facendo emergere, raggruppando e formando i nuovi protagonisti della vita del paese. E i protagonisti della nuova società sovietica erano i piloti, i tecnici di volo, gli ufficiali di rotta dell’aviazione, i marconisti, gli autisti di macchine e trattori, gli operai e gli ingegneri dell’industria di sintesi chimica ed elettrochimica, gli esperti di alta tensione e alte frequenze, di fotochimica e termochimica, i geologi, chi progettava macchine e aeroplani.

Persino ora, nel momento più cupo della guerra, Mostovskoj vedeva chiaramente che la potenza del regime sovietico era di molto superiore a quella della vecchia Russia, e capiva che i milioni di lavoratori che costituivano le fondamenta della nuova società traevano la propria forza dalla fiducia, dalla conoscenza e dall’amore per la Patria sovietica.

 Era certo che avrebbero vinto. E desiderava una cosa soltanto: nonostante l’età, anzi dimenticandosene proprio, voleva essere parte attiva nella battaglia per la libertà e la dignità del popolo.

Grossman in modo esplicito scrive anche che la causa sovietica è quella del progresso del genere umano, contro quella nazifascista, che è la barbarie del saccheggio del forte sul debole. I due sistemi, insomma, non sono affatto simili, né sono due facce della stessa medaglia. Questo vien ripetuto più volte nel corso del romanzo: Stalingrado è, in quei mesi, il centro del mondo a cui tutti guardano in attesa dell’esito di una così grande lotta, che deciderà i destini dell’intera specie umana.

Dunque, Stalingrado, agli occhi di un lettore contemporaneo, è un romanzo sovietico: soltanto la lettura dell’apparato critico ci permette di cogliere quei passaggi, quelle situazioni, quei personaggi che all’epoca erano considerato ideologicamente pericolosi. In sostanza, le criticità in senso di dottrina sovietica son troppe lontane dalla nostra quotidianità per poter essere colte.

Artigliera tedesca a Stalingrado

Diciamo qualcosa dei personaggi. Stalingrado è un romanzo epico che intreccia le vite di decine di persone. Tuttavia, un centro c’è ed è rappresentato da Aleksandra Saposnikova, anziana matriarca, di professione chimico industriale, madre di quattro figli e abitante di Stalingrado, a cui molti personaggi del libro sono legati da affetto e parentele naturali e acquisite. È proprio un ricevimento nella sua casa, nell’estate del ’42, a costituire la prima grande scena del romanzo, a cui migliaia di pagine dopo, nel successivo Vita e destino, alcuni personaggi ripenseranno con tristezza.

Da questo epicentro si dipartono due dei principali personaggi del libro: il fisico Viktor Strum, di origine ebraica e in parte alter-ego dell’autore e in parte di un fisico sovietico realmente esistito (e perseguitato); il commissario politico Nikolaj Krymov, ex-marito di Evgenija, ultimogenita della Saponiskova. Ovviamente, le loro parabole possono essere apprezzate solo al termine di Vita e destino, ma qui ne vengono gettate le basi. Strum è il classico scienziato “tra le nuvole”, isolato dal mondo, alla ricerca di una scoperta importante, che non si dà molto pensiero per ciò che accade intorno a lui; Krymov, invece, è politicamente impegnato, bolscevico, ma anche uomo d’azione, che compie gesta eroiche rianimando le truppe in ritirata.

Stalingrado, non lo nego, ha un ritmo inizialmente lento, che può essere compreso solo ricordando che è il primo capitolo di una dilogia. Per centinaia di pagine i tedeschi sono ancora lontani ed è soltanto a metà libro che ha inizio la battaglia vera e propria. Le vicende, dunque, sono quelle di persone comuni travolte dai più grandi avvenimenti: l’offensiva tedesca dell’estate del ’42, lo sfondamento del Don e il conseguente sfollamento di migliaia di persone; i bombardamenti sulla città; la lotta quartiere per quartiere. Grossman racconta tutto questo seguendo ufficiali e soldati impegnati in combattimento, come ad esempio l’ufficiale carrista Petr Novikov; la giovane recluta Tolja, figlio di primo letto di Ljudmila, moglie di Strum e primogenita della Saponiskova.   

Il romanzo contiene anche alcune utili mappe.

Nel romanzo compaiono anche alcuni personaggi tedeschi. Fra essi spicca il tenente Bach, intellettuale che nazista non è; anzi ammette di aver sempre visto con diffidenza il regime di Hitler; questo, almeno fino a Stalingrado, dove:

“«Vede,» esordì Bach «per un bel po’ ho pensato che la Germania e il nazionalsocialismo fossero due cose diverse. E questo per come e dove sono cresciuto: mio padre faceva il maestro ed è stato licenziato perché diceva ai bambini quello che non doveva. Lo ammetto, le idee che mi interessavano sono sempre state altre. Non ero un fautore dell’ideologia razzista, lo confesso, e per questo ho lasciato l’università prima che mi cacciassero. Poi, però, sono arrivato al Volga! E c’è molta più logica nella nostra marcia che in tutti i libri messi insieme. Ora so che uomo è colui che ha condotto la Germania attraverso i boschi e le distese di campi russi, che ci ha fatto passare il Bug, la Berezina, il Dnepr e il Don. La nostra filosofia è finalmente uscita dalle biblioteche e dalle pagine fosche dei manuali accademici. Questo ho capito… Ho capito che quanto prima sonnecchiava fra le pagine di Zarathustra e di Al di là del bene e del male, del Tramonto dell’Occidente e degli scritti di Fichte, ora marcia nei campi…».”

Lo stesso Bach riapparirà, molte pagine dopo, alla fine di Vita e destino, facendo ben altre considerazioni…

Lo stile di Grossman

Lo stile è uno dei punti di forza del romanzo. Grossman ha sempre penna sicura nel variare tono e registro, spaziando dall’interno di un personaggio all’esterno di una grande scenografia. Sia che si trovi a narrare, in modo onnisciente, l’effetto di un bombardamento tedesco su Stalingrado; che racconti la vita quotidiana dei soldati dell’Armata Rossa; della visita di una dottoressa ad un orfanotrofio; delle ricerche scientifiche di un fisico; del lavoro in una miniera; qualsiasi sia l’oggetto della narrazione, insomma, Grossman non eccede mai, ma è sempre preciso e puntuale in ciò che vuole esprimere: non è verboso, né ridondante, né banale. La sua parola, insomma, riesce sempre a veicolare un messaggio.

La madre di un partigiano di Sergej Vasilevic Gerasimov, 1943

Oltre a questo, Grossman riesce a creare scene originali, ovvero che vanno oltre la banalità di una scena descritta da un punto di vista interno ad un personaggio che osserva il mondo esterno. Si prenda ad esempio una fase cruciale della battaglia di Stalingrado, nel settembre del 1942, in cui Grossman descrive la vastità della lotta in corso attraverso il riverbero di consapevolezza che essa ha presso tutto il popolo russo. D’improvviso, così scrive Grossman:

“La battaglia era una realtà non solo per gli esseri umani, ma anche per gli uccelli selvatici che dovevano volare nell’aria pregna di fumo, e per i pesci costretti a scendere sul fondo del Volga: straziata da bombe, granate e siluri, l’acqua tremava e assordava i pur gagliardi beluga, gli enormi pesci siluro, i lucci centenari, gli storioni giganti con le loro grosse teste.
 Seppero della battaglia anche formiche, scarabei, vespe, grilli e ragni che vivevano nella steppa intorno alla città; scavata di nuove tane e gallerie, la terra tremava notte e giorno, a metri e metri di profondità. I topi selvatici, le lepri, gli scoiattoli di terra ci misero qualche giorno ad abituarsi all’odore di bruciato, al nuovo colore del cielo, al terreno che tremava e faceva piovere zolle di argilla nelle loro tane. Nell’Oltrevolga il bestiame e gli animali domestici erano nervosi come durante gli incendi: le vacche perdevano il latte, i cammelli bramivano testardi e capricciosi, i cani latravano di notte, erano senza più appetito e vagavano a testa bassa fra le case; appena sentivano il rombo dei motori degli aerei tedeschi però, correvano guaendo a infilarsi in qualche buca. I gatti non mettevano il naso fuori di casa, sospettosi, con le orecchie dritte al continuo tintinnare dei vetri.
 Molti animali e uccelli migrarono verso il lago El’ton, oppure a sud, nelle steppe calmucche e verso Astrachan’, o a nord, verso Saratov..”

La maestria di Grossman però è anche nelle frasi più brevi: dettagli che rendono vivida la narrazione e, di nuovo, uniscono il macroscopico (la guerra) con il microscopico (le vite di singoli uomini). Questo è il primo pensiero del contadino Vavilov arruolato e inviato a Stalingrado:

Solo al suo arrivo a Stalingrado Vavilov capì e sentì fino in fondo la guerra. L’enorme città era stata uccisa, distrutta. Alcuni palazzi mantenevano ancora il calore dell’incendio, e quand’era di guardia, nel buio del crepuscolo, Vavilov avvertiva l’alito caldo della pietra e gli sembrava che fosse quello delle persone vissute fra quelle mura fino a poco prima

Stalingrado è quindi “il” romanzo del popolo sovietico che resiste all’invasore: un grande affresco epico nobilitato dalla penna di Grossman, qui già affinata dopo i precedenti romanzi giovanili. La potenza dell’autore sta nella capacità di unire in un tutt’uno narrativamente intrecciato sentimenti dei personaggi, vicende della grande storia che incombe e, stilisticamente, far fluire la narrazione dall’uno altro polo senza incertezze o scossoni.

È questo a costituire il fascino di Stalingrado, oltre al fatto che esso costituisce il “prologo” di quel capolavoro che è Vita e destino e che la sua lettura consente di apprezzare ancora di più quest’ultima opera.


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