Andrea Carandini, noto archeologo che ha compiuto scoperte molto importanti sulla Roma di età arcaica e monarchica, scrisse per l’editore Rizzoli nel 2010-2011 questi due preziosissimi volumetti (entrambi poco meno di 200 pagine) sulla dinastia di origine etrusca dei Tarquini e sulla nascita del regime repubblicano; volumetti ahimè oggi difficilmente reperibili in commercio e non pubblicati in formato elettronico. Comunque sia, essi sono stati fondamentali in ogni fase della creazione del mio ultimo romanzo storico “Romano Virtus“, sia per l’ispirazione che ha preceduto la scrittura del romanzo sia per la fase di documentazione storica.
Re Tarquinio e il divino bastardo
Storia della dinastia segreta che rifondò Roma

Roma, 578 a.C., una congiura di aristocratici uccide Tarquinio Prisco, quinto re di Roma. Sua moglie, la regina Tanaquil, convince il popolo che il re non è morto ma giace ferito, e che le sue funzioni saranno rette da Servio Tullio. Ma chi è veramente quest’uomo che avrà presto in mano il destino di Roma? Le sue origini, come quelle di Romolo, sono avvolte in un mistero che ha resistito fino ai giorni nostri. Nato da una serva, Servio è per Tanaquil una sorta di figlio adottivo, cresciuto sotto la sua ala protettrice e per Tarquinio è il successore predestinato, a cui ha aperto la strada nominandolo comandante dell’esercito. È il “divino bastardo”, un illegittimo dalla natura prodigiosa. Carandini, archeologo di fama mondiale, ripercorre le tappe della sua ascesa, indagando storia e mito nelle fonti antiche e nell’affresco di una tomba di Vulci, che svela l’enigma di questo primo tiranno di Roma, riformatore e anticipatore della Repubblica. È la storia di un re nato servo che, contrastando i privilegi dei patrizi, apre la strada alle grandi riforme grazie alle quali Roma diventa una grande città e una potenza nel Mediterraneo.
Res Publica
Come Bruto cacciò l’ultimo re di Roma
Roma, 510 a.C. Tarquinio il Superbo, salito al trono usurpando il potere di Servio Tullio, tiranneggia il popolo, asserragliato nella dimora regia. Ha intorno la perfida Tullia, sua moglie, i figli e una corte di adulatori e delatori. Ogni assemblea popolare è stata soppressa e nella piazza pubblica del Foro, abbandonata, crescono le erbacce. Un uomo solo ha il coraggio di opporsi al tiranno: è Lucio Giunio Bruto, suo parente. È cresciuto alla corte del re, dopo che questi aveva sterminato la sua famiglia, e lui si era salvato fingendosi brutus, idiota. La scintilla che fa scattare la vendetta è lo stupro di Lucrezia da parte di Sesto, figlio debosciato del tiranno. Bruto estrae dal petto della matrona il pugnale con cui si è uccisa, per la vergogna di essere stata violata, e su di esso giura, con il marito, il suocero e un amico, di liberare i concittadini dal giogo del Superbo. Al racconto dello stupro, il popolo di Roma si rivolta, abolisce la monarchia, affida il governo a due consoli e ristabilisce le assemblee popolari. La Repubblica viene così fondata sulla base di un principio fondamentale: la legge è uguale per tutti. È la fine di ogni privilegio. In queste pagine, Carandini riprende la saga dei Tarquini, tracciando un affresco storico che attraverso lo studio delle fonti ricostruisce eventi, passioni e idee di uno dei momenti cruciali della storia di Roma, divenuto simbolo universale di libertà: monito valido anche nei nostri giorni, contro ogni aspirazione a un potere arbitrario o enorme.

La premessa, questa volta, è d’obbligo. L’autore, eminente archeologo e autorità italiana in materia, avrebbe potuto scrivere un ponderosissimo volumone sulla dinastia etrusca di Roma; tuttavia, come dice Carandini nell’ultimo capitolo del primo libro:
Gli scritti accademici sono noiosi.
La coppia di libri di cui parlo oggi, infatti, ha l’ambizione di rivolgersi ad un pubblico il più ampio possibile, in quanto questa è “la fatica più meritevole” per un dotto, dice Carandini. Sono dunque opere divulgative, che l’autore scrive per trarre dal materiale di partenza (fonti contradditorie o lacunose, dati archeologici incompleti ecc.) una trama fluida e coerente che sia dotata di una certa unità di fondo e che possa interessare qualsiasi lettore. Divulgazione non significa però rinunciare alla ricerca della verità o alla verosimiglianza storica, anche se “un’ambiguità di fondo c’è in tutto, anche nei dati”. Per imbastire una narrazione è stato necessario (questo è implicito nel testo) scartare alcune ipotesi, sceglierne altre e offrire il quadro unitario delle vicende di cui parlavo; vicende che, ricordiamolo, si snodano lungo più di un secolo di storia greca, romana ed etrusca: dall’anno 657 a.C. con la cacciata dei Bacchiadi, signori e oligarchi, da Corinto fino alla morte di Tarquinio il Superbo, nei primi anni del V secolo e alla secessione della plebe durante il “conflitto degli ordini”.
Per fare questo, Carandini adotta una scrittura semplice e racconta i fatti senza tanti giri di parole; in diversi punti, anzi, il tono è “quasi narrativo”, da osservatore onnisciente in grado di entrare nelle mente dei diversi protagonisti e che riporta dialoghi virgolettati tra i personaggi. Chi già è esperto del periodo si accorgerà, in diversi punti dei due libri, di quando l’autore “aggiunge” elementi oppure sceglie convintamente una certa ipotesi ricostruttiva su un certo fatto. Il rischio di divulgare inutilmente il falso – come fanno certi film e serie tv – è scongiurato dai capitoli finali dei due libri in cui Carandini distingue ciò che ha dovuto ricostruire da ciò che ha semplicemente riportato. Inoltre, in questi capitoli – L’archeologo getta la maschera e L’archeologo fa capolino – Carandini non lesina in aperte critiche e frecciate ad “alcuni storici attuali” che “hanno ingaggiato una lotta con gli storici antichi, per dimostrare la propria superiorità”, sacrificando a queste ragioni quasi psicologiche la ricerca della verosimiglianza storica.
C’è ancora una cosa da dire, prima di esporre i punti focali della narrazione di Carandini e quindi della Storia con la S maiuscola. Da numerosi riferimenti traspare come l’autore abbia deciso di scrivere di storia in questo modo anche per illuminare qualcosa del nostro presente. In apertura del primo libro, infatti:
Un tempo i grandi uomini guardavano lontano, nel passato e nel futuro, e noi sprofondati in faccende mediocri e provvisorie ci stupiamo di quella lungimiranza: le democrazie vogliono tempi brevi, che si accompagnano spesso a sguardi brevi… vivere nel mondo attuale, consapevoli di aver ereditato il cammino e la storia dell’umanità, è sommamente utile: elargisce energie per costruire un futuro libero da mali inveterati…
E, difatti, nel penultimo capitolo del secondo libro appare una breve storia dell’Occidente negli ultimi due secoli, in cui Carandini ripercorre le oscillazioni politiche tra – la faccio breve – democrazie liberali e dittature totalitarie. Le gesta di Tarquinio Prisco, di Servio Tullio, di Bruto eccetera preconizzano quindi i fatti politici del Novecento e costituiscono un’occasione di riflessione: come i Romani risolsero il problema della inevitabile degenerazione di un potere assoluto in tirannide? La risposta al quesito è, ovviamente, in Res Publica ed è sintetizzabile nella famosa “costituzione mista” di polibiana memoria.

Confesso che le premesse di cui sopra mi han ben predisposto alla lettura; le considerazioni finali (con cui, tuttavia, non sono totalmente in accordo) mi hanno definitivamente conquistato sul valore di questi due libri.
Finalmente, passiamo alla Storia. Le vicende monarchiche di Roma nel VII e nel VI a.C. sono inserite nel più ampio quadro mediterraneo di apertura alla colonizzazione greca. La dialettica tra antiche oligarchie aristocratiche, che hanno la forza nel contado, e ceti popolari e urbani in ascesa sfocia in rivolgimenti, subbugli ed esperimenti politici di ogni tipo. Una sorte comune a molte città è quella di conoscere il potere di un tiranno che, invariabilmente, cerca di guidare le masse urbane per rompere gli antichi potere aristocratici; quando ciò riesce, ogni tiranno tenta di fondare una dinastia personale che raramente, però, sopravvive più di una o due generazioni. Inevitabilmente, il successore del tiranno o al più il successore di questi scade nell’ambizione e nell’arbitrio assoluto. Il suo potere diventa insopportabile e i ceti popolari si ribellano. Da questa ulteriore ribellione può nascere la democrazia, “pura” o meno “pura” che sia.
Questo quadro sintetizza la storia comune di molte città etrusche, greche e latine del tempo. Roma vive la stessa parabola ma con alcune particolarità, che saranno decisive. Roma accoglie gli stranieri, cosa che le città greche non fanno e mai faranno; Roma è retta da una monarchia costituzionale, dove il rex governa insieme al senato e alle assemble popolari; la successione non è mai dinastica, ma spesso anzi è uno straniero a diventare re.
L’accoglienza verso lo straniero conduce Tarquinio, figlio di Demarato, esule greco di Corinto, a trasferirsi dall’Etruria, che non l’ha mai accolto veramente, nel Lazio, a Roma. Qui Tarquinio diventa consigliere indispensabile del re Anco Marcio e riesce infine a succedergli “costituzionalmente”, senza cioè violare i costumi fino allora seguiti dai Romani. Tarquinio detto Prisco regna in grande stile e fonda davvero una “grande Roma” sia sul piano dell’espansione militare sia in quello sociale ed urbanistico, come testimoniano le immense fondamenta del tempio di Giove Capitolino, che ospiterà la nuova “triade” protettrice della città: non più dèi incorporei simboleggiati da oggetti o totem, ma dèi in forma umana. Giove, Giunone e Minerva rimpiazzano Giove Feretrio, Marte e Quirino. Il calendario viene riformato. Il mito di Enea viene importato nel Lazio e adattato alla città di Roma proprio in questa età.
Con il suo successore, Servio Tullio, siamo alla svolta. La successione avviene in modo traumatico e, pur non credendo Carandini alla colpevolezza di Servio nella morte di Tarquinio, non costituzionale. Servio Tullio è il primo vero tiranno di Roma; ma è un tiranno saggio ed illuminato. Egli riforma l’organizzazione sociale della città: non più le curie di uomini teoricamente uguali ma ch’erano limitate ai fondatori della città e ai loro discendenti, ma un’assemblea di centurie dove conta soltanto il reddito e che è potenzialmente aperta a tutti, anche liberti e stranieri; centurie che stabiliscono che a maggiori diritti corrispondono maggiori doveri. I quartieri sono riorganizzati e nuove imponenti opere pubbliche spostano l’asse della città dalle pendici meridionali del Palatino a quelle settentrionali, dove s’affacciano sulla valle in cui ormai sorge il Foro, bonificato dalle paludi: il cuore di Roma è davvero nato con i Tarquinii.
L’illuminismo di Servio è tale che egli forse concepisce, negli ultimi anni della sua vita, che la monarchia vada abolita e che un nuovo ordinamento debba essere previsto anche per il governo della città; queste sue intenzioni egli forse lascia per iscritto. Sono questi, secondo Carandini, i famosi “ex commentarii Serv. Tulli” che Tito Livia cita di sfuggita al termine del primo libro della Storia di Roma. Purtroppo, il “sogno” è rimandato. Tarquinio detto il Superbo, nipote del Prisco, e la perfida moglie sua Tullia, uccidono violentemente il re e s’impadroniscono del potere, di cui abusano per i successivi venticinque anni: il popolo è schiavizzato, la nobiltà dispersa, il potere ridotto a gioco di corte.

È un esponente secondario della famiglia dei Tarquini, Lucio Giunio detto poi Bruto, che in segreto per molti anni, nascondendosi come l’Amleto di Shakespeare (o Amleto come lui!) dietro una simulata follia, porterà in sé le idee di Servio Tullio, nell’attesa che le contraddizione interne della tirannia dispotica vengano a galla…
Questo è il setting dei due libri che Carandini amplia con proficue analisi sulla religione e su come essa venisse coscientemente usata per veicolare miti, idee e fare, insomma, propaganda. Pagine illuminanti sono dedicate alla transizione dai vecchi miti latini e romulei a quelli nuovi, di matrice etrusca e greca. La forza della narrazione di Carandini, non si può nascondere, è nella suggestione: quando ci dice che il mito di Enea venne introdotto dal Prisco all’inizio del VI, egli ci fornisce anche la presunta tomba di Lavinium che venne usata allo scopo; quando ci racconta la fine di Servio Tullio, ci indica anche il percorso esatto che il re morente fece prima di essere calpestato dal carro guidato dalla figlia!
Qualcuno ha criticato questo uso delle fonti letterarie per confermare i dati archeologici e viceversa: non mi addentro nella questione perché non ne ho competenza. La fortuna di un volgare romanziere come il sottoscritto è che questi ha il dovere di riempire (con verosimiglianza, beninteso!) i buchi della Storia.
Un’ultima cosa, eccezionale per la media editoria italiana, è l’abbondanza di mappe e cartine. È evidente il contributo dell’autore, che è stato curatore dell’immenso ed enciclopedico Atlante di Roma. Non aspettatevi un paio di imprecisi disegni in bianco e nero ma rigorose tavole archeologiche a colori che mostrano nel dettaglio diversi punti delle vicende narrate. Personalmente, per quelli che sono i miei scopi, le tavole e le mappe sono così ben fatte che avrebbero da sole giustificate il prezzo d’acquisto.
In definitiva, il libro è consigliatissimo. Esso va letto, io credo, non come la spiegazione “più vera” della storia arcaica di Roma, ma come la “più verosimile”; il tutto con uno stile semplice e diretto, accessibile a chiunque. Se anche non foste poi d’accordo con la complessiva ricostruzione di Carandini, sarà difficile negare il suo potere suggestivo.

Roma, 509 a.C. Alla notizia del suicidio della nobile matrona Lucrezia, violentata da Sesto, figlio del re Tarquinio, il popolo di Roma guidato da Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio insorge e caccia il proprio sovrano.
È la Repubblica;
La libertà conquistata è però immediatamente minacciata dal ritorno di Tarquinio, il quale chiede alle ricche città dell’Etruria che esse l’aiutino ad essere ristabilito sul trono di Roma. Il potente Porsenna, signore di Chiusi, arma un grande esercito composto da Etruschi e Latini e marcia sulla città.
Tre giovani Romani sono chiamati alla difesa della patria in pericolo: il patrizio Orazio, discendente di un eroe leggendario; il giovane Muzio, che dalla tirannia di Tarquinio ha subito torti dolorosi; la fanciulla Clelia, determinata ad avere un ruolo nella difesa della città.
La difesa della libertas susciterà la virtus?
Pagine: 383
Data di uscita: 9 giugno 2024
Prezzo ebook: 4,99 €
Prezzo cartaceo: 14,99 €
Disponibile in Kindle Unlimited di Amazon
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